La finanza non è Satana
Giura che non sono stati i prefetti, neocontrollori del credito, ad averlo indotto ad abbandonare il vertice dell'Abi. “E' da luglio dello scorso anno che avevo annunciato al presidente Corrado Faissola di voler lasciare la direzione generale dell'associazione bancaria”, dice al Foglio Giuseppe Zadra nella prima intervista dopo la comunicazione dell'addio all'Abi che avverrà formalmente il prossimo luglio, dopo l'assemblea annuale dell'associazione.
Giura che non sono stati i prefetti, neocontrollori del credito, ad averlo indotto ad abbandonare il vertice dell'Abi. “E' da luglio dello scorso anno che avevo annunciato al presidente Corrado Faissola di voler lasciare la direzione generale dell'associazione bancaria”, dice al Foglio Giuseppe Zadra nella prima intervista dopo la comunicazione dell'addio all'Abi che avverrà formalmente il prossimo luglio, dopo l'assemblea annuale dell'associazione. Questo non vuol dire che il ruolo delle prefetture, voluto dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, per osservare a livello regionale le erogazioni dei finanziamenti da parte delle banche, l'abbia fatto gioire: “Certo, gioire proprio no. Rivendico la coerenza delle nostre posizioni. Non si può mettere quasi sotto tutela pubblica un'attività industriale come quella bancaria, anche se per noi alla fine può anche esserci l'aspetto positivo di condividere con le altre categorie le diverse prospettive del problema, arrivando tutti a conoscerlo meglio. Per questo da tempo noi stessi abbiamo avviato i tavoli provinciali con Confindustria che seguono l'andamento del credito”. Di più, sul tema, non vuole aggiungere. Tranne un accenno alle nazionalizzazioni del credito che avvengono in Europa, fattore di possibili svantaggi competitivi: “Li verificheremo tra due anni. Un potenziale rischio di aggressività da parte di istituti di altri paesi rinforzati grazie alle massicce iniezioni di capitale pubblico, c'è”.
Giura anche che non sono state le critiche per alcune uscite da Patti Chiari, l'accordo tra banche per rendere più trasparenti e confrontabili i servizi degli istituti, a convincerlo a lasciare dopo 17 anni l'Abi. Patti Chiari è stata una delle maggiori iniziative volute e realizzate da Zadra: “Un progetto unico al mondo. In nessun altro stato, per volontà delle banche, c'è un sito che mette a confronto, per uno stesso servizio, i costi degli istituti. Nessun altro settore imprenditoriale ha avviato un'iniziativa del genere. Sfido tutti a indicarmela”. Però molte piccole banche sono uscite di recente dal consorzio, quando dovevano rinnovare o no l'adesione ad esso… “I costi della trasformazione del consorzio Patti Chiari dalla fase iniziale alla fase due, per alcuni istituti di minore entità, possono essere considerati elevati. E ci può volere più tempo per decidere di aderire a 30 iniziative e non solo a una, com'era possibile nella prima fase di Patti Chiari”.
Ma allora perché il direttore dei banchieri italiani va via? Andrà a raccogliere le mele, di cui oltre a essere goloso è pure appassionato? La madre centenaria, che ha una piccola produzione di mele, lo accoglierebbe ben volentieri a Denno, in provincia di Trento. “Ho portato a termine la missione che mi ero dato. Sono arrivato in Abi nel '92, proprio quando le banche pubbliche con la legge Amato si stavano trasformando in società private. Una rivoluzione. Che l'associazione ha sempre accompagnato, ha appoggiato e mai frenato”, tiene a ribadire più volte. Come dire: non sono nostalgico dello stato bancario. Una sottolineatura che non è una novità per i colleghi banchieri che lo conoscono: “E' il più americano di noi”, dicono. Lui non commenta ma nemmeno smentisce. Ma il curriculum e le informazioni raccolte tra colleghi banchieri lo confermano. Nato nel '41 a Trento, dopo una laurea in Giurisprudenza a Roma (relatore Cesare Cosciani, uno dei padri italiani della Scienza delle finanze), va a Harvard per un master e nell'estate del '72 è in Goldman Sachs per uno stage (“mi hanno aperto il cervello”, dirà ai suoi amici alla fine dell'esperienza statunitense). Ormai invaghito delle innovazioni finanziarie al servizio dell'economia, cerca di importare in Italia le tecniche americane. Fonda con altri tre colleghi Afin, una piccola investment bank, la prima in Italia, cui alcuni istituti come Kuhn Loeb, Rotschild, Dresdner e Crediop diedero vita in piazza Barberini a Roma. Non fu un'esperienza memorabile visto che, sorridendo, dice: “Sono stato sempre un velleitario”.
