“Prima la febbre, poi il dolore alle ossa. Ora sto bene, ma che paura”. L'influenza “porcina” di Marta
La voce è in tono minore. Non la fa tragica, però. “Sono a terra ma sto bene”, dice subito, a fugare dubbi di morte. Marta ha 33 anni, è un giovane avvocato di Città del Messico che lavora al ministero delle Finanze messicano. Parla bene l'italiano, anche se l'ha un po' perso da quando l'ha imparato a Roma per un master in diritto internazionale. E' una bella ragazza mora, ora una dei tanti messicani chiusi in casa perché colpiti dall'influenza suina.
La voce è in tono minore. Non la fa tragica, però. “Sono a terra ma sto bene”, dice subito, a fugare dubbi di morte. Marta ha 33 anni, è un giovane avvocato di Città del Messico che lavora al ministero delle Finanze messicano. Parla bene l'italiano, anche se l'ha un po' perso da quando l'ha imparato a Roma per un master in diritto internazionale. E' una bella ragazza mora, ora una dei tanti messicani chiusi in casa perché colpiti dall'influenza suina. Si è ammalata nel momento giusto, quando l'allerta stava per partire. “Mercoledì scorso mi sentivo strana. Raffreddata, forse un po' di febbre, ma pensavo non fosse nulla. Anzi no: sentivo che ero strana, ma ancora non si parlava di questo virus”.
Giovedì sta peggio, non ha nemmeno un termometro in casa. “Una febbre non normale, così da niente l'avevo, poi ancora niente”. Va comunque al lavoro. “Mi sono sentita stanca, da morire, non potevo neanche alzarmi, ma sono uscita, avevamo una riunione al ministero degli Affari esteri, con il sottosegretario e tutti”. La sera, sempre peggio. “La notte pensavo: io muoio. Dolore alle ossa, a tutto. Terribile”. Al telefono con gli amici sdrammatizza: “Mi sa che ho l'influenza aviaria, dico a Trizia, una mia amica che lavora al comune, nel dipartimento Comunicazione sociale. Lei ride come una pazza. Poi sabato mi ha chiamato: ‘Marta è serissima, come stai?'”. Un presentimento? “No, sentivo che non era una febbre normale, e allora mi è venuta in mente quella malattia strana”. Decide che l'indomani, se la notte passa così dolorante, va da un medico. “Venerdì mattina sono passata in un ospedale privato, il più vicino a casa, prima dell'ufficio”. Non si fa accompagnare dal marito che è andato a lavorare, perché in quel momento si sente bene, quasi guarita. In clinica le misurano subito la febbre: 38,3. “Lì ho capito che quando mi sentivo la febbre doveva essere molto più alta, visto che in quel momento mi sembrava di stare benissimo”. Fanno un tampone al naso, prelevano del muco, dicono deve aspettare dieci minuti. Poi il responso. “C'erano due linee viola, quindi avevo l'influenza ‘porcina'”.
Bri, suo marito, giovedì notte le aveva accennato qualcosa sul fatto che il ministro della Salute aveva parlato di un possibile contagio da influenza suina e che le scuole sarebbero state chiuse. Lei non gli aveva dato retta, un po' perché stava male, un po' perché le sembrava di avere qualcosa di strano ma di poco importante. “Il dottore mi ha chiesto se mi ero ammalata spesso, se avevo avuto febbri. Rispondo di no. Gli chiedo se posso prendere l'aereo per andare a un matrimonio, il giorno dopo. Me lo vieta. Dice che mio marito non può dormire con me, che se lui è in cucina io devo stare in camera, che dobbiamo portare la mascherina e stare almeno a un metro e mezzo di distanza”. Bri esce per cercare un termometro, l'alcol per disinfettare la casa, ma le farmacie non ne hanno, i supermercati nemmeno: esaurito. Tutti in giro hanno le mascherine sulla bocca, i militari le distribuiscono a chi passa, nelle stazioni, metro, bus. “Hai visto le foto? Scene terribili”.
Fino al 6 maggio le scuole sono chiuse, come i cinema, i teatri e i ristoranti. I dottori dicono che è un'influenza pericolosa se colpisce bambini o anziani. Per molti è degenerata in polmonite. “Dicono che è influenza suina solo se si ha la febbre alta, ma anche 37,5 è febbre, ed è meglio controllare. Se presa in tempo non è mortale”. La cura è di tre pastiglie al giorno di antivirale, più l'antipiretico e la medicina per la tosse. Una scatola di antivirale costa 20 euro, “ma in un ospedale pubblico te la danno gratis”. Allora perché i morti? L'allarme mondiale? “Qui è sicuramente più grave di quello che dicono. Non in città, ma nelle campagne, dove non hanno tv o radio, pensano che sia un raffreddore, come me all'inizio, e non vanno a controllarsi”. Le cifre ufficiali sono di 22 morti a Città del Messico, 103 in tutto, 10 nello stesso posto, a San Luis Potosi, nel centro nord. Il governo ha riconosciuto che ci sono stati 1.324 casi di malattia certa. “Il primo caso di morte è stato in campagna, il 13 aprile”. L'avviso ufficiale, soltanto dieci giorni dopo. Adesso le regole per contenere il contagio sono diramate via stampa, radio e tv: non toccarsi, non baciarsi, indossare la mascherina. “Il mio ufficio è stato chiuso. Il mio capo ha detto di non preoccuparmi, se sto bene potrò lavorare da casa, ma è panico. Lui poi ha bambini piccoli”. Il medico dice che la spossatezza durerà altre due o tre settimane, ma il contagio dovrebbe essere già terminato. “Per precauzione devo stare in casa fino al giorno dopo in cui mi sento bene”.
I controlli sono serrati anche negli aeroporti. “Un mio amico tornato ieri in aereo ha detto che ti fanno dichiarare come ti senti: se dici di avere raffreddore, febbre, o mal di testa non parti”.
Il caso ha portato per la prima volta alla cooperazione tra il governo centrale (di destra) e quello di Città del Messico (di sinistra). “E se hanno trovato il modo di collaborare vuol dire che l'affare è serio. Per ora hanno lavorato bene. Forse in ritardo”. Anche Obama ha rischiato il contagio. All'inizio della scorsa settimana era in Messico. “Hanno offerto una cena nel museo di antropologia, in suo onore. Dopo qualche giorno il direttore del museo di antropologia è morto di polmonite. Strano, no?”. Avete contagiato pure il presidente degli Stati Uniti? “No, nessuno dei presenti ha avuto sintomi. Una storia triste, per quel signore”.
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