Le facce del Cav.

Stefano Di Michele

Niente da fare: quelli di poca fede, o di difficile contentamento, marxisti erano (nel senso di Karl) e marxisti sono rimasti (nel senso di Groucho). E perciò, quando Berlusconi mostra la faccia – se vogliamo, il muso – al Grande Comico piuttosto che al Gran Filosofo immediatamente, e con faticosa ironia, si fa riferimento: “Non dimentico mai una faccia, ma nel tuo caso farò un'eccezione”. Ma mai, poi, neanche come eccezione, la dimenticanza avviene.

    “Ho scritto i testi di ogni spot, mi sono messo con la mia faccia, nel mio studio, dietro la mia scrivania, davanti a una telecamera, una sola…” (Silvio Berlusconi, 19 gennaio 2001)

    Niente da fare: quelli di poca fede, o di difficile contentamento, marxisti erano (nel senso di Karl) e marxisti sono rimasti (nel senso di Groucho). E perciò, quando Berlusconi mostra la faccia – se vogliamo, il muso – al Grande Comico piuttosto che al Gran Filosofo immediatamente, e con faticosa ironia, si fa riferimento: “Non dimentico mai una faccia, ma nel tuo caso farò un'eccezione”. Ma mai, poi, neanche come eccezione, la dimenticanza avviene. Anzi – niente appare così poco dimenticabile come quella faccia. La faccia di Berlusconi per i suoi avversari è (quasi) tutto. La faccia, per Berlusconi, è tutto. Per questo la ostenta, la piazza sui manifesti, la vuole sotto le telecamere, la esibisce da palchi e predellini. Come all'ultimo congresso di Forza Italia, con quel maxischermo che la rimandava allargata, allungata, ingigantita in maniera spropositata – raggiungendo la dimensione esatta di una media piazza di paese. Niente come la faccia Berlusconi cura – e l'affanno tricologico in fondo è mirabile complemento del tutto: neanche il doppiopetto, neanche la cravatta, del partito poi non parliamo proprio. E' quella faccia – con quell'ammirevole incarnato che sta tra l'appena avvenuto svezzamento e un'adolescenza alle porte – l'esatto punto d'incontro tra lui e i suoi nemici. E' lì che gli sguardi degli altri, e il suo sguardo allo specchio, inevitabilmente convergono. E' dunque la faccia di Silvio – per amici e nemici – l'icona dei giorni che ci sono toccati.

    Bastava vederla in questi giorni, mentre si aggirava, umanamente addolorato, tra le rovine d'Abruzzo. Avendo trasferito nella corona dei denti bianchissimi la metafora giovanile del “sole in tasca” che ossessionatamente ripeteva ai suoi primi venditori Fininvest (metafora che il ministro Bondi ha elevato a titolo del suo ultimo libro, che pure non è una biografia del Cavaliere, essendo il compito praticamente immane: “Scrivere la biografia di Berlusconi significa entrare nello spirito di un uomo semplice quanto complesso, scontato quanto imprevedibile, conosciuto quanto inafferrabile”: Tolstoj ce l'ha fatta con il principe Andrej, ma qui tremerebbe la mano pure a lui), per il dolore che sente, per la commozione che prova, la faccia di Berlusconi non ha una precisa e chiara articolazione come per il sorriso o per la soddisfazione. Ha un ghigno dolente, piuttosto, un umano cedere dei muscoli che ne mutano i connotati, quasi fino a renderlo irriconoscibile. Basta osservare la (bellissima) foto in cui Berlusconi, con un casco da pompiere in testa – Presidente Soccorritore, dopo l'infinita gamma di passate evocate qualità, dall'Operaio all'Imprenditore – stringe a sé un'anziana scampata al sisma. E' una sequenza fotografica vera e tragica, tra tante costruite ad arte. Con l'immenso copricapo che quasi gli copre mezzo volto, la faccia di Silvio è come scomposta e soprendentemente ricomposta in un naturale abbandono: le borse sotto gli occhi, un cedimento del mento, i denti nascosti dietro le labbra socchiuse – persino un accenno (inverosimile: che nessuno può dire di aver mai pubblicamente assistito all'evento) di barba non perfettamente rasata. Potesse compiere davvero il miracolo (“Nemmeno i denti c'ho più! Stanno lì dentro!”, mormora la signora), Silvio lo farebbe, ruotando la perfetta sua giostra dentale fino alla sua massima estensione.
    La faccia di Berlusconi non è, generalmente, una faccia tagliata per il dolore – che ovviamente è cosa diversa dal provare dolore. La granitica convinzione che un sorriso (si è sgolato fino allo sfiato per invocare ottimismo di fronte alla crisi economica), possibilmente non seguito da un sottofondo di aglio, ha qualcosa di miracoloso, se non di risolutivo certo di incoraggiante di fronte alle avversità. Senza tutto il pataccume della costruzione mediatica, è una faccia, quella sua vista in Abruzzo, che Silvio dovrebbe tenere tra più care e da rivendicare – altro che storia italiana e sole in saccoccia.

