Un libro dell'erede di Barney
Mark Steyn ci racconta l'inquisizione islamica a un anno dalla sua gogna
Sul retro di copertina una foto dell'autore con il primo ministro canadese Stephen Harper. In esergo il motto del New Hampshire, coniato nel 1809 da un generale per celebrare la rivoluzione americana: “Vivi libero o muori”. Mark Steyn, che il New York Times ha definito “la penna più velenosa della destra”, va orgoglioso di quel motto. Un anno fa lo scrittore canadese Steyn, autore del best seller “America alone”, all'epoca numero uno delle classifiche nel proprio paese, finì sotto processo per “islamofobia”.
Sul retro di copertina una foto dell'autore con il primo ministro canadese Stephen Harper. In esergo il motto del New Hampshire, coniato nel 1809 da un generale per celebrare la rivoluzione americana: “Vivi libero o muori”. Mark Steyn, che il New York Times ha definito “la penna più velenosa della destra”, va orgoglioso di quel motto. Un anno fa lo scrittore canadese Steyn, autore del best seller “America alone”, all'epoca numero uno delle classifiche nel proprio paese, finì sotto processo per “islamofobia”, accusa rivoltagli dalle principali organizzazioni musulmane canadesi e rigettata in aula dopo un anno di processo. La stessa accusa per cui in Francia altri gruppi islamici intendono ora incriminare il suo libro. L'Economist parlò di “polizia del pensiero” e di uno dei processi più inquietanti nella storia della libertà d'espressione. L'Ottawa Citizen, uno dei principali quotidiani canadesi, parlò di “neomaoismo”.
Un articolo di Steyn, titolo “The future belongs to islam”, apparve sulla prestigiosa rivista Maclean's, per la quale scriveva Mordechai Richler (Steyn gli è subentrato come critico letterario). Nell'articolo Steyn, stuntman d'una decina di quotidiani in lingua inglese, spiegava il declino demografico dell'Europa: “L'Europa sarà semi islamica nel carattere politico e culturale entro due generazioni, forse una. Stiamo assistendo alla lenta estinzione della civiltà in cui viviamo”. Al fianco dei musulmani scese la crema della società civile canadese, come la Canadian Federation of Students, l'Ontario Federation of Labour e la Canadian Nurses Association. Fu un perfetto processo politicamente corretto.
Anticipando “Lights out”, il libro in cui lo scrittore racconta il caso e la caccia alle streghe, Steyn spiega al Foglio il paradosso per cui “se le ragazze musulmane in Ontario sono uccise nei ‘delitti d'onore', la commissione Diritti umani dice di essere una piccola commissione e che deve dare la priorità a Mark Steyn, piuttosto che ai killer delle musulmane. Il prezzo della libertà è una eterna vigilanza e quello che vogliono i movimenti islamici è criminalizzare la vigilanza usando il sistema legale”.
Anche solo il fatto che il Tribunale dei diritti umani della British Columbia avesse accettato di discutere il caso sollevò un polverone intellettuale senza precedenti in Canada. “Nella pubblica piazza, nel supermercato delle idee, nelle antiche nazioni che sono state crocevia della libertà, le proibizioni del mondo islamico sulla ricerca intellettuale oggi si applicano a tutti”, ci dice Steyn. “Non accetto che i cittadini canadesi debbano richiedere il permesso dello stato per leggere le mie column. Quando i miei figli avranno la mia età voglio che la civiltà occidentale faccia ancora parte del gioco”.
Steyn rigetta l'accusa di islamofobia: “Non c'è nulla di irrazionale nel voler esaminare la religione che cresce più rapidamente e demograficamente e le sue relazioni con le idee occidentali di libertà e pluralismo. Il mio libro non è sull'islam, ma su di noi. Per me ciò che più conta è l'osservazione di Arnold Toynbee: ‘Le civiltà non muoiono per omicidio, ma per suicidio'. Manifestazione di questo suicidio è la volontà dei nostri ministri, giudici, assistenti sociali e pubblici ufficiali di fare causa comune con una ideologia esplicitamente tesa a rovesciare l'utopia liberal per la quale loro stessi dicono di lavorare”.
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