Intervista a Padoa-Schioppa

Esportare il modello euro per prevenire le prossime crisi globali. Parla TPS

Stefano Cingolani

Per capire questa crisi forse è meglio dire innanzitutto che cosa non è. Persino Eugenio Montale ci perdonerebbe la licenza. Non è (solo) una crisi finanziaria, non è (solo) di sistema e non è affatto del sistema. Spiega Tommaso Padoa-Schioppa: “Il collasso dell'economia pianificata di tipo sovietico fu il fallimento dell'idea stessa che il mercato potesse essere soppresso e sostituito da una regolazione statale imposta dall'alto. Oggi assistiamo invece alla fine di una concezione errata dell'economia di mercato".

    Per capire questa crisi forse è meglio dire innanzitutto che cosa non è. Persino Eugenio Montale ci perdonerebbe la licenza. Non è (solo) una crisi finanziaria, non è (solo) di sistema e non è affatto del sistema. Spiega Tommaso Padoa-Schioppa: “Il collasso dell'economia pianificata di tipo sovietico fu il fallimento dell'idea stessa che il mercato potesse essere soppresso e sostituito da una regolazione statale imposta dall'alto. Oggi assistiamo invece alla fine di una concezione errata dell'economia di mercato, basata sulla sopravalutazione delle sue capacità autoregolatrici, lo squilibrio tra mercati globali e governi nazionali e una miopia che ha colpito gli uni e gli altri, una veduta corta”. E' proprio questo, del resto, il titolo del libro che l'ex ministro dell'Economia nel governo Prodi ha appena pubblicato per i tipi del Mulino. “La veduta corta” ha la forma di una conversazione con Beda Romano, corrispondente del Sole 24 Ore a Francoforte. Chi si aspetta un testo tecnico o anche economico in senso stretto ne sarà felicemente deluso. Si tratta di un saggio concepito da un tecnico, pensato da un economista, ma con una scrittura e un intento squisitamente politici.

    Tra “La paura e la speranza” di Giulio Tremonti e “La crisi” di Alesina & Giavazzi, Padoa-Schioppa si colloca in una posizione per certi versi intermedia. Non demonizza la finanza e non condivide nemmeno il giudizio di Warren Buffett secondo il quale i derivati sono “uno strumento di distruzione di massa”. E' convinto che la bilancia si sposterà di nuovo verso le forze del mercato, in modo da “contrastare un ritorno di invadenza dello stato. Una persona come me – aggiunge l'autore – vorrebbe il pendolo stabilmente al centro della sua corsa”. Tuttavia “è necessario un soggetto esterno che rappresenti e promuova l'interesse collettivo. Sul timone deve stare la mano pubblica”. La politica, dunque, può ancora salvare il mondo. Padoa-Schioppa insiste sulla dimensione etica dell'operare economico, sulle regole senza le quali non c'è mercato, ma sopraffazione; per questo, auspica il passaggio dal mondo hobbesiano, nel quale siamo immersi, a quello kantiano, dalla legge della forza alla forza della legge. Ci sono, dunque, molti punti di incontro con le idee tremontiane. “Sì, ci sono. E sono temi sui quali ho scritto da tempo. Non mi faccia leggere, però, che si celebra il matrimonio tra Tremonti e Padoa-Schioppa”, ironizza sorridendo durante l'incontro. Niente nozze, le diversità restano, ma domani all'Istituto dell'Enciclopedia italiana “La veduta corta” sarà discusso proprio dal ministro dell'Economia.

