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Capuozzo racconta il terremoto che non avete ancora visto

Toni Capuozzo

Il primo nato in una tendopoli – tendopoli Paganica 3 – si chiama Maichol, scritto così, e per me, che non sono snob, questo dice tutto. Dice di una distanza di quel mondo dal mondo perdutamente innamorato di se stesso – e che dunque anche odia se stesso – che è l'informazione, la politica, la cultura che finge di essere alta. Per me, il terremoto d'Abruzzo sta lavorando su vecchie cicatrici.

    Il primo nato in una tendopoli – tendopoli Paganica 3 – si chiama Maichol, scritto così, e per me, che non sono snob, questo dice tutto. Dice di una distanza di quel mondo dal mondo perdutamente innamorato di se stesso – e che dunque anche odia se stesso – che è l'informazione, la politica, la cultura che finge di essere alta. Prendiamo il caso Santoro. So che è denaro pubblico, ma non amo la censura. Non ho visto la puntata di “Annozero”. Ma da quel che so, la critica mia è molto più pesante di quella dei politici: è un giornalismo che è convinto di nutrirsi di passione civile, e qualche volta persino crede di essere l'unica opposizione. E invece è un giornalismo pigro, che ha sempre gli stessi moduli e la stessa formula, crisi dopo crisi, emergenza dopo emergenza, ha i suoi avversari, patrocina le sue vittime, svolge le sue requisitorie, concede uno spazio tollerante alla difesa, ma è imperturbabile a ogni novità, non si fa mai turbare, né sconvolgere da alcunché, è senza curiosità, senza dubbi, non si immerge mai nella realtà per uscirne un po' diverso: invecchia su se stesso (e con lui invecchiano i suoi censori). Invece bisogna scavare, come fanno i volontari, con più modesti e inutili taccuini, penne biro, macchine fotografiche e telecamere, in punta di piedi, se si vuole provare a capire qualcosa.
    Per me, il terremoto d'Abruzzo sta lavorando su vecchie cicatrici.

    (Domani sul Foglio in edicola il lungo racconto di Toni Capuozzo e in esclusiva on line per gli abbonati al Foglio.it)