Al via oggi il centesimo Giro d'Italia
Bici come prima
"La prima bicicletta l'ho costruita a undici anni, quando ho cominciato a lavorare in officina appena finite le elementari. Da allora ne ho fatte tre o quattromila. Tutte a mano, da solo. Qua a casa mia c'ho ancora l'officina, anche se son cinque o sei anni che non ne costruisco più, al massimo aggiusto quelle degli amici”. Diego Vitali sta guardando in tv il Tour de France mentre racconta l'amore della sua vita, la bicicletta.
Dal Foglio del 12 luglio 2008
"La prima bicicletta l'ho costruita a undici anni, quando ho cominciato a lavorare in officina appena finite le elementari. Da allora ne ho fatte tre o quattromila. Tutte a mano, da solo. Qua a casa mia c'ho ancora l'officina, anche se son cinque o sei anni che non ne costruisco più, al massimo aggiusto quelle degli amici”. Diego Vitali sta guardando in tv il Tour de France mentre racconta l'amore della sua vita, la bicicletta. L'accento romagnolo fa da musica ai ricordi di quando sulle automobili dietro ai corridori, lì al Tour, c'era lui. “Sempre nella seconda macchina, però, dove si lavorava un po' meno”. Ha girato l'Europa nella Salvarani, la squadra di Felice Gimondi, per cinque anni, dal '68 al '73. Ha fatto tutte le gare più importanti, Giro, Tour, Parigi-Rubaix, Fiandre… Poi è tornato al suo paesino, Russi, vicino a Ravenna e ha fatto quelle quattromila bici. “Tutte a mano e su misura”, dice. “La gente veniva qua, io gli prendevo le misure e gli facevo la biciclètta”, racconta con la è aperta della Riviera. “Certe volte si stava a discutere per uno o due millimetri di differenza: perché se sbagli anche solo di un millimetro è tutto da rifare”. Vitali oggi ha ottantaquattro anni e parla della bicicletta con il sentimento pieno di ragioni di chi ama qualcuno da sempre. “Tutte le bici che ho fatto le facevo come se fossero per me, quindi dovevano essere perfette. Io sono stato appassionato da sempre, correvo anche, da giovane: questa passione ha sempre fatto sì che la fatica fosse in secondo piano”. La nostalgia nella sua voce si fa sentire quando dice “che oggi a mano le bici non si potrebbero più fare, quelle che fanno in serie vanno benissimo”.
Il problema è l'anima. “Perché la biciclètta c'ha un'anima”. Ma lo sa Diego Vitale che si dice che l'amore per la bici sta tornando? Che la gente va di nuovo in bici? “Veramente qua non han mai smesso. Qua van tutti in biciclètta, sa?”. E' come se parlasse di una donna, Vitali, e quando dice che “secondo me è difficile che torni l'amore di una volta per la bici” si capisce che vuole dire che è la poesia che non c'è più. Però è vero, si vendono tantissime biciclette adesso. Sospira: “Eh be', è una bèlla cosa…”.
Pochi anni prima che Vitali seguisse Gimondi sulle strade d'Europa, nel 1949, Dino Buzzati venne mandato dal Corriere della Sera a seguire tutte le tappe del Giro d'Italia. Alla fine, scrisse profeticamente che “non tramonterà mai la fiaba della bicicletta”: “A costo di apparir ridicola, salpa ancora in un fresco mattino di maggio, via per le antiche strade dell'Italia. Noi viaggeremo per lo più in treno-razzo, allora, la forza atomica ci risparmierà le minime fatiche, saremo potentissimi e civili. Tu non badarci, bicicletta. Vola, tu, con le tue piccole energie, per monti e valli, suda, fatica e soffri”. Ma se sessant'anni fa la bicicletta era una fiaba, e negli anni, associata allo sport che la esaltava, il ciclismo, ha ispirato libri e canzoni quanto, se non più, del calcio, rimanendo però esiliata sulle pagine dei romazi o dei giornali o persa tra le nebbie fredde della salita dell'Izoard, oggi ha lanciato la sua volata entrando dirompente nella quotidianità. Per fare un'analogia che aiuti a capire, è come se tra quindici anni la gente cominciasse a usare di nuovo il videoregistratore. Ma non per un qualche gusto retrò di ritorno. Ma perché il videoregistratore serve sul serio. E' come quando uno (specialmente se il rapporto non è ancora maturo) lascia la ragazza che ama perché ne vede un'altra che gli piace di più. Ma poi, quando la vita diventa una cosa seria, torna dalla prima.