    Con lo sguardo stretto e gli angoli delle labbra che salgono e le grandi orecchie, Berlusconi non è un uomo fatto per l'afflizione. Ce ne sono stati di politici così, con il viso dolente sulle questioni del mondo – da Moro a Berlinguer a Martinazzoli – ma esattamente dal punto di vista della fisiognomica (“della celeste fisionomia”, magari direbbe facendo il verso a Giambattista della Porta) lui ha tutt'altra conformazione. In anni e anni, siamo stati sommersi da milioni di facce di Berlusconi per scoprire alla fine che era sempre la stessa faccia (capello in più, capello in meno). Una costruzione, ma su materiale decisamente ben predisposto all'uso. La faccia di Berlusconi è un multiplo ideale. E' come Mao e come Marilyn e come Elvis per Andy Warhol, è Silvio un ideale barattolo di zuppa Campbell's, perfetta bottiglietta di Coca Cola. Essendo tutta la sua epica politica una perfetta opera pop, la sua stessa faccia si è trasformata in prodotto pop, di largo consumo, di un certo gradimento come di un ostentato rifiuto. Una volta, dopo la prima vittoria elettorale, quella del '94, disse (sconsiderata gioventù): “L'80 per cento è stato fatto…”. Invece l'80 per cento di tutto è la sua faccia, tramutata in un'ossessione tutta italica, tra chi lo loda e lo canta e chi lo insulta e lo osteggia.

    Che poi, neanche solo italica, come ossessione: fu l'Economist che mise (e mette) la sua faccia sulla copertina con inquietante chiaroscuro accanto alla scritta: “Basta”. Nessuno – neanche Mike Bongiorno con “Lascia o raddoppia?”, neanche la Carrà con “Tuca Tuca”, neanche il pulcino Calimero – ha occupato così tanto spazio nell'immaginario nazionale: milioni di foto, manifesti e interviste e una senzazione d'infinita replica. E' in questo batti e ribatti che l'icona Silvio si è costruita e si è consolidata – insieme totalmente Altro (i soldi, il potere, i denti con quel singolare effetto luci di posizione che emanano) e insieme totalmente spezzettato e assimilato dalla nazione, così che persino la compagna e trans Luxuria riconosce una certa complice consuetudine nel trucco. C'è una sensazione di spaesamento se per una qualsiasi ragione Silvio non c'è (al contrario del canto tribale del partito sulla felice condizione esistenziale rappresentata dal fatto che lo stesso c'è).

    Come ha annotato Luciana Littizzetto quando, durante la scorsa campagna elettorale, improvvisamente sui manifesti del centrodestra scomparve il volto del leader e apparve il simbolo elettorale: “Come facciamo adesso? Trovarmi la faccia di Berlusconi sui muri della mia città per me era una tradizione. Come trovare i piccioni in piazza San Marco. Cioè, non vedere quel sorriso a tastiera d'organo senza diesis e bemolle, quegli occhietti a spillo strizzati che fa uno quando gli scappa la pipì… è brutto. Perché non hanno messo la foto di Berlusconi? Ha usato la stessa lozione di Ronaldo e gli son venuti troppi capelli e non sono riusciti a scontornarla?”. E pure Jacques Séguéla, in un'intervista a Magazine, notò la cosa e se ne dolse. “Si vota l'uomo, non il partito. E nei manifesti per ora manca la faccia di Berlusconi”. C'era l'esigenza di far conoscere la nuova alleanza, fece notare l'intervistatore. “E che c'entra? Si vota comunque l'emozione che ti dà un volto”.

