Un manifesto prezioso sulla natura della politica, fini e mezzi
Gli americani in genere non amano l'ateo Machiavelli, sul piano teorico, ma applicano scrupolosamente il suo dettato scientifico, sul piano pratico.
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Gli americani in genere non amano l'ateo Machiavelli, sul piano teorico, ma applicano scrupolosamente il suo dettato scientifico, sul piano pratico. Quando il vicepresidente degli Stati Uniti, l'11 dicembre del 2001, fu portato in un bunker sotto la Casa Bianca perché un aereo si stava dirigendo su Washington a 500 miglia orarie, nel quadro di un attacco coordinato che avrebbe fatto tremila morti circa tra New York e la Capitale, la sua reazione, insieme con il presidente, con il Congresso e con l'intera nazione che pregava Dio e applaudiva il Patriot Act, è stata di commisurare, nella risposta a una guerra globale portata da un nemico sfuggente, i mezzi alle circostanze. Per anni l'America svagata e rampante del clintonismo aveva trattato attentati e attacchi jihadisti come questioni di polizia criminale. Bush, Cheney, Rumsfeld e gli altri cambiarono analisi, e presero la decisione di dichiarare la “guerra” al terrorismo.
“Intrare” nel male, quando necessario: questo deve fare il potere esecutivo non appena siano seriamente in discussione la pace, la vita dei cittadini e il funzionamento delle libere istituzioni. Il discorso di Dick Cheney sulla strategia di intelligence dell'amministrazione Bush dopo l'11 settembre, che pubblichiamo integralmente per il suo nitore politico e il suo acume intellettuale, è un esempio di probità repubblicana, un ammonimento e una lezione per certa spregiudicatezza morale dei successori, in una connessione stringente di logica politica che le classi dirigenti europee, nella società civile e nello stato, dovrebbero studiarsi a fondo.
L'oratore e statista, ormai persona privata, parla senza più nulla da difendere se non la sua verità per la storia, ed è atrocemente e moralmente chiaro. Dovevamo ottenere informazioni rilevanti sui piani e la struttura operativa del nemico, dunque abbiamo intercettato segretamente le comunicazioni e avviato un programma di interrogatori duri di quei terroristi prigionieri che erano al vertice dell'organizzazione jihadista e disponevano di notizie capaci di prevenire nuovi attentati, riorganizzazioni di cellule e ridefinizioni di piani d'attacco in territorio americano o contro strutture civili e militari americane all'estero. Cheney prova che quelle informazioni sono state ottenute, che si sono salvate vite in America e nel mondo, che i colpi inferti alla rete di Bin Laden dipendono da quell'esercizio rigoroso dei precetti operativi dell'intelligence. E sfida il presidente Obama a rendere noti i dossier che lo dimostrano inconfutabilmente, e che Cheney ovviamente conosce. Il vice di Bush aggiunge che l'autorità per l'uso di metodi operativi severi era data all'esecutivo dall'articolo secondo della Costituzione e dalla mozione di emergenza approvata dal Congresso, oltre che dal consiglio legale del governo federale e dai membri del Congresso riservatamente messi a parte della cosa. Gli americani, dice un fiammeggiante Cheney, hanno diritto di sapere come sono state poste le domande ai terroristi, ma hanno anche diritto di conoscere le loro risposte, che hanno salvato la sicurezza della nazione e molte migliaia di vite innocenti. Ecco perché i liberal devono stare attenti alla falsa indignazione e al falso moralismo, visti i risultati dei metodi di intelligence usati nel rigoroso rispetto della specifica legalità emergenziale del war on terror.
Con argomenti lineari, una esemplificazione persuasiva e molta passione, ma non senza ironia, Cheney dimostra in questo discorso che l'amministrazione di cui faceva parte non ha tradito i valori americani e non ha agito in modo tale da agevolare il reclutamento dei jihadisti, secondo il “mantra” ripetuto con sciocco automatismo dai guru liberal occidentali. “Gli interrogatori duri di detenuti al vertice della rete terroristica e le intercettazioni ad ampio spettro hanno senza possibilità di dubbio reso più sicuro il paese”, conclude Cheney. Ed è per questo che anche il presidente Obama si è riservato il diritto di ordinare quelle stesse pratiche di interrogatorio, nel caso le giudichi appropriate. Quando parlano degli interrogatori duri, gli uomini del presidente si vantano di aver risolto un dilemma morale ereditato. Invece hanno soltanto rinviato la decisione, mentre “assegnano un tratto presuntivo di superiorità morale a qualunque decisione possano prendere in futuro”. Un ritratto perfetto di Barack H. Obama e del suo stile retorico. E dei suoi imparaticci seguaci di quaggiù.
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