Delitto di coscienza

Giuliano Ferrara

Chi abbia assistito al rito eucaristico domenicale in una chiesa luterana d'America sa quanto profonda appaia nel viso dei fedeli l'impronta della coscienza personale, di quel dialogo o contatto diretto con il Dio moderno che autorizza ogni atto frutto di profonda convinzione, di chiamata, di vocazione dell'individuo solitario.

    Chi abbia assistito al rito eucaristico domenicale in una chiesa luterana d'America sa quanto profonda appaia nel viso dei fedeli l'impronta della coscienza personale, di quel dialogo o contatto diretto con il Dio moderno che autorizza ogni atto frutto di profonda convinzione, di chiamata, di vocazione dell'individuo solitario.

    Il medico abortista dottor George Tiller, domenica scorsa, faceva da usciere alla funzione di una chiesa luterana di Wichita, nel Kansas, e distribuiva materiale della congregazione e il programma liturgico all'ingresso, come riferiamo più ampiamente in prima pagina, quando un uomo di quasi vent'anni più giovane di lui, l'antiabortista Scott Roeder, lo ha freddato con un colpo di pistola. Delitto di coscienza? No, delitto e basta. Azione criminale ideologicamente motivata.

    Non si uccide un uomo per ragioni morali personali. Non ci si improvvisa boia di un medico convinto delle proprie ragioni, ostinato perfino, come era il dottor Tiller, che affrontava il serio rischio di essere ammazzato ormai dal 1986, quando la clinica in cui operava gli aborti fu colpita da un attentato alla bomba, o dal 1993, quando una donna antiabortista lo colpì a entrambe le braccia per impedirgli di fare (il dottor Tiller era tra i rari medici americani che lo fanno) aborti nel terzo trimestre, e aborti a nascita parziale, una metodologia che non solo realizza il delitto perfetto di infanticidio, come avviene per ogni aborto, ma lo realizza con modalità cliniche e simboliche feroci, crudeli, disumane.

    Tuttavia, secondo i parametri e gli stilemi morali della cultura abortista, questo delitto dovrebbe essere ascritto alla coscienza solitaria di chi lo ha compiuto pensando di fermare una strage e alla sua insopprimibile vocazione ad esprimersi nella libertà; dovrebbe essere perdonato seduta stante, se non lodato, osannato come espressione della libertà e autonomia di una coscienza volta al bene. Infatti è con queste indulgenti e vischiose ragioni che oggi l'aborto viene giustificato, serialmente praticato, considerato un atto di autonomia della persona senza conseguenze troppo serie sulla vittima dell'atto.

    E' con l'appello alla coscienza, trascurando e per così dire nascondendo la parola “delitto” o “peccato”, che si convive moralmente con il fatto indifferente dell'abolizione chirurgica di milioni di esseri umani, soprattutto donne (in Asia). Un antiabortista serio non si appella alla coscienza per giustificare un assassinio. Dovrebbero precludersi questa via facile e spregevole anche gli abortisti, questi idealisti.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.