Il veleno di Durban
Scrive il Wall Street Journal che “se gli estensori della nuova Durban raggiungeranno il loro obiettivo, qualsiasi cambiamento degli insegnamenti islamici, compresi quelli destinati a giustificare la violenza, potrebbero essere un tabù”. L'Arabia Saudita è da mesi impegnata in una potente campagna di messa al bando della “diffamazione dell'islam” presso le Nazioni Unite.
Scrive il Wall Street Journal che “se gli estensori della nuova Durban raggiungeranno il loro obiettivo, qualsiasi cambiamento degli insegnamenti islamici, compresi quelli destinati a giustificare la violenza, potrebbero essere un tabù”. L'Arabia Saudita è da mesi impegnata in una potente campagna di messa al bando della “diffamazione dell'islam” presso le Nazioni Unite. Il Dipartimento di stato americano accusa i sauditi di utilizzare l'Onu, i forum e i consessi internazionali per far avanzare un'agenda che mina ovunque la libertà religiosa. E il culmine scenico sarà Durban II, il seguito della Conferenza dell'Onu che in Sudafrica si trasformò in una comica parata di antisemiti. Stavolta si terrà a Ginevra dal 20 al 24 aprile 2009.
“Le più serie manifestazioni della diffamazione religiosa – si legge nella bozza saudita – vengono dall'aumento dell'islamofobia e dal peggiorare della condizione delle minoranze musulmane nel mondo”. Islamofobia significa tacciare di incitamento all'odio qualsiasi critica sull'islam. La bozza parla di un codice di condotta per i media e di “standard internazionali vincolanti che possano offrire adeguate garanzie contro la diffamazione religiosa”. E' un potentissimo strumento di censura preventiva.
Ripubblicare le vignette sul profeta Maometto, sfruttate dai sobillatori islamisti nel 2006 per provocare una serie di rivolte sanguinose, da domani potrebbe essere un'offesa criminale. Sebbene si esprima nel linguaggio dei diritti, la dichiarazione non riguarda il diritto di praticare la propria religione. Se fosse stato così, si sarebbe concentrata sulla triste condizione delle minoranze religiose nell'islam. In Arabia Saudita, per esempio, pregare pubblicamente in un'altra religione che non sia quella islamica è vietato. Portare la croce al collo o la menorah spillata al petto è anche questo vietato.
Israele ha annunciato che non parteciperà agli incontri di Ginevra. Il primo ministro canadese Stephen Harper si è meritato un momento di gloria per aver detto: “Non parteciperemo a nessun incontro antisemita e antioccidentale travestito da meeting antirazzista”. La decisione di mandare una delegazione a Durban II sarà uno dei primi test per il nuovo segretario di stato americano Hillary Clinton e per l'Amministrazione Obama. Un panel di esperti bipartisan ha chiesto intanto all'Onu di contrastare l'iniziativa saudita e della Conferenza islamica. La risoluzione verrebbe usata per discriminare minoranze, convertiti e non credenti. Che gli islamisti e i wahabiti chiamano “apostati” e “miscredenti”. Frank La Rue, esperto di libertà d'espressione, l'ungherese Miklos Haraszti dell'Osce, il giurista sudafricano Faith Tlakula e Catalina Botero dell'Organizzazione degli stati americani hanno spiegato che il concetto di islamofobia si trasformerebbe in uno strumento per “prevenire il criticismo legittimo”.
Juliette De Rivero, direttore dello Human Rights Watch di Ginevra, ha lanciato l'allarme. “Le preoccupazioni legittime per la relazione tra intolleranza razziale e religiosa e l'odio non dovrebbero costituire il pretesto per mettere in discussione libertà fondamentali come la libertà di parola”, ha dichiarato davanti agli organizzatori di Durban II, come è stata ribattezzata anche se si svolge in Svizzera. Otto anni fa assistemmo a un carnevale di pregiudizio e di odio contro lo stato ebraico. Stati Uniti e Israele ritirarono le delegazioni, mentre Australia e Canada redigevano comunicati contro l'“ipocrisia” dell'evento. L'Italia ha appena approvato una risoluzione che impegna il governo “a intervenire in sede europea affinché venga scongiurato il rischio che la Conferenza si svolga su una piattaforma ispirata all'intolleranza e alla discriminazione etnica, culturale e religiosa”.
I paesi islamici hanno già conseguito una vittoria eclatante lo scorso marzo: hanno ottenuto che il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite emanasse un divieto universale contro “la diffamazione pubblica della religione”, cioé l'islam. La conseguenza sarà che su tutti gli stati dell'Onu verranno fatte pressioni per l'approvazione di leggi restrittive della libertà di parola e di azione nell'interesse della lotta all'“islamofobia”. Se l'iniziativa saudita avrà successo, una definizione molto generica e pericolosissima di “islamofobia” verrà inclusa nel documento finale di Durban. A quel punto gli organi delle Nazioni Unite, tra i quali la Commissione per l'Abolizione della discriminazione razziale, chiederanno ai singoli paesi di applicare le nuove direttive uscite da Durban II. Altri organismi internazionali adotteranno la definizione di “islamofobia”, finché le conseguenze non tarderanno a manifestarsi.
Allora intellettuali e scrittori come il canadese Mark Steyn, il francese Robert Redeker, l'inglese Martin Amis, l'olandese Ayaan Hirsi Ali, il danese Flemming Rose, la bengalese Taslima Nasreen e l'americana Sherry Jones potrebbero essere portati in tribunale. Finora i processi alla libertà d'espressione, da quello di Steyn a quello di Michel Houellebecq, sono tutti miseramente falliti. Ma se i censori dell'islamofobia, benedetti dagli imam del regno saudita, avessero successo, la prossima volta in un'aula di tribunale farà la differenza questo micidiale capo d'accusa. Nel 1992 il poeta Sadiq abd al Karim Milalla fu decapitato dai sauditi per aver suggerito che Maometto si era scritto il Corano. Era stato anche lui accusato di “offesa all'islam”.
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