How do you spell casta?

Il partito dei goderecci

William Ward

Nel descrivere i tumulti politici altrui è normale che i media di ogni paese utilizzino i termini di riferimento della propria tradizione per meglio spiegare al “loro” pubblico quello che succede da quelle parti là. Ma oltre all'efficacia immediata del richiamo ai fatti di “casa nostra”, il paragone è destinato a fallire, perché non spiega bene quello che sta succedendo nel Regno Unito in questi giorni.

Leggi I due gemelli del Telegraph con l'hobby di affondare costituzioni

    Nel descrivere i tumulti politici altrui è normale che i media di ogni paese utilizzino i termini di riferimento della propria tradizione per meglio spiegare al “loro” pubblico quello che succede da quelle parti là. Ma oltre all'efficacia immediata del richiamo ai fatti di “casa nostra”, il paragone è destinato a fallire, perché non spiega bene quello che sta succedendo nel Regno Unito in questi giorni. Non aiuta molto il riferimento alla “casta” o a Mani pulite o al lancio delle monetine a Bettino Craxi al Hotel Raphael, né tantomeno alla ghiogliottina francese (ci ha provato un vignettista del Guardian, senza grandi risultati). Per capire lo scandalo delle note spese truccate occorre dimestichezza con la storia politica inglese.

    Basta passare davanti al Parlamento di Westminster e osservare le statue più vicine: Riccardo I, detto Cuor di Leone (il coraggioso re delle crociate, che rischia tutto per portare la civiltà cristiana in luoghi oscuri), ma sopratutto Oliver Cromwell, il dittatore puritano, che chiuse i teatri londinesi e fece decapitare il re stuardo Carlo I, pur di restaurare un senso di giustizia etica della cosa pubblica. Ispirarsi a Cromwell, in Inghilterra, è impegnativo: nessuno lo ricorda come un personaggio simpatico, al limite necessario in un certo periodo storico. Le sue riforme radicali, che impose con severità e senza sconti agli inglesi nel 1649 durante gli undici anni del Commonwealth (la prima vera Repubblica post monarchica in Europa, altro che la Rivoluzione francese 150 anni piu tardi), furono solo in parte depennate in seguito alla  Restaurazione (della monarchia stuarda con Carlo II) nel 1660. Con un compromesso pragmatico tipicamente britannico, molte delle sue innovazioni e riforme rimasero, nonostante il ritorno ai fasti e ai divertimenti dell'ordine monarchico e gerarchico (non a caso Carlo II fu definito “the merry monarch”, il re allegrotto), soprattutto quell'impulso di togliere al “potere” la sua unicità, il suo assolutismo. Come nella Cina maoista nella fase del “che cento fiori fioriscano”, le tante sette evangeliche moltiplicatesi durante la dittatura puritana rimangono, e si contestano a parole e a volte anche a pugni. Se gli elementi più geniali della rivoluzione cromwelliana sono stati assimilati dalla cultura nazionale, la figura emblematica da lui interpretata, ossia il Puritano (detto “roundhead  dalla forma degli elmetti del suo “New Model Army”, l'esercito parlamentare che sconfisse quello del re), rimane da sempre in opposizione a quella del “cavalier”, ossia la figura non soltanto aristocratica, ma edonista, allegra e genericamente poco disciplinata, dei sostenitori del regime monarchico.

    Questa contrapposizione è sempre attuale nella geografia mentale britannica, quanto quella dei guelfi e ghibellini per gli italiani. Se “puritan” o “roundhead” ha un'accezione più o meno universale, in inglese “cavalier” come aggettivo tutt'ora suggerisce una persona o un'iniziativa approssimativa, da buontempone, persino irrazionale. Fra i ragazzi della generazione britannica post bellica, i “roundhead” erano circoncisi (una moda salutista importata dagli Stati Uniti), quelli con il pene intonso erano “cavaliers”. Questa dicotomia si può applicare alla politica dei secoli successivi al Commonwealth cromwelliano, in genere con i puritani nei panni dei riformatori: nell'Ottocento e inizio Novecento, la parte piu progressista della politica britannica si rifaceva alla tradizione evangelica delle chiese non conformi  con la chiesa d'Inghilterra (abbastanza lassista e poco puritana). Il Partito laburista nasce più dal metodismo del grande predicatore settecentesco John Wesley che dal marxismo.
    Se è vero che l'Ottocento vittoriano britannico dall'establishment monarchico alle sue frange sociali era genericamente “puritano” (almeno per quanto riguarda l'etica sessuale), è anche vero che la destra dei tory era parecchio più edonista del partito progressista Whig o Liberal: dei due grandi leader politici dell'era vittoriana, il conservatore Benjamin Disraeli era allegramente “cavalier”; il suo grande antagonista liberal, William Gladstone, un tremendo bacchettone puritano. Non a caso, durante i giorni più bui della Seconda guerra mondiale, la deputata laburista di Liverpool, la signora Bessie Braddock, attaccò il conservatore Winston Churchill, ciucco, nei corridoi parlamentari. Assai puritana fu la battuta della Braddock: “Mr Churchill, lei è ubriaco”. Assai “cavalier” la risposta del premier patrizio: “Lo so, Mrs Braddock. E lei è assai brutta. Ma domani io sarò sobrio”.

