Il direttore dell'Economist ci spiega perché Dio “is back”
L'Europa farà come l'America, più religione per tutti. La Cina lo fa già
Nonostante gli epitaffi dei secolaristi contemporanei, all'inizio del XXI secolo Dio non soltanto non è morto, ma è vivissimo e più forte che mai, nonostante l'invasione e il successo dei libri dei “nuovi atei” alla Christopher Hitchens (“God Is Not Great”) e alla Sam Harris (“The End of Faith”). Il direttore dell'Economist, John Micklethwait, cattolico dichiarato, e il capo della redazione di Washington del settimanale britannico, Adrian Wooldridge, che si proclama ateo, ne sono convinti.
Nonostante gli epitaffi dei secolaristi contemporanei, all'inizio del XXI secolo Dio non soltanto non è morto, ma è vivissimo e più forte che mai, nonostante l'invasione e il successo dei libri dei “nuovi atei” alla Christopher Hitchens (“God Is Not Great”) e alla Sam Harris (“The End of Faith”). Il direttore dell'Economist, John Micklethwait, cattolico dichiarato, e il capo della redazione di Washington del settimanale britannico, Adrian Wooldridge, che si proclama ateo, ne sono convinti come dimostra il loro ultimo libro “God Is Back: How the Global Revival of Faith Is Changing the World” (Penguin Press, 2009). Alla questione religiosa i due autori si sono avvicinati mentre scrivevano a quattro mani il libro che ha raccontato l'America conservatrice, “The Right Nation” (tradotto da Mondadori, “La destra giusta”). E hanno scoperto che la questione si allargava anche oltre i confini americani, all'interno dei quali sulla tematica religiosa si versavano fiumi d'inchiostro. “Più approfondivamo la questione in giro per il mondo – racconta Micklethwait al Foglio – più scoprivamo che il ruolo della religione in America non era un'eccezione, ma un modello”. E' piuttosto l'Europa, con la sua fissazione per la secolarizzazione inevitabile, a risultare fuori sincrono con il resto del mondo. “Basta andare in Cina: non soltanto il paese si sta modernizzando molto rapidamente, ma anche la religione sta penetrando nel paese alla stessa velocità”.
Dio fa ancora la parte del leone. Gli elementi che avrebbero dovuto distruggere la religione – “la democrazia e il mercato, la tecnologia e la ragione” – si stanno invece combinando per rafforzarla, specialmente in America. Nel Vecchio continente, invece, la questione è diversa. “In Europa la religione – dice Micklethwait – era così legata allo stato che era difficile tentare di istituirne una nuova in risposta a quella dominante. Questo significa che la religione in Europa non è mai diventata competitiva come in America. E anche se in Gran Bretagna la chiesa d'Inghilterra era un'istituzione tollerante e allo stesso modo anche la chiesa cattolica in alcuni paesi europei, era una forma di tolleranza molto diversa dalla versione americana, che si limita a sostenere che ‘Tutti sono uguali'. Non c'è una religione di stato, tutti partono alla pari. Questa prospettiva ha aiutato la religione negli Stati Uniti”. Sembra poi che la generosità del welfare e il successo della religione siano in relazione inversa: “Più è generoso lo stato, più si svuotano le charity religiose e cala la religione, specialmente nell'Europa occidentale”.
Quando George W. Bush sconfisse John Kerry nel 2004, un democratico disse che “Bush ha usato la religione meglio di Kerry”. Perché nella politica americana la religione gioca la sua parte, e secondo Micklethwait ha persino contribuito a far vincere Obama, che rischiava altrimenti di soccombere allo stereotipo del liberal hollywoodiano. A colpi di fede ha fatto fuori Hillary Clinton, e anche se John McCain lo ha stracciato nel dibattito moderato dal pastore Rick Warren, Obama ha parlato di religione ben più dello sfidante repubblicano. Ma non ha puntato sull'intransigenza: “Ha attirato un sacco di giovani evangelici che sono più preoccupati dell'ambiente e della povertà che dell'aborto o del matrimonio gay. Per persone non necessariamente molto religiose è stato più facile votarlo”.
In Europa, vedendo arrivare l'ondata secolarista, la chiesa cattolica cerca di tenere duro e negli ultimi due pontificati ha scelto la sua strategia di sopravvivenza. Quella di “cattolicizzare la modernità piuttosto che modernizzare il cattolicesimo”. Secondo Benedetto XVI (e Giovanni Paolo II prima di lui) la chiesa non deve farsi da parte ma resistere alle tendenze moderne sostenendo i pilastri della fede. Per il direttore dell'Economist esiste un'analogia complicata fra Benedetto XVI – che “vuole una chiesa cattolica a due velocità” – e l'Ue. “Vuole un cuore di credenti impegnati interno alla chiesa così come forse i francesi, i belgi, i tedeschi e gli italiani vogliono un nucleo interno europeo insieme con un nucleo esterno formato da paesi come quelli scandinavi e la Gran Bretagna. Non credo che a Benedetto XVI dispiaccia aver in qualche modo una comunità più ristretta pur di avere un nucleo forte”. E alcuni suoi gesti e parole, spiega Micklethwait, mostrano proprio che non desidera a tutti i costi coinvolgere tutte le componenti, “per quanto questo ad alcuni sembri disastroso”. Secondo Micklethwait gli ultimi due papi hanno chiarito che molte delle religioni che se la sono cavata bene nell'era moderna sono state abbastanza inflessibili. “Credo abbiano assunto l'atteggiamento secondo il quale i cattolici non devono scendere a compromessi”. Se le persone tornano a dirsi cristiane, poi, specialmente in Europa, è anche merito dell'islam. “La gente dice più facilmente che è cristiana se ci sono molti musulmani che vivono nei dintorni. Il che non significa necessariamente andare in chiesa, ma sembra comunque esserci una reazione. E poi l'islam porta la religione dritta nella politica”. Ed ecco così il rifiorire in Europa delle discussioni contro la sharia, il chador e i confini fra moschea e stato che in molti consideravano sepolte.
Per Micklethwait è più facile che l'Europa segua il modello americano piuttosto che l'America si incammini per la via della secolarizzazione. Nonostante i numeri sciorinati dal settimanale Newsweek nella sua inchiesta di settimana scorsa, “The decline and fall of christian America”, secondo i quali gli atei sono in aumento. “La verità è che l'America resta cristiana al 76 per cento. E il numero di cristiani impegnati cresce”. Secondo lui l'Europa comincerà a fare l'americana, con le religioni che si moltiplicano e diventano competitive fra loro. “Non dico certo che l'Europa si stia all'improvviso convertendo in una terra di megachiese, perché non è così. Ma il dato di fatto è che Dio sta tornando nella politica un po' ovunque, Europa compresa”.
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