    TPS, come ormai tutti lo chiamano seguendo l'amore francese per gli acronimi, è stato banchiere centrale a Roma e a Francoforte, presidente della Consob, funzionario della Commissione europea. Ha conosciuto da vicino i meccanismi dell'economia mondiale. “Troppi si sono illusi – spiega – che i grandi sconvolgimenti provocati dalla rivoluzione tecnologica prima e dall'apertura del commercio  mondiale, poi, potessero aggiustarsi da soli”. Eppure, la grande crescita degli ultimi vent'anni ha ridotto la povertà più di qualsiasi aiuto o cooperazione del tipo Nord-Sud. Padoa-Schioppa è d'accordo, tra un approccio accumulativo e uno redistributivo, sceglie il primo. Ma aggiunge: “Lo sviluppo drogato dal consumo e dal debito non è sano. Io distinguo tra paesi poveri dove la crescita deve continuare e paesi ricchi i quali possono permettersi anche un periodo di stagnazione per rimettere ordine nelle loro economie e colmare lo squilibrio fondamentale che sta alla base di questa crisi”, quello tra “debitore capitalista e creditore comunista”, come s'intitola un capitolo del libro.

    In fondo l'America è vissuta (e cresciuta) così almeno dal 1971, quando, con la rottura del legame tra dollaro e oro, finì la disciplina esterna. L'economia del debito ha una storia lunga, ammette TPS. Tuttavia lo squilibro tra Stati Uniti e resto del mondo non è mai stato tanto profondo e ha subito un'accelerazione parossistica negli ultimi anni. Colpa di Alan Greenspan, si dice, perché ha tenuto i tassi di interesse troppo bassi e troppo a lungo. Ma se dopo l'11 settembre fosse crollata anche l'economia americana, la crisi globale sarebbe arrivata prima e forse avrebbe avuto un impatto ancor più catastrofico. Padoa-Schioppa non lo esclude. “Quando c'è un incendio, i pompieri usano tutta l'acqua disponibile e non badano ai danni collaterali. Ma poi bisogna essere in grado di chiudere la valvola”.

    Ciò vale anche oggi: non sappiamo se le autorità monetarie e i governi saranno in grado di girare la manopola. La crisi era prevedibile e prevenibile? “Non era possibile prevedere un impatto così pervasivo e profondo. Ma certo in molti avevano avvertito l'inevitabile fine, anche drammatica, di un andamento che tutti pensavano insostenibile. Se lei guida a 120 all'ora per le strade tutte dritte di Manhattan, non sa a quale incrocio andrà a sfracellarsi, ma la probabilità di uscirne indenne è vicina a zero. Quanto alla capacità di prevenirla, nel mio libro spiego che la crescita senza risparmio degli Stati Uniti faceva comodo a tutti, come rispondevano gli esponenti americani a chi sollevava qualche obiezione”. Adesso si vedono i primi effetti del forsennato, per quanto inevitabile, intervento pubblico. “Barlumi”, li ha chiamati Obama. Ma Padoa-Schioppa non si fa troppe illusioni: dovremo aspettarci un periodo di crescita modesta, soprattutto nei paesi sviluppati. A cominciare dall'Unione europea. Nel saggio critica la decisione della Bce del luglio scorso, quando rialzò gli interessi di 25 punti base. Tuttavia respinge l'obiezione di fondo, cioè che la politica monetaria europea è stata troppo rigida e ha soffocato il potenziale produttivo. “Se prende i tassi a lungo, quelli che sono il punto di riferimento per gli investimenti e lo sviluppo, negli ultimi dieci anni sono sempre stati bassi. Semmai gli americani avrebbero dovuto rallentare la loro corsa e aggiustare l'eccessivo disavanzo estero”.

    Nell'area euro il pil cadrà più che negli Stati Uniti. L'Europa non poteva fare di più? O meglio, la Germania non doveva spingere con maggior lena? Il libro critica “l'illusione tedesca dell'autosufficienza”, tanto che “il legame della Germania con l'Europa è diventato un matrimonio di interesse”. Così il governo di Berlino ha rifiutato, nell'autunno scorso, un piano comune di intervento contro le crisi bancarie e a sostegno della domanda. Poi, però, ha preso decisioni robuste, aggiunge TPS. “Non sono tra quelli che accusano la Germania di risparmiare troppo, anche se ammetto che c'è una contraddizione nella volontà di mantenere la bilancia dei pagamenti in continuo avanzo. Per favorire la riduzione degli squilibri, oggi dovrebbe fondare la sua crescita più sulla domanda interna”. Ciò vale anche per la Cina? “In misura minore, perché è un paese che sta uscendo solo adesso dalla povertà e il suo sviluppo è meno tirato dalle esportazioni di quanto non si pensi”. L'Italia s'è agganciata al treno tedesco sperando che prima o poi riparta. Abbiamo alternative? “Con il debito pubblico che sta risalendo, non possiamo permetterci le stesse azioni di stimolo di altri paesi. Trovo importante che ci sia la consapevolezza che il mercato è sempre in agguato. Non siamo in grado di evitare una caduta del prodotto lordo. Possiamo continuare a razionalizzare la spesa, come avevo cominciato a fare quando ero ministro, per aprire qualche spazio di manovra”.