Una storia d'amore sul punto di ricominciare, questo sembra il rapporto tra noi e la bicicletta oggi. O che forse non era mai finita. Sarà il caro petrolio che fa aumentare il costo della benzina, sarà quel po' di “coscienza verde” che anche solo per osmosi ha preso anche i più feroci antiambientalisti, saranno i chili di troppo o il traffico delle città, fatto sta che da cinque anni a questa parte Confindustria Ancma segnala che le vendite di biciclette sono aumentate di quasi 500 mila pezzi l'anno fino a raggiungere i due milioni nel 2007. In Italia, poi, dal 2005 il 30 per cento delle persone in più si muove sulle due ruote. Si aggiunga il crollo delle immatricolazioni di automobili (meno 19,5 per cento a giugno) e il sillogismo è fatto.
Crescono i furti di biciclette, e questo è un dato che dice molto, tanto che in alcuni posti, soprattutto tra studenti, c'è una specie di patto segreto: a Bologna, ad esempio, chi va all'università ha imparato a non legare nemmeno più la propria bici con la catena, tanto più di un mese non dura. In via Zamboni, dove c'è l'università, “fumo-bici? fumo-bici?” è la domanda che chiunque può sentirsi fare dal ragazzo che staziona lì: e da lui si può comprare del fumo. O una bici. Uno spacciatore di biciclette. Praticamente succede che ti rubano la tua e tu per cinque euro ne compri un'altra, in una sorta di circolo vizioso che può farti arrivare a trattare sul prezzo di quella che ti hanno rubato il giorno prima.
A Milano invece da anni gira tra gli studenti un numero di telefono. Se lo si fa risponde un tale pronto a portare una bicicletta dove si vuole nel giro di pochi minuti. Bike sharing auto organizzato e autarchico. E un po' illegale. Una versione grezza ma funzionale di quello che Gianni Alemanno sta cercando di fare a Roma con il progetto Roma-n-bike, con la possibilità di affittare una bici in una zona della città e lasciarla anche in un altro quartiere. Per ora ha un plotone di 271 mezzi e diciannove postazioni. Ovviamente nulla rispetto alle 10.648 biciclette di Parigi sparse in settecentocinquanta stazioni dove si possono affittare per un giorno, una settimana o anche un anno a prezzi bassissimi (29 euro per dodici mesi); ma è un buon inizio, tenuto conto dei saliscendi della capitale. Che l'Italia sia in ritardo in questo senso si nota guardando anche altre grandi città: a Vienna ci sono 1.000 chilometri di piste ciclabili, a Copenaghen tutti vanno al lavoro in bici e i treni hanno in ogni vagone uno spazio per trasportarle; in Germania c'è un sistema per cui si possono affittare mandando un sms al numero apposito e addirittura a Tel Aviv c'è la disponibilità di 2.000 biciclette da affittare.
Sembra di assistere a una specie di ritorno alle origini, leggendo i numeri sull'utilizzo delle due ruote negli ultimi tempi. Un per niente sentimentale, ma molto funzionale “going back” a quel giorno in cui si è imparato a pedalare. Perché tutti ricordano quando hanno cominciato ad andare in bicicletta per la prima volta. Senza le rotelle, si intende. Tutti ricordano la paura che anche solo l'idea dell'amputazione di quelle due protesi provocava. Ma ricordano anche l'ebbrezza da sfida alla gravità che l'alzarsi sui pedali diede la prima volta che si riuscì a non ruzzolare giù per terra a sbucciarsi le ginocchia. E quando – dondolando, quasi danzando – le due ruote hanno cominciato a correre, ecco, quel momento è stato senza dubbio per tantissimi bambini uno di quelli in cui hanno pensato: “Questo mi piace”. Tanti però hanno lasciato quel “mi piace” nella zona del garage dove non si ricorda più cosa si è accatastato.
