Il bordello emiliano
Racconta un dirigente emiliano del Partito democratico che tra Prodi e D'Alema esiste un accordo di massima per la spartizione del potere regionale. Un accordo che potrebbe essere sintetizzato così: a D'Alema la regione, a Prodi i comuni più importanti dell'Emilia Romagna. Dietro a questa intesa si nasconde però una forte offensiva con cui D'Alema ha intenzione di ritagliarsi uno spazio sempre più autonomo nel vecchio feudo prodiano.
Reggio nell'Emilia. Se da qualche tempo a questa parte i giornalisti di mezza Italia arrivano in massa in questa lunga striscia di terra che taglia in due il cuore della pianura Padana è perché molti dei comuni a cavallo tra l'Emilia e la Romagna sono oggi i luoghi migliori dove è possibile cogliere lo sforzo sincero con cui il centrosinistra sta cercando non soltanto di perdere il maggior numero possibile di consensi elettorali, ma anche di mettere per la prima volta in discussione quella formidabile macchina di potere che da quindici anni è custodita nelle mani di Romano Prodi. Una delle particolarità da considerare nell'Emilia Romagna – dove il prossimo sette giugno verranno rieletti i governanti delle città più importanti della regione – è che non esiste una realtà come questa che in appena ventiduemila chilometri quadrati di territorio ti offra una fotografia praticamente perfetta della vivace trasformazione di un vecchio e apprezzato modello di gestione della cosa pubblica in un più semplice ed evidente, diciamo, bordello politico.
Perché se da un lato l'Emilia è la regione in cui oggi c'è un ex presidente di una cooperativa che appoggia un candidato di centrodestra; in cui c'è un ex socialista candidato con la Lega; in cui c'è una comunista appoggiata dai nuovi democristiani; in cui c'è un democristiano sponsorizzato dai vecchi comunisti; in cui c'è una banca che entra in campo in un consiglio comunale; e in cui c'è persino un centrodestra che elegge un suo candidato alle primarie del Partito democratico, dall'altro lato è sufficiente fare due passi lungo i sessanta chilometri che separano due tra i più importanti forzieri economici e politici della regione (sono Bologna e Reggio nell'Emilia) per capire che dietro il suicidio politico del centrosinistra si nascondono intrecci politici, economici e finanziari che hanno come protagonisti assoluti ex presidenti del Consiglio (come Romano Prodi e Massimo D'Alema), ex presidenti della Camera (come Pier Ferdinando Casini), importanti banchieri (come Alessandro Profumo) e affermati imprenditori (come Francesco Gaetano Caltagirone): tutti pronti a recitare una parte rilevante nel romanzo della spartizione del potere prodiano.
Tra fondazioni, banche e cooperative, l'Emilia Romagna resta uno dei più grandi polmoni economico-finanziari rimasti vicini al centrosinistra, e se è vero che fino a poco tempo fa l'eredità del bottino conquistato dal Secondo dopoguerra in poi dal Partito comunista era finito nelle manone di Romano Prodi, le prossime elezioni avranno l'effetto di mettere per la prima volta in discussione proprio la consistenza di quella rete di potere vicina all'ex presidente del Consiglio. “In effetti – spiega al Foglio l'ex sindaco comunista di Reggio, Renzo Bonazzi – per quanto ne so io le persone a cui Prodi dice una cosa e loro la fanno mi sembra proprio che non siano più così tante. E' vero che esistono dirigenti e politici che accettano i consigli del professore, ma da qualche tempo a questa parte l'ex presidente del Consiglio mi sembra abbia perso i contatti con il mondo dei poteri. Certo, anche a Reggio si trovano personaggi ancora legati al Prof: prendete Pierluigi Castagnetti, per esempio. Ma per il resto questa straordinaria rete prodiana sinceramente non mi sembra che sia più simile a quella che veniva raccontata fino a qualche tempo fa”.
A questo punto, la domanda a cui rispondere è questa: che cosa ne sarà del prodismo e chi si candida a ereditare il patrimonio messo da parte da Romano Prodi? Per rispondere bisogna prendere in considerazione due aspetti che hanno a che vedere con questa regione. Il primo è l'aspetto politico e il secondo è quello finanziario. Entrambi i punti di osservazione confermano quanto segue: in Emilia Romagna è in corso una durissima battaglia tra Romano Prodi e Massimo D'Alema. Una battaglia in cui c'entra il controllo delle cooperative, in cui c'entra la candidatura di Antonella Spaggiari (al comune di Reggio nell'Emilia) e in cui c'entra una partita delicata che si sta giocando all'interno della più importante azienda bolognese (l'Hera).
