Giro d'Italia

Camillo Langone

Mi hanno rubato la bicicletta. Mi hanno rubato la bicicletta nonostante l'avessi legata a un palo, di quelli della segnaletica stradale. Non mi si può certo accusare di scarsa diligenza: non mi è stata rubata rompendo la catena bensì strappando dal terreno il palo a cui era ancorata.

    Mi hanno rubato la bicicletta. Mi hanno rubato la bicicletta nonostante l'avessi legata a un palo, di quelli della segnaletica stradale (divieto di svolta a destra). Non mi si può certo accusare di scarsa diligenza: non mi è stata rubata rompendo la catena (missione abbastanza impossibile, il mio giudizio sull'umanità avendomi indotto a comprarne una dalle maglie titaniche) bensì strappando dal terreno il palo a cui era ancorata. Tutto ciò lungo un viale di circonvallazione, illuminatissimo e trafficato anche di notte. Constatato il dilagare del crimine, la latitanza delle forze dell'ordine, la debolezza dei pali del Comune di Parma, e augurato una bruttissima malattia al ladro, preferibilmente localizzata nella parte che in questo momento starà appoggiando sul mio sellino, decido di comprare una bicicletta nuova, anzi due: una brutta che possa dormire all'aperto vicino alla stazione ferroviaria (stavolta però legata a un inestirpabile lampione), una bella da tenere sempre sott'occhio di giorno e sempre in cantina di notte.

    Di biciclette usate neanche a parlarne, o sono catorci o sono rubate o sono cigolanti esemplari d'epoca che costano come bici nuove. Non era affatto male la mia Corradini nera con i freni a bacchetta, comprata a Reggio Emilia quando ascoltavo Vasco, Sting e Pat Metheny, insomma nel paleozoico, ma una vita di intemperie, sovraccarico (la usavo come mulo per la spesa al supermercato) e vandalismi (a Parma c'è gente che trascorre la notte prendendo a calci le bici per strada) l'avevano parecchio scassata: ruggine sparsa, fanale mancante, parafanghi storti, tendenza a sbandare, frenata molto eventuale. Il problema-freni era in parte anagrafico e in parte intrinseco: le bacchette, si sa, le montano più che altro per bellezza. Secondo il mio amico Niccolò, possessore di un'antica Raleigh, i freni a bacchetta fanno il gentleman a pedale. Io sono tradizionalista, sì, ma con giudizio, e non trovo poi così elegante rischiare la vita sul lastricato di via D'Azeglio, ogni volta che si scende la rampa del Ponte di Mezzo nei giorni di pioggia. Senza parlare di quando si porta una ragazza sulla canna, felice occasione e bellissimo gesto che purtroppo allunga ulteriormente lo spazio di frenata. E allora anche se la mia Corradini non era affatto male penso che una bici con i freni a cavo sia pure meglio. Ciò nonostante il mio meccanico subito mi propone una Umberto Dei bacchettosa e supercostosa (millequattrocento euri il modello Imperiale). Ci devo pensare, gli dico.

    Vado a pensare su Internet e scopro che nel 2005 quella che fu la Rolls delle bici è caduta nelle mani di un industriale turco. Io sono contrario all'ingresso della Turchia in Europa, figuriamoci nel mio cicloparco. Insieme alla Dei venne turchizzata anche la Atala mentre qualche anno prima due marche già gloriose come Bianchi e Legnano erano diventate svedesi. Non siamo stati nemmeno capaci di conservare il fascino di Fausto Coppi. Mica facile la ricerca di una bella bicicletta sicuramente italiana. Le impeccabili Taurus sono vendute da un negozio di Forlì ma non ho capito chi le produce, e dove. La Classic Man della Adriatica di Pesaro ha un aspetto giustamente antiquato ma si chiama appunto Classic Man. Le Montante di Serradifalco (Caltanissetta) piacciono ad Andrea Camilleri, e questo mi basta. “Ne ha una anche Fiorello!” mi dicono, e questo mi avanza.

    Come seconda bici, come bici brutta, il meccanico suggerisce una Casadei di Comacchio e forse almeno qui ci siamo. Essendo davvero sgraziata non sarà appetita dai ladri e il sito dell'azienda è ruspantissimo: “Nata agli inizi degli anni Ottanta grazie al lavoro e all'instancabile dedizione di Giancarlo e Rosanna Casadei che, con immutato entusiasmo, ancora la gestiscono con il prezioso apporto dei figli”. La prendo, viva la bici familista e naif! Ma riguardo la prima bici, la bici bella, ho ancora dei dubbi. Le Cigno di Forlimpopoli sono visibilmente di categoria superiore eppure percepisco una disarmonia, forse colpa del copricatena parziale (c'è da sporcarsi i pantaloni) o del portagiornale retorico sul manubrio. La milanese Cinelli Wizard Man è davvero magica: moderna eppure neoclassica grazie a linee perfette e assenza di schizzi graffitisti e soprattutto munita di luci a induzione magnetica ovvero senza dinamo (che fa attrito) e senza batterie (che si consumano).

    Mi domando che cosa direbbero in città, vedendomi sopra una bici anglofona e col cambio. Mi sembra di sentirli: Langone sta invecchiando, si è messo a fare sport. Per salvare la reputazione non restano che le Abici di Viadana (Mantova). Viadana è a pochi chilometri da Parma ma il treno non ci arriva, quindi faccio prima ad andare a Milano, hanno l'esposizione nella segreta e silenziosa piazza Sant'Erasmo, magnifico indirizzo. I loro modelli vorrei comprarli tutti, per la purezza delle forme (una tradizione riportata all'essenza) e per i nomi: Gran Turismo, Camporella, Sveltina… Ma sarò capace di azionare il freno a contropedale, caratteristico della gamma più bella e più italiana del mondo? Ci devo riflettere. Tornando in stazione, in piazza della Repubblica incontro per caso Antonio Riccardi della Mondadori. Che ci fai a Milano? Sono venuto per comprare una bici. Vieni apposta da Parma a Milano per comprare una bici? Certo. Riccardi si mette a ridere. Mi hanno rubato la bicicletta e tutti si divertono e anch'io, in questi giorni di ricerche entusiasmanti, mi sto divertendo molto.

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).