Il G20 minaccia sanzioni ai paradisi fiscali

Giulia Pompili

Costa Rica, Uruguay, Filippine, e Labuan: Territorio Federale e Porto Franco della Malaysia conosciuto in Italia soprattutto per la salgariana Marianna Guillonk “la Perla di Labuan”; e che a questo punto per assonanza evoca veramente i “pirla di Labuan”.

    Costa Rica, Uruguay, Filippine, e Labuan: Territorio Federale e Porto Franco della Malaysia conosciuto in Italia soprattutto per la salgariana Marianna Guillonk “la Perla di Labuan”; e che a questo punto per assonanza evoca veramente i “pirla di Labuan”. Impressione che diventa ancora più forte se si pensa che a meno di 24 ore dalla pubblicazioni di questa striminzita lista nera di Paradisi Fiscali da parte dell'Ocse, pure l'Uruguay è stato subito promosso alla “lista grigia” dei Paesi “non ancora in regola con le nuove norme internazionali in materia fiscale ma impegnati a conformarvisi”: Mario Bergera, presidente della Banca Centrale, aveva subito protestato, che già del 2007 la riforma fiscale voluta dal governo di sinistra di Tabaré Vázquez aveva non solo introdotto in Uruguay l'imposta personale, ma aveva anche disposto norme severe in materia di supervisione e regolazione.
    Insomma, dopo tanto tuonare contro i Paradisi Fiscali, manco fossero loro la causa di tutti i recenti disastri della finanza internazionale, alla fine G20 e Ocse mandano il messaggio che a affondare l'economia mondiale sono stati Labuan, Costa Rica e Filippine. Punto. E sì che, demagogia a parte, in questo momento la ripresa di ruolo in economia da parte di Stati e leve fiscali, il tanto strombazzato ritorno a Keynes e al New Deal, rendevano in apparenza più forte che mai l'accordo tra i governi per un'offensiva finale contro paradisi fiscali e centri off-shore in genere.

    Preparata d'altronde da episodi come le scorribande dei servizi segreti tedeschi in Liechtenstein; la pressione dell'Ocse su Andorra, Monaco e lo stesso Liechtenstein; il documento del Parlamento Europeo per vietare i rapporti con i Paradisi fiscali dichiarati fuorilegge; la richiesta di Germania e Francia all'Ocse di inserire la Svizzera nella lista nera dell'Ocse fin dal 2008. Perché, e questo i mass media non l'hanno spiegato troppo, in realtà le liste di paradisi fiscali l'Ocse le redigeva già da un bel po' di tempo. E non solo l'Ocse: ci sono anche liste di paradisi fiscali stabiliti dal Fondo Monetario Internazionale; dal Financial Stability Forum di Mario Draghi; dal G7; perfino dalla legge italiana.  Liste peraltro non coincidenti tra di loro, per i diversi criteri di individuazione. La legge italiana, ad esempio, parla solo di regime finanziario privilegiato. L'Fmi considera il gran numero di istituzioni finanziarie lavoranti per non residenti; un sistema finanziario i cui asset siano molto superiori alle esigenze dell'economia interna; una serie di servizi come tassazione bassa o nulla, regolazione finanziaria minima, segreto bancario e anonimato. Per l'Ocse sono essenziali un regime fiscale con imposte insignificanti o addirittura inesistenti; l'assenza di trasparenza sullo stesso regime fiscale; le non disponibilità a trasmettere informazioni di natura fiscale a altri Paesi; l'attitudine ad attrarre società fittizie.

    La novità è stata dunque non la lista, ma la minaccia del G20 di sottoporre a sanzioni chi ci fosse finito dentro: pur senza ancora precisarne la natura esatta. Ma gli Stati Uniti sono stati esclusi sia dalla lista nera che da quella grigia, malgrado la natura di paradisi fiscali ampiamente riconosciuta da studiosi e organizzazioni indipendenti ai tre Stati di Delaware, Nevada e Wyoming. Esclusa la Cina, malgrado Hong Kong e Macao. Esclusa la Russia, malgrado la sua flat tax. Facili le proteste del Lussemburgo, il cui premier Jeann-Claude Juncker ha tuonato contro il “populismo mediocre”. E facili le proteste anche della Svizzera, dove è in corso addirittura un'iniziativa referendaria per far inserire il segreto bancario nella Costituzione. Il premier ceco Topolanek come presidente di turno dell'Unione Europea ha dato loro ragione, e la stessa Angela Merkel ha poi convenuto che non c'è bisogno di fare liste nere: basta già la loro “minaccia”, per convincere i “cattivi” a emendarsi.

    Alla fine Todos Caballeros. In Lista Grigia con Svizzera e Liechtenstein  ci sono ben sette Territori Britannici d'Oltremare, più sette Stati del Commowealth con la Regina Elisabetta come capo dello Stato e due dipendenze da quella Nuova Zelanda su cui pure regna il sovrano britannico. Due territori autonomi olandesi. Tre Paesi Ue come Austria, Belgio e Lussemburgo. I tre microstati in zona Euro Andorra, Monaco e San Marino. Uno Stato in intima associazione con gli Usa come Marshall. Restano cattivi, appunto, solo i tre “pirla” di Labuan, Costa Rica e Filippine. 

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.