Racconta un dirigente emiliano del Partito democratico che tra Prodi e D'Alema esiste un accordo di massima per la spartizione del potere regionale. Un accordo che potrebbe essere sintetizzato così: a D'Alema la regione, a Prodi i comuni più importanti dell'Emilia Romagna. Dietro a questa intesa si nasconde però una forte offensiva con cui D'Alema ha intenzione di ritagliarsi uno spazio sempre più autonomo nel vecchio feudo prodiano. I primi segnali di una possibile dispersione della spregiudicata rete prodiana sono arrivati pochi giorni fa, quando alcuni uomini vicini al professore hanno fatto sapere che non avrebbero appoggiato il candidato sostenuto da Prodi alle comunali di Bologna. In particolare, due ex consiglieri del presidente del Consiglio (Gianni Pecci e Alberto Clò) e un suo collaboratore ai tempi della presidenza della Commissione europea (Massimo Ponzellini) hanno confessato che a Bologna avrebbero votato per il candidato “civico” – Giorgio Guazzaloca – e non per quello prodiano del Pd (Flavio Delbono).
Sintomi di una definitiva cottura di Prodi in realtà non se ne vedono. Sintomi di un certo rafforzamento di D'Alema invece si vedono. Nelle cooperative, per esempio. La strategia di D'Alema è semplice: una volta persi i suoi uomini di fiducia all'interno della cooperativa più importante dell'Emilia (Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, ex numeri uno e numero due di Unipol), il presidente di ItalianiEuropei si è concentrato sulle coop un po' più piccine e a poco a poco le ha sottratte al controllo di Prodi.
Qualche esempio: tra gli iscritti all'associazione legata alla fondazione ItalianiEuropei (Red), tanto per cominciare, ci sono tutti i nomi chiave della cooperazione emiliana. C'è Pietro Cavrini (vicepresidente della Società Cooperativa Agricola Co.Pro.B.), c'è Luciano Sita (presidente di Legacoop Agroalimentare) e c'è Giuseppe Politi (presidente della Confederazione italiana agricoltori e in buoni rapporti con i vertici Unipol). Ma l'influenza dell'ex ministro degli Esteri è forte anche all'interno delle altre cooperative più importanti della regione: la Coop Nord-est, il Consorzio cooperative di produzione e lavoro, la Cooperativa muratori Reggiolo, l'Unipeg e soprattutto la Lega Coop – il cui presidente, Ildo Cigarini, è dirigente assai stimato e vicino tanto a Vasco Errani quanto a D'Alema. “Il fatto – spiega al Foglio il responsabile dell'organizzazione della Lega Nord in Emilia Romagna, Enrico Lusetti (ex militante del Partito comunista e oggi candidato con il partito di Umberto Bossi al Parlamento europeo) – è che la Lega delle cooperative oggi ha paura dei prodiani e sta provando a lanciare una sua offensiva appoggiata da D'Alema per sfruttare il possibile crollo del mondo legato al professore. Il primo atto di guerra nei confronti di Prodi è stato non appoggiare nessuno dei candidati sponsorizzati dall'ex presidente. Qui in Emilia Romagna ancora non era mai successo”.
Se nel mondo delle cooperative D'Alema è riuscito ad affondare gli artigli in tutti i più importanti luoghi di potere, il discorso che riguarda le partite legate al mondo finanziario è un po' diverso. Anche se in quest'ambito padrone incontrastato è ancora Prodi, D'Alema ha in mente un piano per tentare di pesare sempre di più in quello che è considerato il termometro degli equilibri di potere di questa regione. A partire da Hera. Hera è la più importante (e naturalmente la più ricca) municipalizzata dell'Emilia Romagna: serve 196 comuni della regione, è nata a seguito della fusione di 73 società diverse e si occupa praticamente di tutto: di acqua, di gas, di teleriscaldamento, di nettezza urbana, di termovalorizzatori, di compostaggio, di verde pubblico, di illuminazione stradale e persino di servizi cimiteriali e funerari. L'amministratore delegato della società è il dalemiano Maurizio Chiarini, mentre presidente di Hera è quel Tomaso Tommasi di Vignano che è stato amministratore delegato di Iritel (società collegata all'Iri di cui Prodi è stato presidente) poi della Telecom di Guido Rossi, e che è ancora oggi grande amico dell'ex presidente del Consiglio. Tomaso Tommasi è l'uomo forte della società ed è l'uomo che gestisce i dossier più delicati.
Ma il potere di D'Alema nella mediobanca emiliana è sempre più in ascesa, non si limita all'influenza esercitata dall'amministratore delegato ed è ben presente nella pancia della società. Prendete i consiglieri. Raccontano che siano dalemiani Filippo Brandolini (ex segretario Ds di Ravenna), Luigi Castagna (ex sindaco Ds di Casalecchio), Piero Collina (consigliere nominato dalla Lega Coop), Vander Maranini (ex assessore Ds a Ferrara) e Roberto Sacchetti (ex dirigente dei Ds emiliani). Come se non bastasse, D'Alema sta cercando di intestarsi una delicata operazione economica che potrebbe mettere insieme da un lato Hera e dall'altra la municipalizzata più importante d'Italia: l'Acea. E' vero che il progetto di fusione tra Hera-Acea è affidato al presidente Tommasi ma è altrettanto vero che il socio forte di Acea è Francesco Gaetano Caltagirone, che da qualche tempo considera D'Alema il miglior interlocutore del centrosinistra (vedi anche il peso sempre maggiore esercitato da Caltagirone nel Monte dei Paschi di Siena – dove Caltagirone è vicepresidente – vedi la scelta del costruttore romano di appoggiare la nomina del tesoriere della Fondazione ItalianiEuropei – Andrea Peruzy – come consigliere di amministrazione di Acea in quota Pd): anche in questa partita bolognese difficilmente Caltagirone si muoverà senza un accordo con D'Alema.
