“Comporre una morte”. E' il titolo della storia del suicidio filosofico affidata da Tatafiore agli amici
La donna in rivolta
“Comporre una morte”: Roberta Tatafiore (nella foto di Paola Agosti, terza da sinistra) ha voluto intitolare così il memoriale spedito per posta a quattro amici poco prima di togliersi la vita. Spicca il richiamo simmetrico e contrario a “Comporre una vita”, il libro dell'antropologa Mary Bateson, uscito alla fine degli anni Novanta, nel quale si spiegava che nessun fallimento può piegare davvero una vita, perché il divenire e il superamento continuo degli accadimenti, attraverso la creatività umana, garantisce dallo scacco definitivo.
Roma. “Comporre una morte”: Roberta Tatafiore (nella foto di Paola Agosti, terza da sinistra) ha voluto intitolare così il memoriale spedito per posta a quattro amici poco prima di togliersi la vita. Spicca il richiamo simmetrico e contrario a “Comporre una vita”, il libro dell'antropologa Mary Bateson, uscito alla fine degli anni Novanta, nel quale si spiegava che nessun fallimento può piegare davvero una vita, perché il divenire e il superamento continuo degli accadimenti, attraverso la creatività umana, garantisce dallo scacco definitivo.
All'arte di comporre la vita Roberta Tatafiore ha voluto contrapporre – o ha voluto accompagnare – l'arte di comporre la propria morte. Le ottanta pagine del suo memoriale sono arrivate da un paio di giorni nelle mani dei quattro esecutori del suo lascito ideale, che insieme dovranno valutare e decidere se e come pubblicarle. C'è molto di Roberta, in questo mettere insieme persone a lei molto care, persone di cui si fidava, per garantirsi la cura migliore di parole che sappiamo già importanti, e non soltanto perché concepite in circostanze eccezionali e “ultime”. Una sorta di comitato amicale privato più che politico, composto dall'esperta di affari internazionali in Confindustria Annalisa Biondi, dall'architetto Laura Gallucci, dalla studiosa di spiritualità cristiana Rosetta Stella (tutte e tre accomunate dall'aver attraversato l'esperienza del femminismo) e dal giornalista Daniele Scalise, autore di saggi sull'omosessualità e sull'antisemitismo. Persone diverse che nel tempo sono state approdi fidati per Roberta Tatafiore.
Rosetta Stella, dice al Foglio che “la richiesta che ci viene da Roberta è molto precisa e insieme molto aperta, perché lascia a noi la decisione finale, dopo aver letto attentamente quello che ha scritto e averlo meditato. Non ci chiede che questo e lo faremo. Il gesto di Roberta mi parla della drammaticità di una transizione collettiva, politica, antropologica che stiamo vivendo tutti e che macina tutto, vite comprese. Roberta era una persona sensibilissima. Non c'era niente che lei non valutasse in rapporto a sé e al mondo, in una conversazione continua con se stessa e con il mondo. Il suo gesto è un'istantanea di tutto ciò, la fotografia dell'esaurimento di una modalità dell'esistenza, del piombare nella macina che tutto stritola. La morte di Roberta, per noi che le abbiamo voluto bene, è certamente una sventura privata. Ma, così come accade con sventure come un terremoto – non riesco a non associare la morte di Roberta ai giorni del terremoto – quella sventura privata e amicale ci chiede di fermarci a ‘contemplare', come diceva Simone Weil”.
Laura Gallucci, amica di antica data di Roberta Tatafiore, ha lavorato nell'ultimo anno a un documento di discussione tra donne sul “coraggio di finire”. Un documento che sarà presentato il 19 aprile – per una imponderabile coincidenza con la volontà di finire messa in atto da Roberta – e che affronta il tema della fine, declinato sui temi della bioetica, della politica, dell'esistenza individuale. Laura Gallucci pensa che “a suo tempo, dopo aver valutato attentamente le modalità migliori, il memoriale di Roberta andrà certamente pubblicato. Anche se, quando ho ricevuto il manoscritto, la prima cosa che ho pensato era che mi sentivo arrabbiata con Roberta e che per dispetto non lo avrei letto subito, forse non lo avrei nemmeno letto, perché non sopportavo quello che Roberta aveva fatto. Ma poi mi sono decisa a leggerlo, ed è subentrata una sensazione di pace. Ho letto soltanto le prime pagine, e per me è come se una bomba fosse stata disinnescata. Perché nelle pagine del suo memoriale c'è tutta Roberta, tutto il suo modo di procedere verso una direzione precisa, uno scopo preciso. Era anche quello che ci divideva. Io, come Mary Bateson in ‘Comporre una vita', le dicevo che la vita è una sorta di assemblaggio anche delle parti dell'esistenza apparentemente negative, che è un passaggio verso qualcosa che non possiamo sapere e interamente determinare. Lei non era d'accordo, abbiamo tante volte discusso su questo, e lo ribadisce con il titolo del suo memoriale. Ma quello che scrive Roberta è molto importante, ed è qualcosa che si può accogliere”.
Annalisa Biondi ricorda che ruppe con il femminismo nel 2000, più o meno in contemporanea con Roberta Tatafiore. Annalisa, che era redattrice della rivista DWF/Donna Woman Femme, intervistò Roberta, che parlava con parole durissime di uno stallo insuperabile e definitivo del movimento.
Annalisa Biondi racconta che “fu un'intervista molto criticata, dove Roberta diceva cose inequivocabili. Nello stesso tempo, insieme ragionavamo su un'altra rottura, con la sinistra. Non perché fossimo di destra con valori di destra, ma perché pensavamo che i problemi andavano affrontati con strumenti diversi da quelli che ci sembravano usurati. Roberta era una pioniera. E' l'unica di noi che ha seguito filoni che nessuna aveva il coraggio di affrontare, a volte in modo temerario. La vita di Roberta è stata un laboratorio, per sua volontà, e in un certo senso lo è la sua morte, con le modalità che lei ha scelto di darle. Anche il suo memoriale, che pure è pieno di riferimenti letterari, parla soprattutto di lei come laboratorio di se stessa. Quello che scrive Roberta è perfettamente in linea con ciò che conosco di lei: una persona capace di sbatterti sul muso le sue certezze assolute senza mai dimenticare l'ironia che salva tutto, l'affetto e la comunicazione. Anche questo consegnarci i suoi pensieri scritti fa parte di una sorta di mediazione operata da Roberta. Lei non ci ha voluto lasciare soli a confronto con il suo suicidio, ci ha lasciato pagine bellissime, fatte di ragionamento e narrazione. Il suo è un argomentare per portare alla luce la verità, la sua verità. E' un libro di filosofia, nel senso più alto e antico del termine”.
E dalla lettura del memoriale di Roberta Tatafiore Daniele Scalise sente accresciuto il “rispetto per lei. Roberta spiega, racconta, dettaglia la costruzione della sua morte e fa capire come quella morte lei l'ha scelta, in pienezza di libertà e di volontà. Lei credeva nella libertà, fino alle estreme conseguenze, e si è voluta liberare di un ospite inatteso. Atteso a lungo, anzi, perché racconta tanto di sé, della sua vita, della sua infanzia, di suo padre. Queste pagine, un studio lucidisssimo sul suicidio, sono un regalo prezioso, generoso e intelligente che Roberta ci fa. Un regalo fatto anche per proteggere chi le ha voluto bene, perché Roberta racconta da donna libera, in pieno possesso di sé con una serenità che contagia il lettore. Per me, che pure temevo il momento della lettura del memoriale di Roberta, è qualcosa che rende meno amara la sua assenza”.
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