Farsi ascoltare, a ogni costo. La missione di Roberta Tatafiore, un'estremista della libertà

Nicoletta Tiliacos

E' in un diario cominciato il primo gennaio e arrivato fino a qualche giorno prima del suo suicidio, che Roberta Tatafiore spiegherà, forse, i motivi della sua decisione. E saranno quattro amici da lei scelti, destinatari del memoriale spedito per posta, a dover stabilire come, se e quando pubblicarlo, secondo quanto Roberta ha chiesto loro in una lettera.

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    E' in un diario cominciato il primo gennaio e arrivato fino a qualche giorno prima del suo suicidio, che Roberta Tatafiore spiegherà, forse, i motivi della sua decisione. E saranno quattro amici da lei scelti, destinatari del memoriale spedito per posta, a dover stabilire come, se e quando pubblicarlo, secondo quanto Roberta ha chiesto loro in una lettera. Una cerimonia degli addii che rimanda, nella sua accuratezza, alla volontà di Roberta di non lasciare nulla al caso, di lasciare invece qualcosa su cui riflettere e di cui tener conto, da ora in poi.

    Per la storica Anna Bravo, che ha vissuto come Roberta Tatafiore gli anni importanti del femminismo, “lei aveva sempre delle cose da dire e le diceva dove trovava lo spazio per farlo. Non l'ho molto frequentata ma ho letto sempre tutto quello che ha scritto. Il suo suicidio lo vedo come portare le cose alle conseguenze estreme, che era poi il suo stile di coraggio e di libertà. Per quello che ho capito di lei, quel gesto non corrisponde affatto all'odio e al disprezzo per la vita: è la scelta di finire e di dire: io faccio quello che voglio e come voglio”. Anna Paola Concia, parlamentare del Pd, di Roberta Tatafiore parla come di “una madre e maestra. Era una persona di intelligenza audace, che mi ha insegnato la libertà di pensiero. Non ho mai visto la sua scelta di destra come una cosa da condannare, anzi. L'ho sempre capita e sostenuta, perché so come nasceva. La sua grande capacità di libertà è una garanzia, anche in un momento triste come questo. Sono triste perché non la vedrò più, ma per lei mi sento tranquilla, pacificata. Il modo che ha scelto per morire non mi ha stupito. Lo capisco e lo rispetto. E' parte di lei, è intonato al modo in cui ha condotto la sua vita”.

    Diverso l'accento che la giornalista Marina Terragni mette sull'elemento della libertà: “Il gesto di Roberta Tatafiore mi fa pensare a una sorta di fanatismo politico della libertà. Non lo dico affatto in senso dispregiativo, ma avendo ben presente quello che il Foglio stesso ha scritto: Roberta era una militante della libertà, nel senso più estremo. Penso che nel suicidio ci sia sempre una sofferenza, altrimenti la vita vince sempre. Quale fosse la sofferenza di Roberta non lo sappiamo, forse lei ce lo spiegherà con il suo memoriale. Ma vedo anche, nella sua scelta di morire, un elemento ‘politico', un gesto politico di estremismo della libertà deciso da una persona che tutti ricordiamo di furente vitalità. La morte di Roberta ci parla, come ci ha parlato il suicidio di Alexander Langer. Ogni storia è storia a sé, ma sono entrambi morti che parlano delle nostre vite, di quello che siamo e di quello che siamo stati”.

    Per la femminista Alessandra Bocchetti, che con Roberta Tatafiore ha fondato alla fine degli anni Settanta il Centro Virginia Woolf, “bisogna aspettare il suo memoriale, per provare a capire. Ma, senza ancora conoscere quello che Roberta ha lasciato scritto, non posso fare a meno di pensare che questo è un periodo durissimo, per chi ha fatto politica per tutta la vita, come Roberta: con onestà, con coraggio, prestando la sua faccia, nella libertà più assoluta, senza paura di passare da una parte all'altra, se lo sentiva necessario. Il momento che attraversa la politica è tremendo. Lo penso per la sinistra, per l'abbraccio con i cattolici che alla sinistra ha fatto perdere identità, per la qualità dell'intervento pubblico. Che c'entra con Roberta? C'entra, anche se lei è stata berlusconiana. Il suo cammino – che è stato originale, non solitario –  l'ha portata a confronti accesissimi tra noi (sulla prostituzione, per esempio, la pensavamo in modo radicalmente diverso). Ma poi c'è stata la fine della politica, ridotta a uno spettacolo avvilente. Per noi, e per una come Roberta, che alla politica ha creduto, tutto questo non poteva essere separato dall'anima. E' questo, il primo senso che sono portata a dare al suicidio di Roberta. Un senso che magari è del tutto arbitrario e domani sarà smentito da quello che ci dirà nel suo diario. E' una fine che parla del deserto di tutto quello che per noi è stata la politica, la pienezza della politica e delle relazioni, e naturalmente quando parlo di politica parlo (anche) del femminismo”.

    La giornalista Franca Fossati, che è stata direttrice di Noidonne e che con Roberta Tatafiore ha lavorato per sette anni, dice che “il suo suicidio mi ha provocato una reazione molto simile a un'arrabbiatura. Sono arrabbiata con Roberta. Sono arrabbiata perché il suo suicidio lo vedo come conseguenza di un orgoglioso senso dell'io che non ammette sconfitte, che non ammette le proprie debolezze (perché lei invece con le debolezze altrui lei era tollerante). Roberta è stata sempre ‘contro', sempre diversa, sempre pronta a diventare un simbolo. Non era protagonismo, era il bisogno di farsi ascoltare. Ed è stata a suo modo profetica, nel suo mettere l'accento, quando davvero non era un fatto usuale, sull'aspetto delle libertà individuali (lei non le avrebbe mai chiamate diritti: la parola non le è mai piaciuta). Ricordo che  Roberta parlava di eutanasia quando la parola suonava quasi sconosciuta”.

    Farsi ascoltare, a costo di provocare: era uno dei modi di Roberta. Parlava di Carla Lonzi, l'autrice di “Sputiamo su Hegel” e fondatrice di Rivolta femminile nel 1970. Roberta pensava di scrivere un saggio sui faticosi rapporti tra la Lonzi e l'intellighenzia (di sinistra, perché altra non c'era) dell'epoca. Si riferiva soprattutto a una lettera spedita da Carla Lonzi a Pier Paolo Pasolini, che non ebbe mai risposta. Quell'indifferenza, quel silenzio, erano stati, secondo Roberta Tatafiore, un motivo di angoscia e senso di sconfitta per la Lonzi, oltre che un'occasione perduta. Franca Chiaromonte, senatrice del Pd, è stata legata a Roberta Tatafiore da un'amicizia forte, che si è tradotta in molte cose fatte e scritte insieme, nel corso degli anni. Oggi, di fronte al suicidio di Roberta, Franca Chiaromonte ripensa proprio “alla sua fortissima voglia di farsi ascoltare, di farsi capire, di mettere in comune quello che lei andava elaborando. E forse anche il modo che ha scelto di morire fa parte di questa richiesta. Il suo può quindi essere interpretato come un atto ‘politico', nel senso che a questa parola ha dato il movimento delle donne”.

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