Il pubblico del privato

Nicoletta Tiliacos

Ida Dominijanni è firma importante e di lungo corso del Manifesto. In questi giorni ha sostenuto che i panni sporchi del matrimonio in pezzi del presidente del Consiglio devono necessariamente essere lavati in pubblico. Dice al Foglio che “è veramente curiosa questa rincorsa alla privacy.

    Ida Dominijanni è firma importante e di lungo corso del Manifesto, garanzia di punto di vista femminista e di analisi mai convenzionali dei legami tra costume e politica. In questi giorni ha sostenuto, in non folta compagnia, che i panni sporchi del matrimonio in pezzi del presidente del Consiglio devono necessariamente essere lavati in pubblico. Dice al Foglio che “è veramente curiosa questa rincorsa alla privacy, con gli appelli che da ogni parte invitano alla riservatezza, quando a rendere pubblica una rottura privata, e a rendere pubblici e politici i motivi di quella rottura, è stata Veronica Berlusconi”. Non si tratta della semplice riproposizione del “personale è politico”, e nemmeno di invocare la giusta nemesi per chi, come Berlusconi, ha fatto dell'esibizione di sé un'arma finora vincente.

    C'è di più: “In Italia gli appelli alla privacy servono sempre a coprire i comportamenti maschili controversi. E' successo anche per Clinton: improvvisamente, politici e commentatori italiani, di destra e di sinistra, scoprirono la necessità della privacy, che in Italia è da sempre misconosciuta e sottovalutata. Quando invece nei paesi dove la privacy è una cosa seria, la vita privata degli uomini pubblici è sempre pubblica”. Nel nostro caso c'è un ulteriore aspetto preoccupante, prosegue Dominijanni, “ed è la reticenza generalizzata a prendere sul serio la parola di una donna. Di Veronica Berlusconi, in questi giorni come e più che nel 2007, è stato detto di tutto: che l'indignazione era calcolata, che vuole solo più soldi per sé e per i figli; e guarda in che modo la stanno facendo a fette Libero e il Giornale. Il suo atto, che secondo me è quello che appare, cioè un gesto ponderato e pubblico, viene sminuito come se non contasse nulla”.

    Fa parte della misoginia italiana l'abitudine inveterata a ritenere “che quello che le donne dicono o non conta o conta solo per le donne. Con lo stesso meccanismo è stato sepolto nella sabbia il racconto della giovane Noemi Letizia. Qualunque cosa si pensi di lei, e io non ne penso bene, se dice che aveva già frequentato Berlusconi prima della famosa festa di compleanno quest'affermazione va presa sul serio. E invece è come se non fosse mai stata pronunciata”.

    Ha dunque poco senso dibattere ancora sulla natura privata o politica della vicenda. Per Dominijanni, la vera questione è se e quanto questa storia, al di là dei sondaggi che per ora segnalano una tenuta, “abbia incrinato il consenso non tanto a Silvio Berlusconi quanto al berlusconismo, quella relazione di rispecchiamento fra il leader, i suoi sostenitori e il senso comune di questo paese di cui ha parlato Massimo Gramellini sulla Stampa”. Sta di fatto che, per ora, gli italiani sembrano dar credito al Cav. che gioca. Che apre le braccia e dice: sono fatto così, non posso tradire me stesso. Che non rinuncia alla battutaccia, all'esibizione di virilità ammiccante. Gli si contrappone il protocollo violato, la decenza dimenticata: un capo di governo non si può comportare così, nessun uomo pubblico può comportarsi così. Dominijanni risponde che “l'elemento ludico, in Berlusconi, ha avuto il suo peso nella rottura dei codici tradizionali della politica che lui ha operato: i richiami all'etichetta della politica ‘perbene' servono a poco, perché non si tratta di un problema di etichetta. Questo elemento ludico e di rottura, però, è il caso di analizzarlo seriamente. Un conto è il Berlusconi della prima ora, che immette nella politica un ingrediente elementare e populista di identificazione con il senso comune – e con i luoghi comuni – del paese, che ‘sdrammatizza' e de-sacralizza la politica. Un altro conto è se il suo spirito ludico si esercita sempre e soltanto sulle donne, in una sorta di ossessione che comincia a diventare sospetta. Ho l'impressione che l'elemento ludico, da irriverente che era, sia diventato manierista. E' troppo, c'è qualcosa di surreale. Il set irriverente si è trasformato in un set ingessato di marionette di cartapesta: l'effetto finale è mortifero”.

