L'Oms ridimensiona il caso: 8 morti accertati per il virus

Così un efficiente sistema di sorveglianza sulle epidemie può far scattare allarmi (forse) eccessivi

Nicoletta Tiliacos

Il professor Adriano Mantovani, ottantadue anni, si occupa da sempre, con incarichi di rilievo nelle più importanti istituzioni italiane e internazionali di Sanità pubblica, di salute veterinaria e delle sue connessioni con la salute umana.

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    Roma. Il professor Adriano Mantovani, ottantadue anni, si occupa da sempre, con incarichi di rilievo nelle più importanti istituzioni italiane e internazionali di Sanità pubblica, di salute veterinaria e delle sue connessioni con la salute umana. Con lui – tuttora direttore del Centro di collaborazione Oms/Fao per la ricerca e formazione in Sanità pubblica veterinaria, costituito nel 1984 presso l'Istituto Superiore di Sanità di Roma – parliamo dell'allarme, prima locale e via via sempre più internazionale, sull'influenza suina.

    Il professor Mantovani dice al Foglio che quell'allarme gli appare come “una chiara conseguenza degli avanzamenti nel sistema di sorveglianza sulle epidemie. Intendo dire che, un tempo, episodi come quello registrato in Messico erano passati tranquillamente sotto silenzio. Oggi, invece, la sorveglianza messa in atto dall'Oms è molto più capillare ed efficiente, e i virus nuovi li ‘becchiamo' di volta in volta, appena si manifestano”. Mantovani racconta che gli è “capitato di fare l'elenco delle nuove malattie che ho visto manifestarsi negli animali, o negli animali e nell'uomo, a partire da quando mi iscrissi a Veterinaria (sto parlando della metà degli anni Quaranta) fino alla pensione, alla fine degli anni Novanta. Non ne ho contate più di diciotto. Ora, invece, le nuove malattie vengono registrate molto più frequentemente. Non passa anno senza che se ne manifesti qualcuna, si direbbe che ne arrivano in continuazione. Ma questo dipende, lo ripeto, dalla sensibilità del sistema di vigilanza, immensamente più agguerrito di una volta. Possiamo contare su un ottimo sistema di sorveglianza dell'Oms, negli Stati Uniti ci sono i Cdc (Centers for disease control and prevention), e ottimo è anche il sistema messicano e quello canadese” (è in Canada che sono stati segnalati ora quattro casi di influenza suina).

    Il virus che in Messico avrebbe già ucciso un centinaio di persone (ma l'Oms, ancora ieri, secondo il nostro ministero del Welfare, parlava di “venti casi confermati in laboratorio di influenza suina A/H1N1” e di “oltre mille casi sospetti segnalati e 49 decessi”) appartiene a un tipo finora mai identificato. E' quel che si dice “una malattia nuova”, spiega Mantovani, “ma se non avessimo avuto questo sistema di sorveglianza e metodi per studiare geneticamente il virus, questo sarebbe passato del tutto inosservato”. Vuol dire che si rischia di enfatizzare, soprattutto nel rilancio mediatico, problemi in realtà limitati? O che non è così giustificato, il grande allarme di questi giorni?

    Il professore constata che “adesso è molto facile, a volte troppo, lanciare allarmi. Per quanto mi riguarda, ritengo non fosse affatto giustificato nemmeno il grande allarme sull'influenza aviaria”. La famosa Sars, che ha riempito le cronache per mesi, della quale si temeva imminente o già in atto il “salto di specie” nelle modalità del contagio (non più da contatto diretto animale-uomo ma da uomo a uomo). Quella minaccia di pandemia si è poi inabissata, con la stessa velocità con cui era emersa: “Si fa molto terrorismo, in tema di epidemie, e vedo in giro molta voglia di dar retta ai terroristi. Di questa influenza di origine suina, oltretutto, sappiamo che è sensibile a medicamenti già in commercio”.

    Per tornare all'influenza messicana, Mantovani spiega che, stando all'ultimo bollettino dell'Oms, “non è ancora molto chiaro che cosa sia successo, se cioè l'epidemia sia partita da allevamenti intensivi, da allevamenti familiari o addirittura da suini allo stato brado”. Significa che, per una volta, i grandi allevamenti industriali, luogo e laboratorio di incubazione di ogni possibile virus influenzale, sarebbero incolpevoli? “E' ancora presto per capirlo. Si sta lavorando per sapere che cosa sia successo, ma certezze, per ora, non mi pare ce ne siano. Non dimentichiamo che il problema dell'allevamento intensivo, dal punto di vista epidemiologico, è lo stesso problema dell'urbanesimo in campo umano”. Ma anche in Asia, dove esistono immensi allevamenti intensivi puntualmente accusati ogni anno di dare origine all'influenza dell'anno, “i virus vengono identificati presto, perché esiste anche lì un ottimo sistema di sorveglianza. Non è così in Africa. Pensiamo al caso dell'Aids, che è stata una delle brutte sorprese di fronte alle quali si è trovata la nostra generazione. La malattia si era manifestata in Africa, ma ce ne siamo accorti soltanto quando è arrivata dalle nostre parti, per via del sistema di rilevazione che l'ha evidenziata”.

    Per quanto riguarda le epidemie animali, Mantovani ricorda che “negli anni Settanta, in Somalia, ci trovammo di fronte a un'epidemia di pseudo-peste dei polli (la cosiddetta ‘malattia di Newcastle') che andava avanti già da un pezzo: i polli morivano per volontà di Allah, dicevano gli allevatori. Nessuno aveva identificato quell'epidemia come tale, insomma. Poi il virus fu isolato e studiato, e oggi lo conosciamo benissimo. E' il virus della cosiddetta ‘moria dei polli', che negli uomini, per fortuna, può dare soltanto fenomeni di congiuntivite”.

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