    E le pensioni? Una riforma non potrebbe fornire nuove risorse? “La gradualizzazione dello scalone ci è costata 10 miliardi in dieci anni, certo i sindacati avrebbero potuto destinare questi quattrini ad altri scopi, per esempio ai precari. Credo che sia necessario un patto tra generazioni, tra i padri che oggi sono troppo garantiti e i figli che non hanno protezioni. Lo stato sociale è costruito per far fronte a quattro evenienze negative: la povertà assoluta, la perdita del lavoro, la malattia e la vecchiaia. Le ultime due in Italia funzionano, la prima per fortuna è molto limitata, dobbiamo affrontare la questione del lavoro, sapendo che non possiamo aumentare né le tasse né le spese. Siamo in ritardo per diverse ragioni, ma credo che ci siano responsabilità molto diffuse”.
    Se è in crisi “un modello di crescita, cioè la bolla dei consumi a credito”, e se la colpa fondamentale “è della politica economica e non del mercato”, allora non bastano nuove regole e più controlli. L'armamentario del Financial Stability Forum, della commissione de Laroisière o dello stesso Gruppo dei 30 guidato da Paul Volcker del quale Padoa-Schioppa fa parte è pieno di strumenti utili, sia chiaro, ma la questione fondamentale è come riequilibrare la globalizzazione. “Tutta l'economia internazionale zoppica – è scritto nel libro – perché si regge su due gambe affatto diverse: quella dell'interdipendenza e quella dell'autosufficienza”. Una contraddizione rispecchiata dal sistema delle valute.

    Non esiste una nuova Bretton Woods se non si riparte da un nuovo standard monetario. “Bene ha fatto la Banca centrale cinese a porre la questione”, commenta TPS. Eppure non è stata recepita dal G20. “E' già molto che non sia stata scartata. Abbiamo contro due avversari formidabili: il paradigma dominante della superiorità dei cambi fluttuanti e gli interessi costituiti del mercato che ha ereditato dalle autorità pubbliche la sovranità sui cambi e non la condivide facilmente con la politica”. Padoa-Schioppa pensa a una progressiva integrazione delle valute su scala regionale, una moltiplicazione del modello euro. A quel punto sarebbe possibile collegare le nuove monete con rapporti aggiustabili, ma stabili. “Non ho una soluzione tecnica – spiega – una specie di euro mondiale, diciamo un globus, non mi pare praticabile. Ma non possiamo sviluppare scambi globali con valute locali, né possiamo credere che le nuove potenze delegheranno questo ruolo a una sola moneta nazionale, fosse anche il dollaro. Senza contare che ormai i grandi fenomeni monetari hanno un'origine diversa dal passato: l'inflazione non dipende più dagli aumenti salariali decisi nei singoli paesi, ma dalla tensione sulle materie prime”. Moneta mondiale e governo mondiale, la politica si fa davvero alta. Alla fine del libro e della conversazione, Padoa-Schioppa ci dice anche quel che dovremmo e potremmo essere, delineando un modello di “crescita differenziata in cui i ricchi rallentano per dare slancio ai poveri e alleggerire la pressione sulle risorse naturali”, all'interno di “una economia di mercato che non va soppressa, ma indirizzata per aiutare quel modello”. Si può non essere d'accordo, però i versi di Montale a questo punto suonano troppo minimalisti.