Intervista ad Alejandro Peña Esclusa sull'America del sud
"E' la crisi che spinge i regimi a radicalizzarsi". Come Chàvez e Morales dimostrano
“In Bolivia due settimane fa sono andato in carcere a trovare Leopoldo Fernández, e queste sono la L e la F che mi hanno messo. Mettono un timbro con l'inchiostro indelebile con le iniziali del detenuto che uno va a trovare”. A parlare, mostrando il dorso della mano destra, è Alejandro Peña Esclusa.
“In Bolivia due settimane fa sono andato in carcere a trovare Leopoldo Fernández, e queste sono la L e la F che mi hanno messo. Mettono un timbro con l'inchiostro indelebile con le iniziali del detenuto che uno va a trovare”. A parlare, mostrando il dorso della mano destra, è Alejandro Peña Esclusa: già candidato alla presidenza del Venezuela nel 1998, e leader di una ong di nome Forza Solidaria che da ormai un decennio sta rompendo le scatole a Chávez e, va detto, anche al resto dell'opposizione, che accusa di continuare a credere in un gioco elettorale oramai impossibile. Ma anche il già citato Fernández al gioco elettorale aveva creduto. Prefetto del Dipartimento amazzonico di Pando e oppositore di Evo Morales, fu infatti confermato al referendum revocatorio dello scorso 10 agosto, con il 56,21 per cento di voti a favore. Ma poi finì in galera il 16 settembre, sotto l'accusa di “genocidio” per i 15 morti e 37 feriti di un incidente avvenuto cinque giorni prima. In Venezuela il prossimo 20 aprile dovrà presentarsi in tribunale Manuel Rosales: ora sindaco di Maracaibo dopo essere stato governatore dello stato di Zulia e candidato dell'opposizione alle ultime presidenziali. Rischia un arresto per accuse di corruzione sostanzialmente analoghe a quelle che pendono su almeno una decina di sindaci chavistas, dei quali però nessun giudice chiede l'incarcerazione. E un processo è stato montato anche nel Nicaragua di Daniel Ortega contro il leader dell'opposizione Eduardo Montealegre.
“È la crisi che spinge i regimi a radicalizzarsi”, spiega Peña Esclusa. Che tra i suoi bersagli polemici ha anche il Dipartimento di Stato Usa, per aver sempre accreditato i risultati elettorali in Venezuela, e per aver anche puntato sulla possibilità di dividere i governi di sinistra latino-americani tra un asse moderato guidato da Lula e un asse più radicale imperniato su Chávez. “È Lula il vero potere dietro al trono di Chávez”, ribatte. “Ci sono differenze nelle condizioni dei Paesi, come ha spiegato lo stesso Lula: Chávez corre con una Formula 1, più veloce di noi; egli va a 300 Km all'ora e noi possiamo correre solo a 230 o 270. Ma al dunque Lula difende sempre Chávez, anche se non trascura di fare affari con gli Stati Uniti”. Non solo Lula e Chávez na i governanti di ormai almeno una quindicina di Paesi latino-americani appartengono infatti al Foro di San Paolo: intesa che i comunisti cubani e il Pt dello stesso Lula stabilirono dopo la caduta del Muro di Berlino. “Una riedizione del vecchio Comintern che lavora a vari livelli, e contro cui i partiti tradizionali sono poco efficaci, perché strutturati solo per il momento elettorale”.
Proprio per controbattere il Foro Peña Esclusa ha costituito un'alleanza di ong a livello continentale, denominata Unoamérica. “Non basta il momento elettorale: bisogna agire anche a livello di società civile e di cultura”.
Presto, secondo Peña Esclusa, la crisi economica si trasformerà in crisi politica. Mentre però i governi “moderati” come in Brasile e Uruguay saranno sconfitti alle urne, quelli radicali saranno appunto tentati di estremizzare il loro discorso. “E con l'asse tra Chávez e Ahmadinejad, c'è addirittura il rischio di una nuova crisi dei missili”. Quanto al Venezuela, Peña Esclusa non è contrario alla partecipazione alle elezioni, “ma a patto che si trasformino in preparazione alla disobbedienza civile di massa”: la via da lui predicata in tutti questi anni. Appigliandosi, e questo è il bello, proprio a quell'articolo della costituzione di Chávez che sancisce questo diritto.
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