La geopolitica dell'odio

Carlo Panella

I media mondiali hanno commesso un grave errore centrando l'attenzione soltanto sulle parole intollerabili pronunciate a Ginevra da Mahmoud Ahmadinejad contro Israele. Errore reiterato, che si verifica ogni volta che Ahmadinejad parla in sede Onu e che occulta quanto di ben peggiore e allarmante il presidente iraniano sostiene e dice non a nome proprio – si badi bene – ma di tutta la leadership iraniana, in tutte le sue componenti.

    I media mondiali hanno commesso un grave errore centrando l'attenzione soltanto sulle parole intollerabili pronunciate a Ginevra da Mahmoud Ahmadinejad contro Israele. Errore reiterato, che si verifica ogni volta che Ahmadinejad parla in sede Onu e che occulta quanto di ben peggiore e allarmante il presidente iraniano sostiene e dice non a nome proprio – si badi bene – ma di tutta la leadership iraniana, in tutte le sue componenti. Il punto focale dell'analisi del quadro mondiale degli iraniani – e quindi di Ahmadinejad – è semplice: negazione totale, reiterata e assoluta della legalità internazionale garantita dalle potenze che hanno sconfitto il nazifascismo. E su questo punto è incredibilmente vasto l'appoggio e l'entusiasmo che in ogni occasione matura tra i paesi rappresentati all'Onu che vissero marginalmente quel conflitto. L'antisemitismo, l'antisionismo, la negazione dell'Olocausto sono soltanto una parte – la più oscena – di una ricostruzione della storia non solo negazionista, ma provocatoriamente revisionista. Una storia da cui è volutamente, recisamente negata e ignorata ogni parte e responsabilità avute dal nazifascismo. A partire dall'affermazione che le due guerre mondiali non sono affatto state scatenate l'una dagli Imperi centrali e l'altra dal nazifascismo, ma da “accaparratori di potere”. Non è la denuncia dell'azione delle trame massonico-demo-pluto-giudaiche, ma solo per ipocrisia lessicale. Il senso dell'intero svolgimento del tema è quello.

    Ahmadinejad dunque ripropone una visione revisionista della storia del Novecento che ha un notevole spessore nella tradizione iraniana (là dove, non soltanto lo scià Reza, ma anche ampi settori del clero nel 1940 sostenevano apertamente l'Asse), così come in quella araba (tutti i gruppi dirigenti postcoloniali in Iraq, Siria, Egitto, Palestina, ma anche in Tunisia e Algeria si erano schierati o avevano complottato col nazifascismo sino al 1945). Ma quelle guerre furono vinte da “potenze che si autodefinirono conquistatrici del mondo, ignorando o calpestando i diritti delle altre nazioni con l'imposizione di leggi oppressive e trattati internazionali”. Da qui discende immediatamente la prima, più forte e centrale affermazione: il Consiglio di sicurezza dell'Onu, eredità di quelle guerre scatenate dalle lobby che ora lo compongono, non ha nessuna legittimità, non ha nessun diritto a detenere – grazie alla permanenza dei membri della coalizione antinazista –  tramite il diritto di veto, il principio di legalità dell'ordine internazionale: “Il Consiglio di sicurezza dell'Onu è il più alto organismo internazionale decisionale del mondo per la tutela della pace e della sicurezza. Ma come possiamo aspettarci che realizzi la giustizia e la pace, quando la discriminazione è legalizzata e la sede stessa del diritto è dominata dalla coercizione e dalla forza, piuttosto che dalla giustizia e dai diritti?” In questo contesto di sopruso, illegalità e violenza che è planetario e non regionale, si colloca secondo Ahmadinejad la scelta di “ricorrere all'aggressione militare per togliere a un intero popolo la sua dimora e inviare gli ebrei – col pretesto delle loro sofferenze – in Palestina occupata per istituire un governo razzista”. Qui, Ahmadinejad non ha letto la frase sulla “dubbia e ambigua questione dell'Olocausto”, che pure era stampata nel discorso distribuito ai delegati. Ma è stata solo una seconda ipocrisia lessicale; il senso è inequivocabile. Così come è inequivocabile il riferimento al ruolo che a più riprese viene attribuito dal Corano agli ebrei – come traditori della Legge e manipolatori della Bibbia – quale veicolo di divisione della comunità musulmana, che Khomeini così sintetizza nel secondo capoverso del suo fondamentale testo sul “Governo islamico”: “Sin dai primi momenti, gli ebrei hanno seminato divisione e zizzania dentro la comunità dei credenti”. Di nuovo, Ahamadinejad accusa un illegittimo e arbitrario Consiglio di sicurezza, espressione di “potenze usurpatrici di potere” di avere aiutato e dato mano libera per 60 anni ai sionisti “razzisti e autori di genocidio”: “I sostenitori di Israele sono sempre stati complici o in silenzio di fronte ai suoi crimini”.