    E' il preciso punto d'incontro di amici e nemici, quella faccia che tra i calcinacci d'Abruzzo ha avuto quell'inattesa mutazione (inattesa, ma quasi di sicuro provvisoria). C'è gente che su Internet chiede informazioni su dove trovare maschere di gomma con la faccia di Silvio. Nel bollettino di una parrocchia veneta, per uno sciagurato errore, fu pubblicata una foto (pescata su Internet da un sacerdote un po' distratto) di Papa Wojtyla che aveva però la faccia di Berlusconi. E durante una recita scolastica in un liceo lombardo, un giovane tecnico delle luci inserì, a sorpresa, il volto del premier tra quelli di Hitler e Stalin e Mussolini e poco rassicurante compagnia. Altri invocano il nuovo presidente americano – inopportunamente passato come l'abbronzato, in un esuberante impeto lodatorio, forse sotto l'effetto di qualche cantata melodica napoletana insieme al caro Apicella, “chillo 'o fatto è niro niro/ niro niro comm'a che”, ma nessuna sconcezza razzista – perché si dia da fare: “Obama, la faccia di Berlusconi sotto i piedi tuoi”. E sempre nei forum degli antipatizzanti quella faccia ritorna e ossessiona, sezionata e scrutata ed esaminata: “Ricordo ancora la faccia di Berlusconi, dopo la sconfitta alle politiche del '96: si presentò in televisione con un occhio semichiuso, non so se a causa di un orzaiolo o di un'improvvisa reazione allergica alla sconfitta”. La faccia, ancora quella ossessiva faccia, buttata in pubblicità e godimento dopo la sconfitta del Milan con il Liverpool: “Vedere la faccia di Berlusconi a fine partita, non ha prezzo. Per tutto il resto c'è Mastercard”.

    Delle sue mille facce ridotte a una sola – tranne lì, tra il rovinoso dolore d'Abruzzo – come pezzetti di un solo mosaico bizantino, Berlusconi ha fatto sempre mostra. Persino di quelle indispettite (qualcuno ha presente lo sguardo mentre ultimamente Fini parlava al congresso forzista?) o di noia incontrollabile (certi congressini di partitini alleati, e infatti quando può se la cava con la telefonata in diretta da casa, così che lo sbadiglio resti confinato tra il divano e la servitù). Ha fatto cambiamenti, è ovvio, con il passare degli anni – per dire, è persino ringiovanito – ma senza mai smarrire, mettiamola così, un certo filo logico. La faccia berlusconiana è faccia che mostra i denti e solleva in alto le labbra. E', al massimo grado, la faccia di quello che s'inerpica in groppa a Obama e Medvedev, e solleva il pollice, come con pari entusiasmo avrebbe fatto a Istanbul se col Liverpool fosse andata diversamente. E' quella da bricconcello internazionale che fa le corna nelle foto ufficiali.

    La bandana sarda in compagnia dei coniugi Blair. Il dolcevita nero che da qualche tempo sfoggia. Nientemeno, il filo di cuoio (con diamantino appeso, però), che un giorno ce lo regalò simile in maniera impressionante a certi cumenda milanesi in vacanza, “esatto!!!”. Una faccia da perfetto funambolo, quella berlusconiana, dove altro non vedi che la faccia stessa anche sotto una maschera. E' questo che fa travalicare a un politico la linea di confine tra la popolarità e il pop: l'esatta ripetitività nella perfetta diversità. E infatti, una volta affermata la sua presenza nell'immaginario, la maschera principale è stata smessa: il doppiopetto, a volte le cravatte, le scarpe lucide che ti ci potevi specchiare sopra. Si è duplicato, moltiplicato, espanso – ma sempre Silvio è. La sua faccia è persino finita sui poster trasformata in quella di Che Guevara. Un perfetto prodotto da arte pop, nonostante il suo accanirsi per antiquari e gioiellieri di più radicata conservazione, quell'inquietante tessuto damascato che cola dalle sue tende, il colore dorato che scintilla tutto intorno. Quella faccia ha man mano preso il fucsia e il giallo canarino, il rosso (con rispetto parlando) e quando è al meglio un certo turchese che sempre impreziosisce…

