Guantanamo addio, senza fretta
Il carcere di Guantanamo e la gestione dei detenuti della guerra al terrorismo continuano a essere un gran problema per il presidente Barack Obama. Il Partito democratico ha bocciato al Congresso la sua richiesta di fondi per risistemare i “nemici combattenti”, oggi detenuti nella prigione extraterritoriale creata dall'Amministrazione Bush tra il 2002 e il 2003.
New York. Il carcere di Guantanamo e la gestione dei detenuti della guerra al terrorismo continuano a essere un gran problema per il presidente Barack Obama. Il Partito democratico ha bocciato al Congresso la sua richiesta di fondi per risistemare i “nemici combattenti”, oggi detenuti nella prigione extraterritoriale creata dall'Amministrazione Bush tra il 2002 e il 2003. Al primo giorno di presidenza, Obama aveva ordinato la chiusura di Guantanamo entro l'inizio del prossimo anno, tra gli applausi dell'opinione pubblica internazionale e del suo partito. L'altro ieri il Pentagono ha chiesto ottanta milioni di dollari per trasferire, una volta chiuso Guantanamo, un centinaio dei detenuti e adeguare le strutture carcerarie americane che li dovranno ospitare. I deputati di maggioranza e di opposizione hanno detto di no perché, ha scritto l'Associated Press, “nessuno vuole i terroristi nel proprio cortile di casa”.
Obama e il Pentagono potranno trovare i fondi necessari al trasferimento dei detenuti da altri capitoli di spesa, ma la ferma opposizione del Partito democratico, per non parlare di quella dei repubblicani, dimostra come la scelta di aprire un carcere fuori dal territorio nazionale non fosse un'idea campata in aria. Tanto più che, secondo quanto annunciato in prima pagina dal New York Times, Obama ha deciso di cambiare idea sui tribunali militari speciali di Guantanamo creati da Bush e approvati dal Congresso, dopo le indicazioni della Corte Suprema.
Il giorno successivo all'insediamento alla Casa Bianca, oltre a ordinare la chiusura di Guantanamo, Obama ha sospeso i processi speciali, come aveva promesso durante la campagna elettorale. Ora ha deciso di fare un passo indietro e tornerà a processare gran parte dei “nemici combattenti” con le commissioni militari di Guantanamo. Il Times ha anticipato le critiche dei gruppi per i diritti civili: Anthony Romero, il capo dell'American civil liberties union, ha detto che si tratta di “un tradimento della promessa” di restaurare lo stato di diritto. Gabor Rona, di Human rights first, ha detto che “sta facendo un errore enorme se crede che ottenere condanne attraverso metodi sospetti sia più importante di lasciare che la giustizia faccia il suo corso”.
I legali dell'Amministrazione si sono convinti che è praticamente impossibile processare i prigionieri di Guantanamo con le regole del processo ordinario. Non solo perché le prove ottenute sul loro conto sono arrivate con metodi non utilizzabili in un'aula di tribunale, ma anche perché l'accusa non può fornire informazioni riservate che riguardano più ampie questioni di sicurezza nazionale. “Più guardiamo le commissioni militari – ha detto un funzionario obamiano al New York Times – più non ci sembrano così brutte come il 20 gennaio”.
La svolta potrebbe essere stata quella del processo, e della condanna, di Ali Saleh Kahlah al Marri, il cittadino del Qatar arrestato e detenuto negli Stati Uniti e per questo processato in una Corte federale. Al Marri è arrivato negli Stati Uniti il giorno prima dell'11 settembre ed era uno dei jihadisti che avrebbe dovuto organizzare la “seconda ondata” di attacchi. Al Marri, a sorpresa, si è recentemente dichiarato colpevole trovando un accordo con l'Amministrazione e i giudici per evitare il processo.
La condanna è di 15 anni e non si sa ancora se i sette già scontati saranno detratti o meno. Il ministro della Giustizia di Obama, Eric Holder, ha salutato la sentenza al Marri come la prova che i terroristi si possono processare con le regole dello stato di diritto, ma in realtà la vicenda dimostra plasticamente il contrario. Intanto il suo ruolo nella “seconda ondata” di attentati si è venuto a sapere soltanto dopo il “waterboarding”, la discussa tecnica di simulazione di annegamento che confina con la tortura, applicata all'ideatore degli attacchi dell'11 settembre Khaled Sheik Mohammed. Ma è soprattutto l'idea che al Marri possa uscire di galera tra otto anni a non apparire lungimirante. Meglio, pensano ora alla Casa Bianca, affidarsi ai processi militari di Guantanamo.
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