Confesso che a me, tetragono e ostinato, piace la conversione di Fini

Giuliano Ferrara

Fini non mi è mai stato simpatico. Questa sua nuova attitudine a stare in minoranza e a dire come la pensa, rovesciando se stesso e i suoi pensieri di una vita in una identità laica, questo salto di vita, di esperienza, di elaborazione mi sembra positivo, una bella novità di cui gli va reso merito.

    Fini non mi è mai stato simpatico. Mi è sempre sembrato un tattico mediocre, un politico professionale in carriera senza slancio e cultura. Quando da capo del suo partito andò a Gerusalemme (2003) e pronunciò la sua storica abiura del “male assoluto”, leggi razziali e totalitarismi del XX secolo, continuai a diffidare, mi sembrava volesse vestire il partito di cui era il padrone di nuovi panni emendati delle retoriche nere del passato, ma solo per avere una migliore agibilità politica sul terreno. Un noioso sgomitatore.

    Questa sua nuova attitudine a stare in minoranza e a dire come la pensa, rovesciando se stesso e i suoi pensieri di una vita in una identità laica, metodologicamente liberal, alla ricerca di una nuova ortodossia ideologica che suona scandalo per i suoi vecchi compagni di cordata e per una parte ingente del popolo di riferimento del mondo berlusconiano, ecco, questo salto di vita, di esperienza, di elaborazione mi sembra positivo, una bella novità di cui gli va reso merito.

    Le idee di Fini non mi piacciono gran che. Il modo in cui le esprime e gli argomenti che sceglie mi sembrano piuttosto poveri. Per dirla con l'antropologa politicamente corretta di Chicago, Martha Nussbaum, il suo laicismo negativo induce a una visione delle cose “così svuotata di mistero e naturale curiosità che essa stessa, e non le molteplici tradizioni religiose, mortifica l'umanità e compromette il progetto di costruzione di uno stato poliedrico, fondato sul rispetto per ogni essere umano” (dall'ultimo numero di Reset, in Repubblica di sabato 4 aprile). Ma non è questo il punto.

    E non è nemmeno che Fini mi sembri diventato interessante, al di là e spesso contro le cose che dice, perché apre una contraddizione nel mondo imbambolato del centrosinistra, dove ormai lo sport preferito è mettersi sulla scia di un leader che fino a ieri sembrava contaminare chiunque facesse combutta con lui, trasformando il Cav. di Casalecchio di Reno, che disse di votarlo a Roma nel 1993, in un Cavaliere nero amico dei fascisti. Che attraverso il dissenso istituzionale di Fini la formazione politica di Berlusconi abbracci ormai l'intero spettro delle posizioni politiche e ideologiche possibili, importando nelle sue file perfino la dialettica governo-opposizione, è un curioso scherzo della nostra storia, dipendente dalla mancanza di autonomia culturale e di immaginazione dell'opposizione, ma niente di più.

    E in fondo è un dettaglio, per quanto importante, anche il visibile strappo nei confronti del conformismo agiografico e palloccoloso che abita nel Pdl, come ieri in Forza Italia. La posizione di Fini, al di là del suo destino personale, non resterà senza conseguenze. A occhio e croce, produrrà imitatori ed emulatori, susciterà discussioni vere, creerà spazi culturali e di idee inimmaginabili fino a ieri, nell'epoca delle grandi cerimonie di glorificazione del capo. Questo è un bene, una ricchezza. Le caratteristiche da pop art del rutilante mondo berlusconiano, e il divertimento che procura a chi abbia un minimo di immaginazione e di spirito, a chi non sia prigioniero come un Michele Serra di schemi di rispettabilità e perbenismo da parvenu, dovevano incontrarsi a un certo punto con qualcosa di simile a una discussione vera, in un ambito vero di partito o isituzionale, con persone vere che mettono insieme discorsi passabilmente autentici. Non vorrei sopravvalutare Fini, come pensano molti nostri lettori, ma a me sembra che, con le sue uscite, a questo punto decisivo di maturazione il movimento disordinato emerso dal caos nel 1994 ci sta arrivando.

    Il carattere più rilevante di tutta la vicenda, però, è la storia personale di un leader che si converte a una visione della vita, della politica, della cultura e della tradizione opposta a quella su cui ha poggiato i piedi per quasi cinquant'anni. A me, che sono tetragono e palesemente ostinato nell'affezione che porto alle mie due o tre idee, sempre le stesse, a me le conversioni piacciono.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.