Torna in libreria "La chiusura della mente americana", epitaffio dell'educazione liberale

Quando tutti gli asini ce l'avevano con Allan Bloom

Giulio Meotti

Quando nel 2001 Saul Bellow se ne uscì con il suo “Ravelstein”, fece scalpore perché rivelava, sotto lo pseudonimo di Abe Ravelstein, la morte per Aids di Allan Bloom, lo straordinario istrione e classicista dell'Università di Chicago. Bloom la nemesi del politicamente corretto, dell'egualitarismo universitario e degli intellettuali “alla Bloomsbury”, come li chiamava lui.

Leggi Amici & Complici, il ritratto di Bloom e Bellow dal Foglio del 29 agosto 2000 - Leggi Università piene di eunuchi guardiani e ciarlatani di Allan Bloom

    Quando nel 2001 Saul Bellow se ne uscì con il suo “Ravelstein”, fece scalpore perché rivelava, sotto lo pseudonimo di Abe Ravelstein, la morte per Aids di Allan Bloom, lo straordinario istrione e classicista dell'Università di Chicago. Bloom la nemesi del politicamente corretto, dell'egualitarismo universitario e degli intellettuali “alla Bloomsbury”, come li chiamava lui. Il catone che aveva accusato l'establishment liberal di aver snaturato l'accademia “con l'imperativo di promuovere l'eguaglianza, di eliminare il razzismo, il sessismo, le guerre, e di disconoscere l'autorità in nome di una verità morale superiore”. In Italia torna finalmente il suo capolavoro, con la prefazione di Bellow. Ravelstein ci aveva consegnato un Bloom con l'orologio da ventimila dollari, i sigari avana acquistati di contrabbando, gli accendini Dunhill e i mozziconi aspirati un paio di volte e poi spezzati in due. Il gaudente che ascoltava tutto il giorno Rossini a tutto volume e che quando i vicini gli bussavano per lamentarsi, rispondeva che senza musica la vita è un deserto e che ascoltare avrebbe giovato anche a loro.

    All'omosessualità giocherellona Bloom preferiva un sano nichilismo. “Mi piacciono quelli che accettano il nichilismo come una condizione e vivono quella condizione. Sono i nichilisti intellettuali che non posso soffrire. Preferisco quelli che vivono con i loro peccati. I nichilisti naturali”. Questo libro straordinario portò ad Allan Bloom più nemici di quanti potesse desiderare un masochista. La sua colpa era stata quella di spiegare perché “la benedizione data dall'intellighenzia alla nozione di diversità culturale negli Stati Uniti ha contribuito a un degrado dell'idea che i diritti individuali enunciati nella Dichiarazione di Indipendenza siano qualcosa di più di una retorica datata”. Traduttore di Rousseau, di Platone, dei drammi di Shakespeare, Bloom nel mondo accademico resterà per sempre un paria, un eccentrico, uno snob, un conservatore. Odiato dai liberal e dai radical perché cresciuto alla scuola di Leo Strauss, l'ultimo filosofo classico dei tempi moderni che in nome del diritto naturale e dell'asse Atene-Gerusalemme combatteva il relativismo e lo storicismo, con questo libro Bloom, l'intellettuale dandy figlio di due assistenti sociali di Indianapolis, in pochi mesi vendette mezzo milione di copie e fu tradotto in tutto il mondo.

    Il libro è il suo grandioso epitaffio all'educazione liberale, un poderoso atto d'accusa contro l'università americana, il dilagare nietzscheo-heideggeriano della decostruzione, la piattezza culturale dei giovani. E soprattutto il positivismo sessuale. “C'è un tale impoverimento nel nostro linguaggio riguardo a quella che un tempo era considerata l'esperienza più interessante della vita, che oggi per parlarne servono le parole dei grandi poeti che l'eros l'hanno preso sul serio”. Bloom diceva che “non è terrificante l'immoralità del relativismo. Ciò che è degradante è il dogmatismo con cui accettiamo questo relativismo e la nostra mancanza di preoccupazione rispetto al significato delle nostre vite”. Per usare le parole di Bellow, “Bloom fece infuriare i rappresentanti del mondo accademico. Vi erano elencati i difetti del sistema in cui loro si erano formati, la superficialità del loro storicismo, la loro debolezza per il nichilismo europeo. Denunciava che nessuna vera istruzione è possibile nelle università americane, tranne che per gli ingegneri aeronautici, gli esperti di computer e simili. Se Bloom fosse stato un trombone o un parolaio, non sarebbe stato preso in considerazione. Era invece ragionevole e bene informato e i suoi argomenti perfettamente documentati. Tutti gli asini fecero causa comune contro di lui”.

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    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.