Per molti la bici è rimasta per anni letteratura, mito, la canzone di Paolo Conte su Bartali (Quanta strada nei miei sandali/ quanta ne avrà fatta Bartali/ quel naso triste come una salita/quegli occhi allegri da italiano in gita/ e i francesi ci rispettano/ che le balle ancor gli girano/ e tu mi fai dobbiamo andare al cine/ vai al cine vacci tu) o il Campione di De Gregori (Vai Girardengo, vai grande campione/ nessuno ti segue su quello stradone/ Vai Girardengo, non si vede più Sante/ è dietro a quella curva, è sempre più distante). Letteratura vivente erano poi i campioni del Giro, con migliaia di persone ad attenderli per ore sulla strada per vederseli sfuggire via in un centesimo di secondo, a metà di una discesa, o nell'ansia di una curva – l'adrenalina che sale quando dopo interminabili minuti (secoli?) di silenzio, improvviso e bellissimo, arriva il brusio lontano della folla che accompagna l'uomo solo in fuga e tu lo aspetti e ti dici arriva, arriva, e simultaneo all'urlo degli altri due-trecento che sono con te, spunta lui (e a volte neanche importa chi è, basta che sia lì, davanti a tutti, per te è già un campione), ecco quell'adrenalina è impossibile da spiegare, va vissuta, respirata. Poi tutte quelle storie di doping avevano fatto credere che il ciclismo se ne stesse per andare come se n'era andato l'ultimo dei grandi, Marco Pantani. Triste, solitario e finale, direbbe Osvaldo Soriano. Invece aveva ragione Buzzati, e da qualche tempo la letteratura si è anche fatta molto più prosaicamente strada tra gli ingorghi stradali e il pieno sempre più caro.
E' allora vero che (complici anche le difficoltà dell'economia mondiale) si tornerà a sudare sulle salite delle città, a gridare “pista!” lungo le discese, a sporcarsi di grasso le mani per cambiare la catena (e però anche a fare finalmente un po' di movimento, a non stare fermi in coda per ore, a non spendere tutti quei soldi per un'automobile)? Se si pensa che ad esempio a Milano in dieci anni i ciclisti sono cresciuti del settantasette per cento, sembra di sì. Eppure fino a pochi anni fa, nell'immaginario di molti, la bicicletta era un pallino per pochi fissati, se non addirittura lo status symbol dello sfigato. Invece sono almeno tre anni che non è più così. Le biciclette hanno ricominciato a girare.
Come succede per molte cose, da noi la riscoperta della bici è più recente rispetto ad altri paesi del mondo e arriva, paradossalmente, mentre per la prima volta in Cina c'è un aumento nelle vendite delle automobili a discapito di quello che è il mezzo di trasporto storico di quel paese, la bicicletta, appunto.
Antonello Montante, leader della Cicli Montante, impresa fondata in Sicilia dal nonno Calogero (sulla cui storia è uscito un libro, “La volata di Calò”, edito da Sellerio e scritto da Gaetano Savatteri), primo grande corridore del sud Italia negli anni Venti, non ha dubbi: “E' una cultura vecchia che sta tornando nuova”. Non soltanto per l'alto prezzo della benzina, però: “E' un mix di ragioni: la gente sta tornando a pedalare per risparmiare, certo, ma anche per fare sport e perché ha capito che fa bene, all'ambiente e alla salute”. Prova ne è che la volata italiana è cominciata da modelli “di lusso”, come quelli prodotti da Montante: “Negli ultimi anni abbiamo sempre più richieste di bici da passeggio anche molto costose, tanto che quasi non riusciamo a soddisfare tutte le domande. La gente ormai ‘indossa' la bici come fosse un orologio o un gioiello, con il vantaggio che la bici è anche utile tutti i giorni”. Che la bicicletta prodotta da Montante (e immortalata in un racconto da Andrea Camilleri, che narra la sua fuga fino ad Agrigento durante la guerra proprio su una delle bici di Calogero, tanto che la tappa del Giro 2008 da Cefalù ad Agrigento era la Montante-Camilleri) sia un gioiello lo ha detto anche chi di gioielli se ne intende: Tiffany l'ha infatti definita “la più lussuosa del mondo”, e se negli anni Trenta era la bici delle case reali, oggi anche il Papa e Napolitano ne hanno una. “Il boom è recentissimo – spiega Montante – e tutto fa pensare che il trend positivo continuerà. Anche grazie al lavoro fatto dalla Federciclismo e dal suo presidente Renato Di Rocco e dal Coni di Gianni Petrucci, sempre più persone tornano a conoscere di nuovo questo mezzo così affascinante: i tantissimi eventi sponsorizzati Federciclismo hanno avvicinato neofiti ed ex innamorati. Basti pensare che tante coppie mettono la bicicletta in lista nozze”.
