Né reato né diritto
Sull'aborto le chiese cristiane non sanno bene che fare, e questo vale anche per la chiesa cattolica. Sono contro le leggi o le sentenze che da trenta-quarant'anni lo depenalizzano. Non intendono ovviamente rinunciare a questa contrarietà di principio. Ma non giudicano possibile battersi realisticamente per abrogare quelle leggi, e hanno dubbi, molti dubbi, sul significato della dimensione penale in materia. Leggi L'America è diventata anti-abortista, e noi che facciamo?
Sull'aborto le chiese cristiane non sanno bene che fare, e questo vale anche per la chiesa cattolica. Sono contro le leggi o le sentenze che da trenta-quarant'anni lo depenalizzano. Non intendono ovviamente rinunciare a questa contrarietà di principio. Ma non giudicano possibile battersi realisticamente per abrogare quelle leggi, e hanno dubbi, molti dubbi, sul significato della dimensione penale in materia: punire, obbligare, sanzionare, ricacciare nella clandestinità un fenomeno sociale così esteso non è considerato plausibile.
Avviene così quel che è plasticamente rappresentato dal video in cui Barack Obama parla alla Notre Dame University, nell'Indiana, vecchia e autorevole istituzione cattolica americana. Un vasto establishment accademico (studenti compresi, e calorosi) appalaude il presidente, insignito di una laurea honoris causa in nome della sua negritudine e della sua piattaforma retorica di pace e di lotta alla povertà; mentre molti vescovi, l'ex ambasciatrice Usa in Vaticano Mary Ann Glendon e i movimenti pro life protestano ciascuno a suo modo, anche duramente.
L'Osservatore Romano di oggi fa della diplomazia (“Obama alla ricerca di un terreno comune” è il titolo) e investe nella speranza di un compromesso, che però nessuno prepara. Ma la verità è che finché le chiese non passeranno dall'interdizione penale verso le gestanti alla guerra culturale contro l'aborto, dalla invocazione di una punizione alla battaglia per politiche pubbliche e atti simbolici pro life, il fronte antiaborto resterà diviso e imbarazzato, come avvenne in altro contesto per la campagna della moratoria in Italia. Obama, con la pragmatica istintività del politico di razza che lo pervade, cerca di conciliare il suo retaggio cristiano (una black church, roba seria, impegnativa) e la sua educazione relativista harvardiana e liberal (anche quella roba piuttosto pesante). Lo fa proponendo appunto un compromesso. Almeno a parole.
Mettiamo da parte la legge draconiana pro choice su cui mi sono impegnato in campagna elettorale, che legittimerebbe l'aborto di un milione e duecentomila bambini l'anno con misure definitive - dice - e incentiviamo invece la scelta di non abortire o di dare in adozione il frutto del concepimento, il bambino. Il furbo politician Obama ha capito che l'America si sta svegliando dal lungo sonno etico abortista, e che alla lunga l'idea dell'aborto come atto moralmente indifferente tende a cedere di fronte alla realtà (e alle ecografie della gravidanza). Il suo comportamento è stato finora incoerente (ha perfino ristabilito i finanziamenti alle agenzie abortiste di pianificazione familiare). Ma l'ipotesi del terreno comune su cui sperimentare forme di unità trasversale contro l'aborto, accantonando la dimensione penale, è non molto dissimile dalla piattaforma politica, civile ed etica della lista pazza. Se si stabilisse intanto che l'aborto non è un reato e non è un diritto, in mezzo c'è spazio per combatterlo sul serio. Con convinzione laica e fede cristiana.
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