Riconciliazioni
Ma da dove è saltato fuori? Il ruolo di Raffaele Bonanni supera il pur rilevante incarico di guidare un grande sindacato come la Cisl. In qualche anno il sindacalista abruzzese è riuscito a far fare passi in avanti a un processo di riconciliazione nazionale che sinora appariva quasi impossibile. Non c'era riuscito Carlo Azeglio Ciampi, per quanti meriti abbia avuto nel 1993 e nel 1996.
Ma da dove è saltato fuori? Il ruolo di Raffaele Bonanni supera il pur rilevante incarico di guidare un grande sindacato come la Cisl. In qualche anno il sindacalista abruzzese è riuscito a far fare passi in avanti a un processo di riconciliazione nazionale che sinora appariva quasi impossibile. Non c'era riuscito Carlo Azeglio Ciampi, per quanti meriti abbia avuto nel 1993 (gestione della crisi, su cui però come governatore prima aveva pasticciato) e nel 1996 (con decisive mosse per aderire all'euro). Ciampi, anche per lo status di tecnico e di interlocutore specialmente attento a entità sovranazionali, non è mai stato realmente in grado di ricomporre una società divisa e ferita.
Non ce l'ha fatta e non ce la fa Silvio Berlusconi che ogni volta che si avvicina a un esito di riconciliazione, gli tirano fuori (talvolta un po' se li tira fuori da solo) una Noemi o un Mills come accade oggi o una All Iberian come fecero Corriere della Sera, Francesco Saverio Borrelli e Oscar Luigi Scalfaro nel 1994. Non ce l'ha fatta Massimo D'Alema, attaccante magnifico nel dribbling ma che quando deve segnare si spaventa. Naturalmente non ce l'ha fatta il vigliacchetto Walter Veltroni. Non si sono interessati di riconciliazione politici come Pierferdinando Casini o protagonisti pubblici come Luca Cordero di Montezemolo, attenti solo a trovare il loro buchino nel formaggio. E non ho capito se sia interessato alla riconciliazione o a un proprio buchetto, Gianfranco Fini. Un ruolo assai positivo lo gioca Giorgio Napolitano. Ma defilato.
Secondo biografia. Parlo di quelli che vogliono o hanno voluto riconciliare l'Italia, non di quelli che hanno puntato sulla divisione come Scalfaro o Romano Prodi per aumentare il proprio potere. E alla fine di questa serie di interminabili fallimenti di tentativi di riconciliazione, spunta fuori questo sindacalista cattolico, che a vederlo non gli daresti due soldi e invece ti piazza un paio di miracoli. Costruisce un rapporto tra imprese e lavoratori che non è più quello del 1993 incentrato sull'emergenza (e sullo schiacciamento dei salari con annessa compressione della produttività). Consente, nonostante le irrequietezze di Renato Brunetta, una politica di modernizzazione dell'amministrazione pubblica dove il suo sindacato è stato nel passato elemento di freno. Mette insieme un tavolo di consultazione con associazioni dei ceti medi dalla Confartigianato alla Confcommercio alla Confcooperative alla Cdo che pone le basi per una politica di sussidiarietà di imprese ed enti intermedi in campo economico-sociale. Abituati a seguire le dichiarazioni di Francesco Rutelli o persino di Nichi Vendola, in parte ci sfugge il carattere riformisticamente rivoluzionario di quello che sta accadendo: la parte centrale delle classi popolari è stata prima esclusa dal regime post risorgimentale, poi schiacciata dal fascismo, successivamente si è organizzata sulla base del nucleo “antagonistico” (sia pure cauto e responsabile) dell'egemonia comunista.
Far passare il lavoro dipendente, operai, impiegati, dalla cultura del conflitto a quella della cooperazione, offre la base strutturale per quella politica di riconciliazione di cui ha bisogno la società italiana. Il carattere eccezionale dell'operazione di Bonanni è che questa sua rivoluzione riformista non la pratica all'italiana, con i proclametti un po' imbroglioni alla voce.info, che sfidano a fare cose impossibili per denunciare poi chi non le fa. No, le sorprendenti caratteristiche dell'azione di Bonanni sono la chiarezza delle linee di fondo programmatiche e la sua concretezza, il buon senso con cui le persegue. Chiaro e concreto. E vincente perché specie tra i ceti popolari l'ora delle fumisterie sta finendo. Così Bonanni ha potuto conquistare la sua organizzazione, non più (o meglio, non solo) con il defatigante bilancino tra le nomenklature che esistono anche in Cisl: il metodo di Guglielmo Epifani per restare a galla in Cgil. Ma con un lavoro di dibattito e pedagogico che ricorda lo stile del vecchio Giuseppe Di Vittorio, un tipo di sindacalista popolano come Bonanni.
Da qui la disponibilità del pubblico impiego a modernizzarsi (anche se un po' di merito è di Brunetta), di qui il lavoro di confronto e concertazione con il magnifico Maurizio Sacconi e con un Giulio Tremonti attento all'economia sociale di mercato. Un dialogo intenso con la libera, seria e concreta Marcegaglia. Naturalmente non siamo in presenza di un profeta disarmato, bensì oltre che di un ottimo e perbene sindacalista, di un furbacchione di tre cotte, che apre sulle pensioni intendendo il contrario di quello che sostengono gli economisti della voce.info. E' pronto a venire incontro ai sindacalisti della Cgil che chiedono di discutere del contratto unico per uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati per il nullismo epifaniano e per le diffuse tendenze massimaliste ed estremistiche presenti nella loro organizzazione, ma senza rinunciare a un'organizzazione flessibile dei rapporti di lavoro.
Anche con governo e Confindustria, Bonanni non va a contrattare senza una base solida, ma lo fa con la voglia di chiudere accordi non di far agitazione politica. Non credo di esagerare pensando che la Cisl di Bonanni stia ponendo le basi per una stagione di riforme, alcune delle quali per decollare (si pensi a che cosa succede in Francia a tentare di innovare l'università) richiedono un poderoso blocco sociale per essere sostenute. Speriamo sia possibile utilizzare la perfetta occasione che questo sindacalista sta fornendo al nostro paese per riformarsi.
Il Foglio sportivo - in corpore sano