Che la promozione dell'uso delle due ruote abbia ovunque un impatto positivo è dimostrato anche da uno studio riportato dalla Fiab, Federazione italiana amici della bicicletta: laddove le amministrazioni cittadine ne promuovono l'uso, la gente comincia a pedalare, anche se l'Ancma denuncia la poca valorizzazione da parte delle istituzioni del mezzo a due ruote, portando come esempio da imitare l'Austria, che ricava il 20 per cento del suo fatturato turistico dalla bici. Valorizzata o no che sia, la bicicletta si sta conquistando a forza grandi fette di mercato: a giugno nella provincia di Bolzano si è registrato un aumento del dieci per cento nelle vendite e molti benzinai hanno cominciato a chiudere. Situazioni analoghe si verificano in quasi tutte le province della penisola da qualche mese, tanto che non è irrealistico pensare che “l'anomalia di Ferrara” non resti isolata: la città emiliana infatti detiene il record di spostamenti su due ruote, il trenta per cento.
Che quello per la bicicletta sia tornato un amore popolare e utile alla vita di tutti i giorni si capisce osservando come le vendite di materiale tecnico professionistico in molti casi non hanno seguito lo stesso trend. Emanuele Arese, responsabile marketing di Asics Italia, azienda che da anni produce materiale per corridori e nella cui squadra hanno corso Michele Bartoli e il campione del mondo Paolo Bettini, spiega che “non abbiamo notato un incremento significativo delle vendite in quel settore: segno che per ora quelli che usano la bicicletta per correre sono più o meno lo stesso numero, ma stiamo osservando con attenzione questo ritorno alle due ruote. Tanti che oggi cominciano per ‘passeggiare' tra qualche anno potrebbero volersi cimentare nell'agonismo o semplicemente allenarsi un po' più sul serio”. Un esempio di come la bicicletta “funziona” e interessa sempre di più è il numero altissimo di richieste che un piccolo sito Internet come Bikegenera-tion.com ha da quando Paula Lopez, ragazza spagnola che vive in Italia, con il fidanzato Alberto a Biella lo ha aperto: durante un viaggio in California ha notato che le strade erano piene di ciclisti su modelli in stile anni Cinquanta e Sessanta, e la cosa le è così piaciuta che ha cominciato a ordinare pezzi dagli Stati Uniti e Olanda e, assemblati in Italia, a vendere bici sul web.
Certo una cosa diversa dal lavoro che Diego Vitali ha fatto per una vita nella sua officina a Russi, ma è pur vero che come dice lui, “ogni biciclètta c'ha un'anima”. Così, che sia per moda, per risparmiare, per non inquinare o per tenersi in forma, si assiste stupiti a questo salto nel tempo. E se anche non si starà scalando lo Zoncolan, ma tornando a casa dopo aver fatto la spesa, con un po' di autocompiacimento retorico si potranno fare proprie le parole con cui Buzzati salutava il Giro d'Italia e la bicicletta sessant'anni fa: “Dalla sperduta baita scenderà ancora il taglialegna a gridarti evviva, i pescatori saliranno dalla spiaggia, i contabili abbandoneranno i libri mastri, il fabbro lascerà spegnere il fuoco per venire a farti festa, i poeti, i sognatori, le creature umili e buone ancora si assieperanno ai bordi delle strade dimenticando per merito tuo miserie e stenti. E le ragazze ti copriran di fiori”.
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