Bersani nella crisi (del Pd)

Francesco Cundari

Di pensioni si può parlare. Se si vogliono fare le famose “riforme strutturali”, compresa quella della previdenza, Pier Luigi Bersani è pronto a discutere. “E' un problema che va affrontato”, riconosce. Ma attenzione: “Non adesso”. Non nel pieno di una crisi economica – “su questo Tremonti ha ragione” – che ha già portato a “un accumulo di tensione enorme nel paese”. E non nel modo in cui lo si è fatto finora, considerando sempre “una sola metà del campo”.

    Di pensioni si può parlare. Se si vogliono fare le famose “riforme strutturali”, compresa quella della previdenza, Pier Luigi Bersani è pronto a discutere. “E' un problema che va affrontato”, riconosce. Ma attenzione: “Non adesso”. Non nel pieno di una crisi economica – “su questo Tremonti ha ragione” – che ha già portato a “un accumulo di tensione enorme nel paese”. E non nel modo in cui lo si è fatto finora, considerando sempre “una sola metà del campo”. Pensando cioè di “poter scambiare pensioni con ammortizzatori sociali”, per esempio, e senza mai considerare l'altra faccia dello squilibrio italiano: “La peggiore redistribuzione di tutti i paesi occidentali… un tasso di evasione micidiale”. Uno “strabismo” che ha colpito molti, in questi anni, tra gli osservatori, i tecnici, gli intellettuali. Ma innanzi tutto la politica: “Negli ultimi tempi si è affermato un ‘pensiero leggero' che ci ha portati, per vie traverse, a questo punto”. Una considerazione che è in parte (forse) autocritica, e in parte (sicuramente) eterocritica, specialmente se letta alla luce del congresso che in ottobre attende il Pd, e in cui Bersani è al momento l'unico candidato. “In qualche area del nostro partito si è prestato orecchio a teorie molto passeggere, ma è un errore che certo non abbiamo fatto da soli… certe idee sono state veicolate praticamente ovunque, a cominciare dalla grande stampa”. Dove per “certe idee” s'intende naturalmente quello che in un recente convegno, all'Università La Sapienza di Roma, Bersani ha già definito “pensiero unico”, ricordando i tanti “nouveaux philosophes” che “fino a ieri ci davano lezioni di liberismo”.

    Nonostante tutto, però, il candidato alla guida del Pd, in cui alcuni già indicano la minaccia di un “ritorno al passato” e di una svolta “neosocialdemocratica”, non chiude del tutto alla proposta del presidente di Confindustria. Emma Marcegaglia, in un'intervista uscita lunedì su Repubblica, ha chiesto “riforme strutturali”, a cominciare dalle pensioni, come unica via per uscire dalla crisi. Discutiamone, dice dunque Bersani, ma “non adesso”. Una replica non molto diversa, in fondo, da quella di Giulio Tremonti. “Le crisi non sono il momento per fare le riforme”, ha dichiarato ieri il ministro dell'Economia. Tanto meno riforme che toccano “certezze psicologiche”, perché fare la riforma delle pensioni “non è come fare la riforma dell'RC auto”.

    Ex ministro dello Sviluppo, responsabile economico e candidato alla guida del Pd, da tempo Bersani si è caratterizzato come una sorta di anti-Tremonti. E nemmeno ora viene meno al ruolo. “Intanto – osserva – Tremonti non ha tutti i titoli per rispondere così alla Confindustria, visto che noi siamo l'unico paese al mondo che in una fase di recessione e di aumento della disoccupazione pensa a mandare per strada qualche decina di migliaia di dipendenti pubblici, con i tagli alla scuola e agli enti locali, tanto per fare qualche esempio. Giusta o sbagliata che sia quella scelta in astratto, dico, ma vi pare questo il momento?”.

