Era il console, lui, camallo
Il meraviglioso mondo sfegatatamente genoano di capitan Paride Batini
Il capo dei portuali di Genova, che è morto ieri a causa di un tumore, non era un piagnone del comunismo.
Il capo dei portuali di Genova, che è morto ieri a causa di un tumore, non era un piagnone del comunismo. Qualcuno che lo desiderava molto pittoresco, dal momento che portuali e comunismo come culo e camicia furono, e tali dovevano rimanere, spuntava sempre: “Ma lei ci pensa ancora a Lenin?" “Diciamo che ci penso un po' meno. Però senta lei, caro, se conosce un buon agente marittimo con tante navi cariche di merci da scaricare, me lo presenti. Ah, intanto che ci siamo, gli dica che noi le merci le carichiamo, anche. Ne conosce qualcuno?”.
Paride Batini è stato il Console della Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie nell'ultimo quarto di secolo, e fa niente se da qualche anno la CULMV si chiamava Cooperativa, e aveva per statuto un presidente, Console era, Batini, e da Console è morto.
Nove conferme, dal 1984. Gli piaceva tanto, il porto. Corpo e anima: “In porto fai le stesse cose di sempre, stai con gli amici, con la gente che comunque avresti frequentato, non devi lasciar fuori le idee, l'autonomia, la tua libertà. Non diventi mai come Fracchia, parli il dialetto, ti porti dietro il tuo quartiere”.
Era arrivato in fasce da Vicopisano, con uno zio. San Teodoro e Oregina sono i due quartieri arrampicati davanti a San Benigno, che dello scalo è il cuore, dove i camalli vivono quando non sono in porto. Diecimila negli anni Sessanta, poi sette, poi cinque, ora mille soltanto, ma sempre lì. Tutti. E Batini anche lui, sempre lì. A chi gli domandava, rispondeva senza stancarsi che non sapeva perché capitasse in quel modo, era una pila che si alimentava alimentando, sembrava un po' come il pane fatto in casa, e la Compagnia era il lievito del pane. Bugiardo. Invece lo sapeva. Era il lavoro all'aria aperta, duro finché si vuole, ma non dentro. Un giorno a calata Gadda, un altro a calata Spinola, il terzo ai Traghetti, o alle Grazie. A giro. E altresì perfettamente sapeva, Batini, che quello era il motivo per cui gli operai dell'Ansaldo e dell'Asgen, o dell'Italcantieri e dell'Italsider, vale a dire la colonna vertebrale della Genova statalizzata e comunista, lo invidiavano, ne erano intimoriti e gelosi, e si facevano piccoli piccoli al passaggio di lui coi suoi portuali.
L'importanza di essere camallo. In uno spettacolo di due compagni stretti di Batini, Amanzio Pezzolo e Aldo Vinci, andato in scena nel 2005, il piccolo Aldo è figlio di un metalmeccanico-sindacalista arrestato in uno sciopero. Trova ogni mese una busta bianca nella cassetta della posta, è una colletta “per il compagno Vinci”. Aldo conosce così gli scaricatori: sono una categoria di privilegiati, sembrano ricchi senza esserlo, sono generosi, uniti e hanno tanto tempo libero: “Perché gli altri lavoratori non diventano come loro?”, si chiede. Come tutti i portuali, il loro capo era un intellettuale. Raccontò in un libro, “L'occasionale”, i diciassette anni duri da avventizio. “Paride, ma l'hai scritto tu?”, gli domandò l'editore Marietti. “Sei matto. L'ho fatto scrivere da mia nipote. Io avrei scritto tetto con tante di quelle ti che sarebbe venuta giù la casa”. Sapeva scherzare sull'educazione scolastica troncata precocemente. Ma era un mago di pietra quando trattava per i suoi. Era alto, bello, magro, potente, portava i jeans con un maglione blu a girocollo, col giubbotto sopra e un eskimo d'inverno.
Fu anche il figlio di puttana, per i suoi. Questo almeno sostennero di recente i magistrati genovesi, a proposito di alcuni finanziamenti poco chiari pervenuti alla Compagnia. Li mandò a quel paese. Era il Console, lui. Il capitano antico di quei camalli genovesi che nel '78, a un “incontro culturale-sportivo tra i portuali d'Italia” mandò concorrenti qualificati per le seguenti discipline: dama, disegno, pittura, filatelia, fotografia, poesia, scacchi, calcio, tennis, tiro al piattello e voga. E che a un nerboruto scaricatore di nome Marco C., il quale nel 2006 si scoprì “diverso”, fece questo discorso: “Nan (ragazzo), se ti veu cangià no gh'è problema: ma ti devi travaggià”. Marco, che adesso è Valentina, così commenta: “Conosco persone che quando hanno cambiato il loro modo di essere hanno perso il posto. Io sono stata fortunata”. Come tutto il suo mondo, era naturalmente e sfegatatamente genoano, Paride Batini. Ha avuto una vita più che piena. Adesso è morto senza vedere il Genoa in Champions League.
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