I turisti della democrazia e la cultura da comitiva torinocentrica
L'Europa finalmente si smuove, e il Quai d'Orsay censura quel burbanzoso sindaco della rive gauche per le sue incaute dichiarazioni contro Alemanno, sindaco di Roma. Per la prima volta da quelle parti si accorgono di quanto sia grottesca la campagna ideologica antiberlusconiana.
L'Europa finalmente si smuove, e il Quai d'Orsay censura quel burbanzoso sindaco della rive gauche per le sue incaute dichiarazioni contro Alemanno, sindaco di Roma. Per la prima volta da quelle parti si accorgono di quanto sia grottesca la campagna ideologica antiberlusconiana, che durava senza apprezzabili conseguenze politiche dalla mancata stretta di mano del belga Elio di Rupo a Pinuccio Tatarella (1994, primo governo Berlusconi).
Intanto Berlusconi in Abruzzo celebra degnamente il 25 aprile, dicendo cose sobrie e molto sensate, che non si sentono spesso nelle celebrazioni ufficiali. Parla non solo della pietà per i vinti, che è men che canino negare, ma anche di un allargamento del concetto di liberazione nazionale a quello di libertà generale, patrimonio di cittadinanza che viene addirittura prima della società e dello stato. Una certa Italia uggiosa invece non si smuove, pietrificata nel suo narcisismo civico. Mentre il povero Giuliano Soria, già beniamino della cultura di comitiva che piace agli intellettuali progressisti di ogni varietà, giace ingiustamente in galera e sconta preventivamente peccati che un indagato dovrebbe espiare solo dopo una condanna in un giusto processo, a Torino gli amici azionisti del suo arcigno prosecutore, il procuratore Caselli, costituitisi in un comitatone premiale con a capo il presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelsky, hanno organizzato una specie di premio Grinzane del consenso coatto e del politicamente corretto, e lo hanno chiamato “Biennale della democrazia”. Ho scritto “azionisti” in riferimento alla matrice rivendicata dalla parte dominante dei convegnisti militanti di Torino, ma questo azionismo di massa, la raccolta identitaria piccolo borghese dei ceti colti e riflessivi, sicuri di sé e delle proprie ragioni culturali ogniqualvolta un festival di filosofia o altro evento di idee li rianima e li mostra solipsisticamente a se stessi contro il paese reale che vota e guarda la tv, è cosa diversa dallo spirito repubblicano delle minoranze coraggiose che animarono Resistenza e processo costituente.
Gli azionisti storici erano un bouquet di idee diverse, socialisti radicali anticomunisti repubblicani liberali di ogni specie, e si sparsero ovunque; questi sono una falange ideologica compatta, governata dalle stesse ossessioni, protesa verso lo stesso comune obiettivo: calcare la scena, imporre il proprio copione. Già è impresa dubbia sequestrare la democrazia, farne una bandiera per l'Italia delle terze pagine e filtrare surrettiziamente il concetto con il setaccio di un ristretto establishment che ama piacersi e rispecchiarsi nel successo mediatico. Ma è altrettanto ambiguo cesellare i valori liberali e democratici in senso esclusivo, discuterne con una mezza dozzina di ostaggi intellettuali dell'altra parte senza alcuna effettiva fantasia pluralista, ridurre l'agorà democratica a struttura di sostegno per la rete dei poteri neutri e togati. La Biennale torinocentrica non discute le questioni controverse, non invita Pansa e Buttafuoco e Battista, quelli che hanno scritto da sinistra e da destra e da un'area liberale terza parole importanti sulle adulterazioni e sofisticazioni della storia patria e costituzionale.
La pedagogia giovanilistica del conformismo non prevede che si acquisiscano idee nuove, verità storiche emerse dal vuoto di ricerca dei lunghi decenni di blindatura dell'arco costituzionale: è bandito rigorosamente tutto ciò che rompe con una qualche istanza riformatrice o con qualche impennata di volontà libera la crosta croccante della classe dirigente democratica, che stranamente da tre lustri si oppone ai risultati delle elezioni con toni fondamentalisti, che abbraccia se stessa come maggioranza morale eterna e minoranza coraggiosa mentre rifiuta, disprezza gli avversari come maggioranze politiche sempre delegittimate. Tanto più se gli avversari rappresentano davvero il paese reale; che diventa esso, il paese reale, il soggetto di una mutazione antropologica degenerativa. Non appena li vota, s'intende.
Le intenzioni erano anche buone: i parrucconi volevano inaugurare una fase due, postgirotondina, dell'assalto culturale a Berlusconia. Un'operazione ossessiva ma appena un poco più sofisticata di quelle di MicrOmega, e più blanda magari, con una vena d'antiquariato dei saperi. Gli è capitato l'incidente di un 25 aprile con toni nuovi. Ed è emersa la loro tendenza a ripetersi e a parlare da soli e a stare impassibilmente fermi, davanti alle solite piccole folle oceaniche del buffet letterario o ideologico, anche quando il resto cambia. Tutto nel nome di Bobbio, che era una cara persona e un filosofo del diritto diligente, ma non un combattente della democrazia e non un interprete dei diritti negati dalla modernità e dalla postmodernità, che sarebbe il soggetto vero di analisi e discussione di una maratona intorno al concetto problematico di democrazia.
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