Il racconto del terremoto a L'Aquila

"Il lampadario che sbatteva contro il muro, poi la corsa per le scale"

Piero Vietti

“Mi sono svegliato urlando alle tre e mezza, la prima cosa che ho visto era il lampadario della stanza che sbatteva contro le pareti senza fermarsi. Casa mia ha retto, per questo io e i miei compagni di apparamento non ci siamo resi conto subito della gravità della situazione".

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    Mi sono svegliato urlando alle tre e mezza, la prima cosa che ho visto era il lampadario della stanza che sbatteva contro le pareti senza fermarsi. Casa mia ha retto, per questo io e i miei compagni di apparamento non ci siamo resi conto subito della gravità della situazione. Abbiamo preso le nostre cose al volo e siamo corsi fuori. Tutto continuava a tremare. Arrivati per strada siamo saliti in macchina. Attorno a noi le case erano sventrate, non c'erano solo i calcinacci per strada, vedevi dentro alle abitazioni”. La voce di Stefano ancora trema, diverse ore dopo che il terremoto che ha devastato L'Aquila e tanti paesi dell'Abruzzo lo ha sorpreso nel cuore della notte.

    Stefano è di Vasto, ma durante la settimana vive a L'Aquila perché lì frequenta l'Università. “Era più di un mese che sentivamo delle scosse, fino a quando ieri sera tardi ce ne sono state due particolarmente forti”, racconta. “Avevo un brutto presentimento. Per questo ho preparato lo zaino con un cambio di vestiti e ho messo le scarpe accanto al letto”. Poi quell'urlo nella notte. E la fuga per le scale con i compagni universitari. Fuori, la scoperta di esserci ancora. “Mi sento un miracolato”, sussurra. “Ci siamo ritrovati un po' tutti in un parco della città, davanti alla chiesa di Collemaggio. Lì all'aperto ci sentivamo abbastanza sicuri”.

    La terra ha continuato a tremare tutta la notte. “Pian piano arrivavano le prime notizie, amici che chiamavano e ci dicevano che erano riusciti a scappare da casa, da un appartamento al quinto piano. Come, non lo sapevano nemmeno loro. Appena usciti in strada si sono trovati la casa di fronte che era sprofondata di un piano”. La strada, l'unica strada per uscire da quell'inferno, coperta di macerie: “Due palazzi accanto al loro sono crollati completamente, si vedeva solo il tetto, e si sentivano voci e urla da là sotto”. Stefano si ferma un momento, poi prosegue: “L'Aquila è una città distrutta, completamente distrutta. E' crollata la casa dello studente, le chiese… Un sacerdote amico mio mi ha detto che non è rimasto nulla della sua chiesetta e della casa lì accanto in cui lui viveva e dal cui crollo si è salvato gettandosi dalla finestra”. Un'altra pausa. “Le case che sono crollate sono inagibili, e io non riesco a immaginare come si possa costruire una città da zero, come si possa far andare avanti l'Università, che forse era l'unica risorsa dell'Aquila”. Prima di arrivare al parco, Stefano ha attraversato le strade dell'Aquila, e racconta questo viaggio quasi surreale: “Sembrava di essere in un film: c'era come una nebbia moto forte – spiega – ma abbiamo capito subito che non era nebbia, ma la polvere alzata dal crollo degli edifici. C'era gente ovunque che correva, persone che scappavano di casa in preda al panico”.

    Alle nove di mattina Stefano è rientrato in casa a prendere le sue cose, altri invece nemmeno hanno potuto farlo: “Sono tornato a Vasto con alcuni amici che avevano solo il pigiama addosso; l'autostrada era chiusa, ho preso la statale e abbiamo visto tutti quei paesi distrutti”. Arrivato a casa ha acceso la televisione, ma ha dovuto spegnere subito: “Ho sentito che alla Casa dello studente c'è ancora gente intrappolata e la struttura pende sempre di più”. Stefano racconta uno stato d'animo che è quello di tanti studenti oggi: “Non viene neanche in mente di tornare lì, come fai? E' una città in ginocchio”. Ora è la paura che prende il sopravvento: “Non c'è uno studente che abbia una casa adesso”. La reazione più naturale è quella di non volere tornare là dove “abbiamo vissuto in ansia per giorni fino alla botta finale di questa notte”.

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    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.