    Ma anche se è centrale, non è questo di Israele il baricentro della weltanschaung iraniana, che prosegue con la  denuncia della guerra contro Saddam Hussein che “ha colpito una cultura nobile con migliaia di anni alle spalle, eliminando le potenziali capacità di tutti i paesi islamici di minacciare o contenere il regime sionista” agli ordini “dei sionisti e dei loro alleati”. Poi l'Afghanistan. Infine, la crisi economica mondiale la cui responsabilità è del “Sionismo mondiale, che incarna il razzismo, che falsifica i dettami della religione e abusa dei sentimenti religiosi per nascondere il suo odio e il suo volto orribile”. E' la riproposizione del tema del “complotto” internazionale, che accomuna ebrei e un “capitalismo e un liberalismo che hanno fallito”, che pare – ma non è – ricalcata sul “Complotto dei Savi di Sion” (comoda tesi che addebita all'Europa anche la responsabilità dell'antisemitismo islamico), e che invece discende dai tanti versetti del Corano, in cui il Profeta inchioda gli ebrei a questo ruolo complottardo e infido, per non avere voluto convertirsi alla Medina e avere trescato con gli idolatri della Mecca.

    Segue ovviamente la “pars costruens”: “E' necessario ristrutturare le attuali organizzazioni internazionali e i loro  regolamenti”. E qui arriva la dichiarazione che mette in un angolo e svergogna  le nazioni che hanno deciso di non boicottare la Conferenza di Ginevra: “Questa Conferenza è un terreno di sperimentazione su questo cammino”. Infine, la proposta: “E' di fondamentale importanza una rapida riforma della struttura del Consiglio di Sicurezza, compresa l'eliminazione delle discriminazioni e del diritto di veto, di modo che si possa modificare e cambiare il mondo di oggi, inclusi i suoi sistemi monetari e finanziari”.
    Chi pensi che è il discorso di un pazzotico non ha torto, e Ahmadinejad ha anche le phisique du rôle del caporale austriaco. Ma la notizia non è soltanto questa. La vera notizia è che metà sala – in primis il rappresentante dell'Algeria – è scoppiata in una standing ovation quando Ahmadinejad ha terminato di parlare, che un centinaio, di rappresentanti di paesi dell'Onu vi si sono riconosciuti, l'hanno condiviso.

    Questa è la vera novità di Ginevra. Questo è il dramma che a Ginevra si è consolidato. Questa è la piattaforma di una alleanza internazionale – non certo il documento finale – che a Ginevra è stata varata. Prodotto non casuale di uno straordinario successo personale di Ahmadinejad che in quattro soli anni ha preso un Iran irrilevante sul piano internazionale e ne ha fatto la punta di diamante di movimento per una modifica della stessa legalità internazionale, forte del consenso di un centinaio di paesi: alcuni tra quelli islamici e alcuni strategici per le più diverse ragioni, come il Venezuela, Cuba, la Bolivia e anche la Corea del nord.