La storia di Amelie, suicida perché non voleva stare a letto
Così in Belgio l'eutanasia diventa una "magnifica opportunità per scappare"
In Belgio una donna ha chiesto e ottenuto l'eutanasia dopo dieci giorni di sciopero della fame. Amelie Van Elsbeen aveva 93 anni e non era affetta da alcuna malattia. L'anziana ha chiesto ai medici di praticarle l'eutanasia, perché così la sua vita era “senza senso”. E' così scattata una campagna mediatica in cui la stessa Amelie chiedeva quello che secondo lei era un diritto: quello di essere fatta morire.
In Belgio una donna ha chiesto e ottenuto l'eutanasia dopo dieci giorni di sciopero della fame. Amelie Van Elsbeen, così si chiamava, aveva 93 anni e non era affetta da alcuna malattia incurabile o che le arrecasse dolori insopportabili (motivi per i quali in Belgio è possibile praticare legalmente l'eutanasia dal 2002). La donna, nata ad Anversa nel 1916, era soltanto anziana e i medici della casa di riposo di Merksem, dove era stata ricoverata per un periodo, le avevano prescritto di stare a letto. L'anziana quindi ha chiesto a quegli stessi medici di praticarle l'eutanasia, perché così la sua vita era “senza senso”. La casa di cura, applicando alla lettera la legge belga in materia, ha respinto quanto avanzato dalla donna perché mancava il presupposto di base: non era malata. E' così scattata una campagna mediatica in cui la stessa Amelie chiedeva quello che secondo lei era un diritto: quello di essere fatta morire.
Nessuno però si è fatto avanti. Dopo un tentato suicidio andato a vuoto, il 24 marzo – d'accordo con la famiglia che ha sempre sostenuto questa sua scelta e consultandosi con Marc Cosyns, medico esperto di eutanasia della Clinica universitaria di Gent – l'anziana ha cominciato lo sciopero della fame. Mercoledì, verso mezzogiorno, Cosyns le ha praticato l'eutanasia perché il suo stato di digiuno le provocava una sofferenza “costante, insopportabile e inarrestabile”. La battaglia per l'eutanasia di Amelie (il primo caso in Belgio su una persona sana) ha riaperto nel paese il dibattito sulla “dolce morte” e l'estensione a minori o persone affette da handicap mentali, come è il caso dell'Olanda, dove è consentita per i malati dai 12 ai 17 anni.
La storia di Amelie ricorda quanto è avvenuto nel luglio del 2008 in Germania, quando Roger Kusch, ex ministro della Giustizia del governo locale di Amburgo, ha aiutato a morire Bettina Schardt, 79 anni, essendo lui passato dalla politica alla sponsorizzazione dell'eutanasia. La donna era perfettamente in salute, ma si sentiva sola e depressa.
Se i gesti di queste due anziane sono estremi, altrettanto lo sono le dichiarazioni rilasciate alla BBC da Ludwig Minelli, avvocato svizzero fondatore di Dignitas, la più grande Ong di suicidio assistito della Svizzera, e anche la più nota d'Europa, come dimostra l'alta percentuale di pazienti stranieri. Fondata nel 1998, l'associazione da allora ha aiutato a morire più di 900 persone, di cui oltre due terzi non svizzeri. In testa ci sono i tedeschi (57,4 per cento), seguiti da inglesi (10,4) e i francesi (8,2), mentre gli italiani si fermano all'1,2 per cento.
Minelli, alla tv di Stato britannica, ha spiegato che “il suicidio è una magnifica opportunità data al genere umano, perché è una grande possibilità per poter scappare da una situazione insostenibile”. Per il fondatore di Dignitas il suicidio è la soluzione al problema del dolore. A conferma della sua tesi, Minelli ha portato l'esempio di una coppia del Canada, in cui una moglie, dopo che il marito si è tolto la vita per il troppo dolore provocato dalla malattia, ha intenzione di seguirlo perché a sua volta non riesce a sopportare il dolore della morte del consorte. Le sue parole contribuiscono ad alimentare nel Regno Unito già accese le polemiche sul fine vita, tema tornato d'attualità a marzo con la notizia che Peter Duff, patron del Festival della letteratura di Bath, e sua moglie Penelope erano morti con il suicidio assistito presso la clinica di Dignitas.
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