Monsignor Marchetto, la bestia nera di chi respinge i migranti al confine
Per monsignor Agostino Marchetto “i giornalisti non disturbano mai”. Anzi, il prelato vicentino appassionato di storia e Vaticano II, classe 1940, ammette di essere “portato al contatto con i media”. Perché il segretario del Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, il “think tank sulla pastorale della mobilità umana”, come lo chiama lui, sui giornali e in tv ci è finito spesso. L'ultima volta è di questi giorni, con il suo attacco alle decisioni del ministro dell'Interno Maroni.
Per monsignor Agostino Marchetto “i giornalisti non disturbano mai”. Anzi, il prelato vicentino appassionato di storia e Vaticano II, classe 1940, ammette di essere “portato al contatto con i media”. Perché il segretario del Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, il “think tank sulla pastorale della mobilità umana”, come lo chiama lui, sui giornali e in tv ci è finito spesso. L'ultima volta è di questi giorni, con il suo attacco alle decisioni del ministro dell'Interno Maroni. Monsignor Marchetto ha bocciato il provvedimento di rimpatrio via nave dei clandestini stipati sui barconi della disperazione come una lesione dei diritti dei rifugiati. I giornali hanno attribuito le sue dichiarazioni al Vaticano, lui ribatte che è sua preoccupazione specificare ogni volta se l'opinione che esprime è la sua o quella vaticana.
Marchetto non intende spostarsi di una virgola da quando ha detto che la normativa internazionale “prevede che i possibili richiedenti asilo non siano respinti, fino a che non ci sia modo di accertarlo”. E anche i gesuiti, la Cei e l'Osservatore Romano si sono schierati sulla stessa linea. Perché la posizione della chiesa, ribadiscono, è basata sui principi fondamentali della dignità dell'uomo. Gli stati, spiega monsignore, devono decidere tenendo presente il bene comune della nazione, ma nel rispetto dei diritti di tutti. Ma il “tutti” in questione riguarda anche chi accoglie i rifugiati? Senza dubbio, risponde. E con la sicurezza come la mettiamo? Per monsignore il binomio fra sicurezza e accoglienza resta inscindibile, “cattolico”, mette insieme realtà che non sembrano capaci di convivere. La sua personale preoccupazione riguarda la criminalizzazione dei migranti.
Marchetto ci tiene a difendere “la piena ragionevolezza della piattaforma dei diritti umani” che sta agitando, un punto irremovibile del suo pensiero. “E' il patrimonio della chiesa, la sua dottrina sociale”. A infastidirlo è piuttosto “l'ignoranza crassa e supina” nei confronti del pensiero della chiesa sull'argomento migranti, espresso in oltre cento messaggi papali. Eppure il Vaticano, accusato di Realpolitik nei confronti di Cina e Iran, rispetto a Lampedusa e ai barconi sembra non avere intenzione di applicarla. Due pesi e due misure tra diritti umani che dovrebbero essere universali?
Il respingimento alla frontiera ha diviso l'opinione pubblica. Sinora quella è risultata, anche a livello europeo, l'unica soluzione possibile. E' considerata una procedura di soccorso in mare, con rotta sulla località di provenienza. E' procedura diversa dalla brutalità delle sparatorie spagnole, la dissuasione armata. L'accoglienza, si dice, ha un limite.
Ma le cifre sulla capacità delle strutture di accoglienza, già piene da scoppiare, a monsignor Marchetto non bastano, perché per lui è una questione di principio. “Non posso diminuire la mia perorazione per i diritti umani a causa delle ristrettezze che ci sono”, spiega. L'obbedienza è a quel principio inderogabile di non respingimento dei rifugiati fissato dalla Carta di Ginevra dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati. E' casomai l'Europa, secondo lui, a doversi preoccupare di rispondere alla richiesta di asilo di coloro che lo chiedono. Ed è sempre l'Europa che dovrebbe aiutare chi è in prima linea.
Marchetto dice “che la cosa più deleteria” per lui è “essere considerato un uomo politico. In questo modo mi si toglie la possibilità di agire in vista del rispetto dei principi”. Come non gli piace che il suo pensiero venga limitato alle scelte del governo italiano (“Ho una prospettiva mondiale, mi si conceda almeno questo”). La politica, dunque, non c'entra niente. Non ce l'ha direttamente con la Lega Nord, il prelato vicentino, e nemmeno con il governo Berlusconi. Eppure, dicono i suoi detrattori della attuale maggioranza, quando fu il governo Prodi, con lui in carica, a prendere decisioni sull'immigrazione che seguivano una linea simile, non alzò tanto la voce. “Ho parlato anche in passato – si difende – anche rispetto alla politica comune europea, rispetto pure alla Francia, alla Germania”.
Teologicamente monsignor Marchetto è in battaglia sul fronte della correttezza storiografica, dalla parte meno convenzionale, anche se la parola “conservatore” non gli piace affatto. Migliore dizione: “linea di continuità nel magistero ecclesiale”. Sua è la battaglia, sostenuta a fianco di Ruini, contro il pensiero unico della Scuola di Bologna sul Concilio Vaticano II. Nel suo libro “Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia”, spiegò che il Vaticano II non segna affatto una cesura, ma è un percorso di continuità, aperto all'attualità. Ruiniano? “Ho cercato qualcuno che potesse essere capace di giudicare la mia posizione in maniera obiettiva e intelligente”. Marchetto in se stesso non vede alcuna strana dicotomia: “E' la chiesa a essere così, non io. Nel rispetto della tradizione ma con attenzione alla realtà dell'oggi”. La politica per Marchetto è come per Paolo VI, un eminente esercizio della carità. Spesso monsignore si è trovato in posizioni difficili. Non è che se le va a cercare? “In realtà non mi piacciono proprio, le situazioni critiche, ma è un dovere di coscienza che ho davanti a Dio”. Perché, si tratti dell'ermeneutica del Concilio Vaticano II o di migranti, monsignor Marchetto su certe cose proprio non può tacere. Sul Concilio Vaticano II sta anche preparando una nuova nota, fermamente convinto di dover ancora “dare un contributo”.
Non è “un uomo della strada”, anche se di strada ne ha percorsa parecchia da quando il suo vescovo, Carlo Zinato, lo spedì a Roma e lui ci andò “per obbedienza”. Come “per obbedienza”, negli anni Novanta, lasciò lo studio del Medioevo per quello del Vaticano II. Studiò teologia e diplomazia, fu nunzio apostolico in mezzo mondo, da Cuba alla Bielorussia, poi approdò a Roma come osservatore permanente della Santa Sede presso le organizzazioni e gli organismi dell'Onu per l'alimentazione e l'agricoltura, alla segreteria di stato e infine alla sua attuale carica. In Africa ha trascorso vent'anni, ma non è vittima del mal d'Africa. Perché l'“Africa della speranza” in cui arrivò nel '64 ora è “la terra della sofferenza”: “Ma si rende conto di che cosa voglia dire se qualcuno arriva a dire io muoio ma non torno al mio paese?”. Marchetto ha chiaro il concetto secondo il quale “più una persona è diversa, più è difficile accettarla”. Perché anche lui per tanti anni è stato un po' un migrante, ma si è sentito accolto dappertutto. O quasi. “Non sono ingenuo – scherza – so che ci sono correnti diverse nella chiesa”.


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