    Nel secondo dopoguerra, fino al 1979, la sinistra britannica rimane cromwelliana: poco edonismo, poco humour, molto livellamento sociale, dalla fondazione dello stato sociale alla soppressione delle “pirate radios” (le leggendarie reti radiofoniche “underground” sulle navi appena fuori le acque territoriali, il crogiuolo del rock inglese antisistema) da parte del laburista Harold Wilson nel 1967. I tory si dedicavano più ai piaceri della carne (lo scandalo John Profumo - Christine Keeler) che alla politica. L'equilibrio “storico” cambia nel 1979, quando il partito conservatore, esausto e dissanguato dal proprio lassismo, elegge un  leader decisamente cromwelliano: la dama di ferro. A sinistra cambierà dopo un bel po', quando nel 1994 arriva un leader decisamente “cavalier”, il sorridente piacione Tony Blair, i cui riflessi culturali sembrano troppo frivoli per molti della vecchia guardia, compreso il suo amico-rivale per la leadership, l'arcipuritano Gordon Brown (detto calvinista, ma soltanto perché ha l'accento scozzese).

    Dopo la parentesi blairiana, con l'elezione del tetro e serioso Gordon Brown (il cui manifesto da leader prometteva “la fine della cultura delle superficie e dello spettacolo al posto della politica seria”), la sinistra britannica è tornata alla vecchia ispirazione cromwelliana. I tory, invece, per disintossicarsi dalla lunga parabola piccoloborghese thatcheriana, sono tornati all'ovile storico, con il soave, edonista, altissimo borghese David Cameron, ancora più “cavalier” nei modi del suo “idolo” Tony Blair.
    Quello che sta succedendo in Inghilterra (e non tanto in Scozia né in Galles: un aspetto storico non senza significato politico) in queste settimane, l'ondata di indignazione popolare contro “la corruzione parlamentare”, in seguito alla pubblicazione a puntate (e siamo alla ventiduesima) sul Daily Telegraph dei segreti tenuti nascosti per anni sul sistema decisamente allegro, delle spese per ognuno dei 642 deputati (dei 700 pari della Camera dei Lord), che ha creato uno straordinario clima nazionale vicino all'isterismo, non sta giovando alla parte politica che normalmente si identifica meglio con l'idea del rigore etico, cioè la sinistra. Anzi, sarà proprio il Partito laburista del cromwelliano Brown a essere punito dall'elettorato, sia alle europee e parziali amministrative del 4 giugno  (alcune previsioni lo piazzano al quarto posto, dopo l'Ukip, il partitino di protesta antiBruxelles) sia alle prossime politiche (da tenersi entro i primi di maggio dell'anno prossimo), quando si prevede una catastrofe simile a quella dei tory nel 1997.

    Prima dello scandalo delle spese allegre, i laburisti sembravano già destinati a perdere, sia per l'incompetenza specifica di Brown (vuoi per l'amministrazione ordinaria, vuoi per la non convincente gestione della grande crisi economica) sia per una fisiologica stanchezza dell'elettorato rispetto a un governo logorato da dodici anni al potere. Ma ora si è formata nella percezione pubblica nazionale l'impressione di un'etica politica che si è fatta corrompere dal potere e dalla presunzione di avere il diritto di governare indisturbato, “il naturale partito di governo” per citare la famosa frase del premier laburista degli anni Sessanta, Harold Wilson.

    Per un secolo, buona parte della reputazione della sinistra britannica si era fondata sull convinzione – non circoscritta soltanto al proprio bacino elettorale, ma anche in quello che non l'avrebbe mai votata – di un livello superiore di integrità personale: più il rigoroso Oliver Cromwell, più l'astemia Bessie Braddock, e meno Carlo II con le sue cortigiane a teatro, meno Winston Churchill con la bottiglia di brandy in mano. Se è vero che tradizionalmente gli scandali dei conservatori erano a sfondo sessuale e quelli laburisti a sfondo monetario, era anche accettato il fatto che i malfattori laburisti fossero eccezioni a una regola: il laburismo, basato sulla sobrietà (e anche dell'essere astemi) del metodismo storico, era una cosa onesta e seria.

    Benché sia un giornale di destra, il Daily Telegraph è stato molto equilibrato nel dosare le brutte notizie delle allegre spese dei parlamentari: un  giorno i laburisti sbattuti in prima pagina, un giorno i tory. Ma l'impatto di alcune spese, decisamente “cavalier”, di alcuni della vecchia guardia conservatrice è stato inferiore presso il Great British Public, di quanto non sia stato quello relativo ad alcuni loro rivali seduti sugli scranni governativi: la gente sapeva che i tory amavano un certo lusso; ma dai laburisti, specialmente dalla vecchia generazione pre (e spesso anti) Blair/New Labour, non si sarebbe mai aspettato un inganno così strutturale al contribuente pur di garantire agi e privilegi.