    Dominijanni sottolinea che “esistono sempre, nei fenomeni politici emergenti, elementi interessanti che con il tempo possono diventare causa di disfacimento e di decadimento. E in questa ultima vicenda c'è, a mio avviso, il segno della decadenza del discorso di Berlusconi, anche valutandolo con i suoi metri”. Per esempio? “Prendiamo la scena del terremoto in Abruzzo, così trionfale per il premier, che si è messo a distribuire battute, dentiere e tailleur. La solita mossa da abile prestigiatore, tanto più efficace perché spontanea: per dirla alla romana, lui non ci fa, ci è. Ma anche nelle tendopoli s'è visto un ‘troppo' che ormai è maniera, forzatura, e quindi decadenza”. Lo si accusa di aver imposto un modello artefatto e subalterno di femminilità, di donna oggetto sessuale che accondiscende allo sguardo maschile. Ma non c'era già stato Cosmopolitan prima del berlusconismo? “Certo, ma con Berlusconi Cosmopolitan è diventato immaginario di massa industrialmente prodotto e diffuso. Non penso che sia stato qualcosa di strategicamente e razionalmente pensato. Berlusconi è arrivato sulla scena pubblica italiana negli anni Ottanta con le sue televisioni, in un paese tradizionalmente patriarcale in cui c'era stata una fortissima spinta di massa di liberazione femminile. Berlusconi l'ha cavalcata, cambiandone il segno. Traducendo la libertà politica e il protagonismo sociale delle donne in disponibilità del corpo femminile. Una mossa omogenea alla più vasta operazione berlusconiana di traduzione della libertà in libertà di mercato. Che abbia trovato un consenso femminile, se la leggiamo in questa chiave, è del tutto spiegabile”. Mentre è meno spiegabile, aggiunge Dominijanni, “il fatto che anche fra noi femministe, che della libertà femminile abbiamo dato una versione alquanto più complessa e più ‘alta', ci sia chi finisce col cadere nella trappola. Annuendo all'idea che le veline fanno semplicemente quello che vogliono e devono essere libere di farlo”. Sarà che la cosiddetta questione femminile è stata sempre intesa come un paradigma di vittimizzazione delle donne, e il femminismo a questo si è ribellato: “Infatti Berlusconi è riuscito a intuire questo passaggio, ha capito che le donne non si volevano sentire vittime. Ma l'ha stravolto”.