Un discorso a parte va invece fatto per quel grande motore finanziario dell'Emilia Romagna che investe ogni anno qualcosa come nove milioni di euro in tutta la regione (per capire: il bilancio consultivo dalla fondazione il 27 aprile del 2009 dedica 54 pagine a tutti coloro che hanno beneficiato di almeno un versamento della fondazione) e che mette insieme gli interessi della chiesa, gli interessi della politica e gli interessi della banche: la fondazione Manodori. Il presidente di questa fondazione è la zarina Antonella Spaggiari; iscritta per anni prima al Pci, poi al Pds, poi ai Ds e ora al Pd; sindaco di Reggio per quattordici anni (dal 1991 al 2004); e oggi candidata al comune di Reggio con una lista civica appoggiata dall'Udc. Una delle ragioni di interesse della candidatura di Spaggiari è il suo rapporto con Prodi. L'ex presidente del Consiglio ha confessato che il suo uomo a Reggio è l'ex sindaco uscente Delrio, ma come spiega un dirigente del Pd emiliano ci sono diverse ragioni per credere che Spaggiari sia anche la miglior interprete del sistema di potere prodiano. “Non bisogna sorprendersi – racconta un dirigente emiliano del Pd – se Prodi vede in Antonella Spaggiari un garante di quel patrimonio costruito negli anni dallo stesso professore e che sarebbe inevitabilmente compromesso se a governare Reggio dovesse arrivare un politico che rappresenta davvero un'alternativa a quel sistema”.
Il ragionamento del dirigente del Pd si spiega anche così: Spaggiari rappresenta per Prodi un presidio all'interno di Unicredit e il professore ha grande interesse a essere ancora l'uomo del Pd che più conta nella banca di Alessandro Profumo (la Manodori ha quasi l'un per cento della Banca e nel passato è stata azionista forte del patto di sindacato di Capitalia). Da presidente della Fondazione Manodori, Spaggiari ha la facoltà di nominare un membro nel consiglio di amministrazione della banca e il nome scelto dall'ex sindaco di Reggio è Donato Fontanesi – ex presidente di una delle cooperative più importanti della regione (Coopsette, proprietaria tra l'altro di una delle maggiori tv locali: Telecittà) e manager vicino a Prodi. I rapporti Spaggiari-Prodi-Unicredit passano anche attraverso un secondo consigliere della banca di Profumo. Si chiama Luigi Maramotti, nato a Reggio nell'Emilia, sponsor di Spaggiari, amico di Prodi, capo del colosso economico Max Mara e oggi primo socio privato della banca di Profumo (possiede quasi il 2 per cento e dal 30 aprile è stato nominato membro del comitato di corporate governance della stessa banca).
Ma nel forziere rosso dell'Emilia Romagna D'Alema sta iniziando a pesare sempre di più, anche qui: i rapporti tra Max e Spaggiari non sono buoni (la candidata sindaco è stata tra l'altro nella segreteria nazionale dei Ds ai tempi di Veltroni) ma per far scorrere sempre più sangue dalemiano nel cuore della Manodori il presidente di ItalianiEuropei ha deciso di puntare su Ivan Soncini, amministratore delegato di una delle cooperative più importanti dell'Emilia Romagna (Ccpl: Cooperative di Produzione e Lavoro), in ottimi rapporti con la coordinatrice di Red in Emilia (Elena Montecchi) e già oggi consigliere della fondazione Manodori.
Dietro al tentativo dalemiano di ereditare i forzieri del potere prodiano, c'è però una storia che meglio di altre spiega quali sono le conseguenze politiche del gran bordello emiliano. E' successo che, in un paesino a 28 chilometri da Reggio nell'Emilia, il Pd ha organizzato una confusa campagna elettorale per scegliere il candidato sindaco a Guastalla.
Poco prima delle primarie, però, il centrodestra ha messo in pratica una spregiudicata strategia per far emergere la debolezza dei dirigenti del centrosinistra: prima ha studiato la solidità dei candidati del Pd, poi ha individuato il politico potenzialmente più facile da battere e infine ha mobilitato centinaia di militanti locali per andare a votare in massa l'uomo più debole presentato dal Pd. Tra gli elettori che hanno votato alle primarie del Pd c'era anche il fratello del candidato sindaco di centrodestra di Guastalla: Francesco Benaglia, candidato a sua volta in una lista civica appoggiata dal centrodestra al comune di Brescello. I tre uomini del Pd di Guastalla erano Stefano Costanzi (esperto assessore alle Politiche scolastiche), Paolo Gozzi (vicesindaco uscente ed uno dei registi della vittoria del centrosinistra alle ultime elezioni locali) e Carlo Fiumicino (25 anni e nessuna rilevante esperienza politica alle spalle). Indovinate un po' chi ha vinto?
Il Foglio sportivo - in corpore sano