    La prima, e finora più spettacolare, vittima di questa seconda rivoluzione cromwelliana è proprio una di quelle figure laburiste che di primo acchito sembra l'essenza della “superiore” etica socialista: l'ex metalmeccanico Michael Martin, ruvido e onesto scozzese di Glasgow, salito allo scranno storico di speaker della Camera dei Comuni. La pubblicazione di alcuni degli atti giuridici riguardanti il caso (che erano rimasti riservati) ha rivelato che il pugnace proletario Martin aveva usato tutte le sue forze per bloccare la pubblicazione delle spese dei suoi colleghi parlamentari; e che quando è stato messo in discussione alla Camera da alcuni deputati (laburisti, tory e libdem) li ha insultati – un oltraggio in un Parlamento dove lo speaker rappresenta la migliore tradizione del fairplay e della neutralità. Come al solito è stato il Sun il tabloid che ha saputo trovare le parole giuste per commentare lo scandaloso comportamento di Martin: “In the Name of God… Go!”. Una bella citazione: furono le esatte parole di Oliver Cromwell, agli ultimi (e corrottissimi) deputati del Parlamento fedele al Re stuardo, nel 1649, prima di abolire la Camera dei Lord. Citate contro uno speaker di una certa, tradizionale sinistra proletaria, suonavano come una bomba. Il giorno successivo, dopo un breve colloquio con il premier, Martin si è dimesso – la prima volta in oltre tre secoli che succede un fatto del genere.

    Il Partito laburista sarà doppiamente punito dagli eventi attuali non soltanto per il crollo della sua reputazione morale quanto per l'estrema lentezza del suo leader nel rispondere agli eventi con il tono giusto e con iniziative interessanti. Ogni volta che Brown apre bocca sulla necessità di attuare riforme sembra un burocrate: propone commissioni che agiranno fra sei o nove mesi, quando il pubblico richiede un'azione ora. Al contrario, lo scandalo è stato enormemente utile per David Cameron, emerso nei sondaggi come il più convincente dei leader dei tre maggiori partiti. Dal momento che la maggiore parte dei deputati conservatori implicati nello scandalo è quella della vecchia guardia – aristocratica, ricca, all'antica, “out of touch” – è gioco facile per Cameron chiedere ad alta voce le dimissioni (alle prossime politiche) di tutti loro. Finalmente avrà il partito “liberal e moderno e socialmente rappresentativo” (con piu candidati donne, minoranze etniche, eccetera) sognato da tempo, e non importa se lui è aristocratico e ha fatto spese discutibili: ha dimostrato un tempismo, un tono di voce, e uno spirito d'iniziativa davvero ammirabili.

    Martedì, il Guardian ha dedicato al leader conservatore la prima pagina, ineggiando alle radicali riforme che ora promette: il furbo Cameron aveva offerto al radical-chic Guardian il testo integrale di un suo discorso sulle riforme (meno deputati? legislature di quattro anni fissi? più trasparenza? why not?), non a una testata di centrodestra come il Times. E non a caso Cameron ha dato ragione a Polly Toynbee, decana degli opinionisti della sinistra; e non a caso Jackie Ashley, corrispondente politico principale del Guardian (nonché figlia di uno storico leader laburista), ha scritto sul quotidiano piu amato della sinistra che ora Cameron è molto più adatto di Brown a portare avanti le giuste riforme. Resi impazienti dai tempi lenti del loro leader, vari esponenti laburisti “della prossima generazione” hanno cercato di farsi sentire: il simpatico Alan Johnson (il più accreditato come successore di Brown in caso delle sue – per il momento improbabili – dimissioni) propone il sistema proporzionale, il (post blairista) David Miliband vuole ridurre il numero dei deputati, il suo fratellino (e brownista) Ed Miliband vuole una Costituzione scritta. Per non farsi escludere dal dibattito, il leader dei Lib-Dems (che da sempre pretendono la proporzionale, per contare di piu), Nick Clegg, propone ora l'abolizione tout court della camera dei Lord. Ma, salvo rivelazioni dannose ancora da pubblicare (sempre sul Telegraph che, si dice, avrebbe pagato a un “insider” una cifra vicina a un milione di sterline per avere il cd con tutte le spese parlamentari scottanti), il “cavalier” Cameron è già emerso vittorioso dalla seconda rivoluzione cromwelliana: il “puritano” Brown e il suo amatissimo Partito laburista rimarranno i grandi sconfitti.

    L'unico dato ancora incerto è la posizione del (cromwelliano) Rupert Murdoch rispetto a tutta la faccenda. Il suo Sun rimane tiepidamente fedele a Brown e non si sbilancia troppo verso Cameron, colpevole non soltanto di essere “quel rampollo snob” per troppo poco tempo fedele alla memoria della maggiore figura cromwelliana dei nostri tempi, Margaret Thatcher. La quale non avrebbe mai rubato un penny sulle spese, e che finora ha mantenuto un silenzio quasi glaciale sull'intera questione dello scandalo. (nelle foto: La modella Amy Diamond ha protestato di fronte al Parlamento inglese a sostegno della campagna per una maggiore trasparenza sui rimborsi spese dei parlamentari europei - foto Reuters / Lo speaker della Camera dei comuni, Michael Martin)

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