    Eppure il richiamo alla sobrietà, al decoro e al riserbo, rivolto a Berlusconi ed esteso alle “sue” donne, suona sempre un po' bacchettone. E' come se la sinistra fosse spiazzata da quella esibizione sfacciata di autopromozione con tutti i mezzi, compresi i più screditati: “Vogliamo dire che la sinistra non è in grado di proporre modelli alternativi di valorizzazione delle donne? La sinistra effettivamente è rimasta in gran parte ferma a un vecchio paradigma di vittimizzazione ed emancipazione femminile. Ma perché dovremmo farci imprigionare da questa alternativa fra il ritardo della sinistra e l'‘innovazione' berlusconiana? La cultura femminista è autonoma rispetto a entrambi i paradigmi. Mi dà fastidio la contrapposizione bacchettona a Berlusconi, ma mi dà ancora più fastidio la complicità con il suo modello in nome della libertà femminile”. Il modello faccia-glutei-scollatura uguale per tutte… “A questo proposito, ho trovato che la pubblicazione delle foto a seno scoperto di Veronica Lario sia stata doppiamente gaglioffa. Non soltanto perché serviva al ritornello ‘ecco l'ex attricetta che sputa nel piatto in cui ha mangiato', ma perché quelle foto appartengono a un'epoca in cui il canone femminile non era quello attuale. Veronica Lario, donna peraltro bellissima, vi appare quasi dimessa, eclissata dalle veline photoshoppate di oggi. Sono segnali orribili e vagamente razzisti. Ed è un brutto segno – continua Dominijanni – il corpo delle donne usato come esca per avere voti. Di velini maschi è pieno il mondo della politica e non bisogna tirare fuori il metro della qualità solo con le ragazze. Ma usarle come esca è un'altra cosa”. E' un meccanismo che riguarda tutte le forze politiche… “Ma nel caso di Berlusconi l'uso della bellezza femminile come esca è sistematico, e gli consente un'operazione che sul fronte maschile è forse più importante che su quello femminile”. Dominijanni ha scritto, a proposito del populismo di Berlusconi, che a lui piace sembrare più Evita che Peròn: “Voglio dire che Berlusconi si è femminilizzato e ha femminilizzato la figura del maschio, a partire da se stesso. Ha adottato l'armamentario e il trucco del divismo femminile, e allo stesso tempo ha rassicurato l'immaginario sessuale maschile. Restaurando l'immaginario della potenza sessuale dello sciupafemmine che il femminismo aveva destabilizzato. Berlusconi ha rassicurato gli uomini italiani, ha detto loro che le donne sono ancora giocattoli disponibili e che loro sono ancora capaci di prendersele. Un'operazione schiettamente reazionaria, in una fase di crisi evidente dell'identità maschile”.

    Ma può esistere un modo garbato, beneducato, accettabile, di usare il corpo in politica? E' stato il modo seduttore di Kennedy e poi di Clinton, al quale poi ha portato qualche guaio? E' il modo di Obama, che incanta l'America accennando due passi di danza? E' quello di Sarkozy, che sceglie come première dame un sex symbol e così si annette un “di più” di carisma sessuale? “Il corpo in politica ha sempre contato moltissimo. Contavano anche la maschera di sofferenza di Moro prigioniero e la fisicità schiva di Berlinguer. In tempi di mediatizzazione della politica e di personalizzazione della leadership, conta di più. Per questo è un fattore da analizzare caso per caso”. C'è chi accosta la crisi coniugale dei Clinton a quella del premier e di sua moglie, “e sbaglia completamente. Quello di Clinton era un tradimento sessuale compiuto (tradizionalmente, se si vuole) nell'ombra delle stanze del potere, sul quale la moglie ha deciso una contrattazione interna alla coppia che ha conservato salda la loro immagine pubblica (fino a un certo punto, a ben vedere, perché alcune contraddizioni di Hillary Clinton ‘candidata donna' alle presidenziali risentivano di quella contrattazione). La vicenda di Berlusconi è del tutto diversa. Lui ha fatto pubblica mostra della sua concezione del rapporto con le donne e la moglie ha fatto atto pubblico della sua decisione di divorziare”. Per quanto riguarda Obama, “il presidente americano ci sta dicendo che sa coniugare presenza fisica, seduttività, populismo, con messaggi rigorosi, di richiamo alle responsabilità. Ha riabilitato nell'immaginario popolare l'importanza della formazione culturale e dell'arte dell'argomentazione politica razionale. Tutti elementi eclissati all'epoca dell'anti-intellettualismo dei due Bush e fatti fuori anche in Italia dal berlusconismo, che non è stato solo introduzione dell'elemento ludico in politica, ma riduzione della politica a puro gioco. Non va più bene. Forse è un azzardo, ma lo penso e lo dico: Obama mette Berlusconi fuori tempo massimo. E Berlusconi, al G20, dava l'impressione di averlo percepito”.