    Lo stesso discorso vale per la proposta di Confindustria. Se dunque la prima condizione per accogliere l'appello alle riforme strutturali è un secco “non adesso”, la seconda condizione si potrebbe riassumere nel buon vecchio: un po' per uno non fa male a nessuno. Bersani, infatti, la mette così: “Il problema va affrontato, non dico di no. Per affrontarlo occorre però un patto non solo generazionale, ma anche sociale. Perché io sono abbastanza irritato dal fatto che si continui a pensare di scambiare le pensioni con gli ammortizzatori sociali, le pensioni con un miglioramento dei meccanismi di ingresso al lavoro, le pensioni con quello che volete voi…”.

    Ma sempre scambi, osserva Pier Luigi Bersani, “che riguardano, sotto il profilo sociale, una sola metà del campo”. Per fare le riforme, sostiene invece l'ex ministro dello Sviluppo, bisogna considerarlo tutto, quel campo. “Se nel conto ci mettiamo anche il fatto che noi abbiamo la peggiore redistribuzione di tutti i paesi occidentali, e un tasso di evasione micidiale, allora questo patto sociale e generazionale si può anche fare. Con meno di questo, mi dispiace, ma non è possibile”. E comunque, ripete, non ora. “Perché qui Tremonti ha ragione: già adesso abbiamo un accumulo di tensione enorme nel paese”. Anche se lo stesso Tremonti, aggiunge subito, ha in questo “la sua parte di responsabilità”.

    Certo però anche il presidente di Confindustria che invoca riforme strutturali, più tagli e meno statalismo, quando fino a poche settimane fa chiedeva allo stato più aiuti per le imprese, più soldi pubblici, e “soldi veri”, una certa impressione al campione della riscossa “neosocialdemocratica” dovrebbe farla.
    A questa osservazione Bersani risponde con una citazione di John Kenneth Galbraith: “I ricchi scoprono il socialismo quando ne hanno bisogno”. Ma riconosce pure che in un momento simile la Confindustria fa bene a chiedere aiuto allo stato, perché “penso anch'io che adesso, proprio in questi prossimi mesi, le imprese abbiano bisogno di fiato… perché quello del credito è un problema serissimo, e checché se ne dica, i soldi non girano ancora, le banche se li tengono”.

    Non sarà però che anche il Partito democratico “scopre il socialismo” un po' tardi, dopo essersi infatuato di tanti “nouveaux philosophes” che gli davano lezioni di liberismo, come ama dire Bersani? E come Tremonti, a onor del vero, ripeteva anche da parecchio tempo prima? “Tremonti, se è per questo, ha detto tutto prima. Ormai il suo è diventato quasi un vezzo, una vocazione al ruolo di Nostradamus che gli suggerirei di abbandonare, anche perché non vorrei lo distraesse troppo dal ruolo di ministro dell'Economia. Detto questo, purché poi non mi porti il discorso a Dio, Patria e Famiglia, che mi fa pensare più a Bismarck che a Obama, posso anche condivere. E riconosco che anche in alcune aree del Pd si è prestato un po' troppo orecchio a quel ‘pensiero leggero', dominante pure sui mezzi di comunicazione, che ci ha portati dove siamo”. Ed è per questa ragione che secondo Bersani il Pd “deve ora riprendersi la sua autonomia culturale, la capacità di un pensiero critico”. Per carità, “aperto a tutti e chiuso a niente e nessuno”. Ma anche, per l'appunto, autonomo. E qui il responsabile economico sembra ormai cedere il passo al candidato segretario.

    Il Pd deve amare le voci critiche, non le espressioni di fedeltà, deve ritrovare il gusto per la discussione libera, aperta, autentica”. Ma forse non si tratta solamente del Partito democratico, se davvero, per fare questo, occorre “chiamare anche tante forze intellettuali a riprendere voce”, dopo che in questi anni sono rimaste spesso confinate ai margini, o ammutolite. Potrebbe somigliare al richiamo di una battaglia di retroguardia,  un'antica e irriducibile “vocazione minoritaria”. Bersani, però, è convinto dell'esatto contrario. “Il Pd deve avere fiducia nel recupero della sua autonomia di pensiero. Un pensiero, ripeto, aperto a tutto e chiuso a nulla, ma organizzato e strutturato secondo un punto di vista chiaro… Ecco, per fare questo, e tanto più nel mezzo di una simile crisi, sì, io dico che il momento è proprio venuto”.