Poi due anni al Credito Milanese, quindi l'assunzione come direttore finanziario in Alitalia capitanata da Carlo Nordio. Ma nella compagnia di bandiera non lavora un giorno. “Mi prendo un'altra sbandata americana”, sogghigna. Franco Piga, all'epoca presidente della Consob, lo chiama: “Vieni, c'è da rifare la Borsa”. Così dopo la prima investment bank in Italia, cerca di importare dagli Stati Uniti anche la strumentazione di Wall Street. Pilota ad esempio la riforma telematica della Borsa e degli intermediari: una notte – assicura – mentre era in albergo a Milano, gli viene l'idea della sigla Sim, società di intermediazione mobiliare. In Consob resta sette anni. Nel '92 il presidente dell'Abi, Tancredi Bianchi, chiama Zadra a Palazzo Altieri, sede dell'associazione, al posto di Felice Gianani. La missione? Accompagnare, e non ostacolare, la trasformazione delle banche in società private a tutti gli effetti. La notizia della nomina di Zadra fu annunciata ai giornalisti da Giovanni Bazoli. Curiosità che non ha connotazioni. Se proprio si vuole accostare Zadra a qualche banchiere, i nomi sono molti. In primis Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit. Vero? “Sì – risponde Zadra – con lui, come con altri, ho condiviso la volontà di portare innovazioni nel sistema bancario italiano. Ma anche con Maurizio Sella e Fabio Innocenzi ho trovato spesso consonanza su nuovi progetti”. Ma non c'è soltanto Profumo. Nel sodalizio intellettuale di Zadra ci sono innanzitutto l'economista Filippo Cavazzuti (ora presidente di Patti Chiari e in passato anche senatore della Sinistra indipendente) e l'ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco. Praticamente, un cenacolo intellettuale: “Nessun cenacolo, semplicemente siamo stati allievi di Cosciani e ci siamo frequentati anche successivamente”. Del sodalizio zadriano fa parte anche Pierluigi Ciocca, ex vicedirettore generale della Banca d'Italia.
L'accostamento a Visco però lo induce a precisare: “Nessuno mi può appiccicare etichette politiche. Anzi, con tutti i ministri del Tesoro e delle Finanze ci sono stati motivi di frizione. Ce ne sono stati con Giuliano Amato, con Vincenzo Visco e con Giulio Tremonti. A tutti imputo di aver calcato la mano nelle critiche alle banche a proposito dei titoli argentini, Parmalat e Cirio, smerciati a cittadini poco informati. Nessun ministro ha mai sottolineato a sufficienza che anche acquistare titoli obbligazionari o fare un mutuo comporta un rischio”. Direttore, non dica però che le banche godono di una buona reputazione di questi tempi, specie in questi momenti… “Sulla reputazione incide moltissimo la cosiddetta customer satisfaction del grande pubblico, e i casi citati hanno di certo influito. Ma gli istituti italiani non possono essere accusati di non aver finanziato l'economia. Piuttosto la crisi di reputazione di questi mesi è dovuta alle banche di investimento statunitensi”.
Alt. Ma come, il più americano dei banchieri adesso biasima la finanza degli Stati Uniti? Da “appassionato della regolamentazione finanziaria americana”, come si è autodefinito, replica: “Nel 2000 il Gramm-Leach-Bliley Act permise alle grandi banche di poter avere un'investment bank, sotto la sorveglianza della Fed, ma la crisi si è prodotta altrove, su un altro segmento del mercato, né bancario né di Borsa, sviluppato over the counter, che si è popolato di un numero infinito di soggetti finanziari non regolati e ha generato prodotti non controllati e negoziati appunto su mercati informali”. Detto questo, “occorrerebbe effettuare un'analisi costi-benefici sugli effetti che ha comportato il flusso di investimenti permessi dalle innovazioni finanziarie. Quel che è possibile sostenere già adesso è che questo flusso ha finanziato la tecnologia a livello internazionale. Principalmente l'alta tecnologia statunitense, che poi è stata esportata in tutto il mondo. Queste innovazioni hanno anche permesso di finanziare i consumi negli Stati Uniti. E sono state deliberatamente usate per far acquistare una casa a milioni di cittadini. Però dobbiamo prendere atto che la crisi è molto profonda e capire che sono state le omissioni volute nella legislazione degli Stati Uniti a provocarla”.
Zadra va di nuovo controcorrente, sottolineando come la finanza americana ha prodotto comunque “innovazioni straordinarie”. Sui derivati, ad esempio, dice: “Bisogna regolamentare i derivati che non sono regolati. Ma non dimentichiamo i benefici che questi strumenti hanno avuto e hanno per le imprese. Qualcuno trascura che nessuna impresa adesso può fare a meno dei derivati che coprono da rischi come quelli dei tassi di interesse e di cambio”. C'è però chi sostiene che adesso sarà l'Abi a ricorrere a qualche forma di ingegneria finanziaria viste le spese lievitate in questi 17 anni, si parla di 50 milioni di costi. “No. Il budget è di 40 milioni. Ho costituito nuove direzioni, nuovi uffici, una decina di nuove associazioni, ho avviato l'Ombusdman bancario fin dal 1993. Ciò detto, faccio notare che quando sono arrivato c'erano 284 dipendenti, che negli anni ne abbiamo assorbiti oltre 130, fondendo altre associazioni, e che adesso ce ne sono 252”. E ora che farà? Raccolta delle mele a Denno o lettura ai giardinetti? “Chissà”. Ma negli occhi si legge: “Macché”.
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