Franceschini, ovvero la tempesta dopo la quiete

Stefano Di Michele

Ciò che Walter temeva, Dario ha fatto. Nell'immaginario di Veltroni, centrale è stata per anni la figura del Tafazzi, quello che masochisticamente si dava bottigliate sulle parti, diciamo, più sensibili e ricettive. Con l'infelice uscita dell'altro giorno – sul tema: il Cav. e i figli – Franceschini nello stesso esatto modo ha proceduto.

    Ciò che Walter temeva, Dario ha fatto. Nell'immaginario di Veltroni, centrale è stata per anni la figura del Tafazzi, quello che masochisticamente si dava bottigliate sulle parti, diciamo, più sensibili e ricettive. Con l'infelice uscita dell'altro giorno – sul tema: il Cav. e i figli – Franceschini nello stesso esatto modo ha proceduto. E che si sia trattato di una tafazzata, nonostante certe complicate rettifiche (“io non ho parlato dei figli di Berlusconi, ho parlato dei nostri figli”), è stato chiaro da subito al vertice del Pd ed era lampante ieri scorrendo i giornali più vicini alla sinistra. O si nasconde, come fa Liberazione, o si cavilla, come fa l'Unità, “Educazione, Franceschini irrita i figli del premier”, o si riconosce lo sbaglio, come fa il Manifesto, “gaffe di Franceschini”. Mirabile, da questo punto di vista, Europa, che parla di “affondo” del segretario democratico, e pubblica un lungo elogio di Guelfo Fiore sul “metodo Franceschini per dare scacco al re”.

    Vero che, in quanto a metodo, si parla di scarpinate per mercati e uffici postali, soste con i venditori di olive ascolane e traversate ferroviarie per il continente, “con giacca e camicia irrimediabilmente stazzonate e non esattamente asciutte” – manco andasse a zappare l'orto – ma addirittura c'è una frase che dà il senso di questo metodo, per rovesciarsi, nelle stesse ore, esattamente nel suo opposto: “Più parole ascoltate che parole dette” – neanche pubblicato l'encomio, che le parole sono state dette.

    Saranno sfuggite, saranno state mal interpretate, saranno state (più probabilmente) male formulate, ma ieri in televisione bastava guardare la faccia di Franceschini – il ciuffo teso verso l'alto, lo sguardo teso (e basta) – mentre presentava le candidate del Pd, per capire che la faccenda un certo parapiglia dentro il partito deve aver provocato. Da qualche settimana, Dario dà dei pensieri. C'è stato un periodo, l'immediato dopo avvento, che dava preoccupazioni in senso opposto: quel maglioncino (sempre quello), quel tono (sempre quello), quella certa magrezza (non quella, ma di più). E la barba lunga, e la faccia scavata, e l'aria smarrita… Poi, di colpo, ha cominciato a randellare. Subito dopo la presentazione delle liste per le europee – con una faticaccia di leva e metti – e sarà stato l'assedio mediatico dei possibili alleati, comunisti e dipietristi e radicali, ma la mutazione è stata completa e sorprendente. Tempesta dopo la quiete, insomma. Sul Riformista, Giampaolo Pansa si è divertito a ritrarlo nelle vesti del “Trinariciuto Bianco”, che ha dato sulla voce tanto a Belpietro quanto a Carlo Rossella (a un certo punto entrano in ballo pure Togliatti, Stalin e Kruscev, magari troppa grazia, per dire di quanto appaia sorprendente la metamorfosi franceschiniana).

    Poi la lettera, resa pubblica dalla Stampa, inviata a tutti i segretari locali della Lombardia per sostenere Sergio Cofferati, capolista lì al nord. Con la sorprendente chiusa: “Ti chiedo di informare ogni livello comunale che poi analizzeremo insieme il risultato dei capilista nei loro territori” – forse mal formulata (e dai!), forse cattiva pensata, un po' piccì anni 50, tanto che il giornale gode e titola che “faremo i conti”. E lettere varie ai quotidiani, e allarme per l'Italia “a rischio Turkmenistan” (in generale uno manco sa dove sta, il Turkmenistan). Resta la consolazione di Guccini, “per Dario è dura ma con Veltroni restavamo al palo”. Al palo non si è rimasti, così, metafora per metafora, Franceschini ha preso il randello (politico): ma essendo tendenzialmente mite ragazzo di Zac, l'urlo vien stridulo e l'attrezzo va a produrre l'effetto Tafazzi, calando dove non deve. Dovrebbe farla, Dario, ogni tanto una telefonata a Walter…