    Lo si intuisce scorrendo mille e una foto, anche quelle anni Settanta davanti al plastico di Milano 3. dove ostenta una strepitosa somiglianza con Cochi Ponzoni, il fratello di palcoscenico di Renato Pozzetto.
    Come la faccia, tutto il corpo di Berlusconi si è fatto icona – e chissà quanto deve aver apprezzato la scena del film “Elizabeth”, quando la regina d'Inghilterra, per mettere al riparo il suo fragile potere, si muta nell'Inghilterra stessa, e trasforma la sua faccia – nel trucco e nell'acconciatura (quest'ultima possibilità non del tutto agevole per il Cavaliere) – in qualcosa di inedito e indimenticabile: Regina Vergine come Cavaliere Ridens. La copertina del libro di Marco Belpoliti (“Il corpo del capo”, Edizioni Guanda), è esemplare da questo punto di vista: Berlusconi è smontato – la testa da una parte, le mani dall'altra, il naso che vaga. Le gambe per conto loro: come se fosse il tavolo anatomico di un episodio di “Csi”, fortunatamente incruento – per venire più dettagliatamente esaminato. Così, scrive l'autore: “Quasi un istinto, a tratti persino diabolico, di pensarsi in rapporto allo spettatore di turno, di indossare degli abiti maschera adatti a chi lo guarda (…) Noi – i suoi elettori, ma anche i suoi oppositori, detrattori, e persino nemici – siamo la superficie riflettente in cui Silvio Berlusconi si guarda: la sua vera immagine e il mondo”. E infatti Belpoliti, a riprova della mutazione della faccia berlusconiana in pura, quasi impalpabile icona, racconta di un incontro tra il Cavaliere e Warhol, “tra i due c'è qualcosa di comune”. Ed ecco: “Se Andy Warhol è un mutante trans dai bianchi capelli, bambino vecchio in via di modificazione ulteriore, anche Silvio Berlusconi lo è diventato, e nella medesima maniera. Così che l'immaginario ritratto che l'artista gli realizza nel poco tempo a sua disposizione, perché lo possa esporre nella sua villa-tana di Arcore, ci mostrerà quel mutante stesso riprodotto in numerose versioni colorate: 25 profili sorridenti come i 25 ritratti di Marilyn”.

    In bilico tra il sorriso e il dolore, la faccia di Berlusconi in questi giorni ha subìto una visibile mutazione. O forse chissà, presto tornerà lo sguardo del “cucù!” improvvisato dietro una colonna, l'antico capitano in calzoncini bianchi che alle Bermude guida la corsa dei suoi seguaci, ormai senza più la necessità del ritocco per infoltire la capigliatura, come generosamente provvide Carlito Rossella su una storica copertina – e fu solo il portarsi avanti rispetto a un restauro tricologico alle porte. Ha di suo, Berlusconi, la faccia pronta per un magnete da frigorifero, come su certe strepitose spillette di chissà quale campagna elettorale che ogni forzista devoto esibiva. Non è la faccia adatta per essere riprodotta sulle monete, quella berlusconiana (e meglio così, che quella è roba che porta un po' sfiga), né da busto del Pincio – tutti dimenticati, tutti dimenticabili e, mica a caso, tutti con la barba… Quello che alla sua faccia rinfacciano è ciò che rende indimenticabile la sua faccia. Come hanno notato – e si intuisce la dovuta attenzione messa – sul Giornale in lode all'immagine della fenomenale arrampicata londinese sulle spalle di Usa e Russia. “La faccia di Berlusconi in mezzo che sorride. E anche l'americano. E anche il russo. Uno fa ok con il pollice, l'altro saluta a mano aperta – s'infiamma Vittorio Macioce – Questa scena fa il giro del mondo e uno si chiede se Berlusconi sbagli. Ma questo è il suo stile, la sua filosofia, la sua politica. E' il suo successo come leader. Può non piacere ma è così. E' una diplomazione umana. Non c'è più lo Stato. Non c'è più la poltrona. Non c'è più la geopolitica senza volto. Ci sono uomini” – e alcuni francamente più rumorosi di altri.

    Ma è così: è la ragione del successo. Poi qualcosa rompe l'illimitata, seriale riproduzione. La testa bianca della vecchia che piange. La mano stretta forte al vecchio alpino. Lo sguardo perso nel cielo, sopra un crollo. E la faccia di Berlusconi vista ieri ai funerali delle vittime – lì, tra due vigili del fuoco e davanti a una fila di carabinieri. Il fazzoletto che insegue una scia di sudore e l'affiorare di una lacrima. E le mani giunte sul volto, mentre l'arcivescovo evoca “l'abisso assurdo e insopportabile” della tragedia. Per sua natura, per suo personale spavento, davanti al dolore a volte Berlusconi quasi non sa dove mettere la faccia. Perché è un'altra faccia quella che per il dolore serve – ed è quest'altra faccia che invece, e per ora, ha preso fortunatamente il sopravvento. Più vera, finalmente un po' scomposta e stanca, i muscoli che tirano nel tentativo di tenere a bada ciò che si sente salire in gola. Quasi specchio esatto della faccia trasformata che lì vicino aveva anche Gianni Letta. Un'altra faccia di Berlusconi. Ma questa, non riproducibile.