La festa di Repubblica

Giuseppe Sottile

Ma sì, chissenefrega se la corazzata ha messo più di una volta il piedino in una pozzanghera, chissenefrega se qualche scoop, a cominciare da quelli firmati dagli imbattibili D'Avanzo e Bolzoni, è venuto storto. E chissenefrega se in tutti gli altri giornali si sussurra e si insinua che il giornale di Largo Fochetti è ormai un partito politico, costruito ogni giorno non da redattori ma da militanti, non da cronisti ma da combattenti. Ciò che oggi conta, per Repubblica, è la conquista di una leadership editoriale.

    Ma sì, chissenefrega se la corazzata ha messo più di una volta il piedino in una pozzanghera, chissenefrega se qualche scoop, a cominciare da quelli firmati dagli imbattibili D'Avanzo e Bolzoni, è venuto storto. E chissenefrega se in tutti gli altri giornali si sussurra e si insinua che il giornale di Largo Fochetti è ormai un partito politico, costruito ogni giorno non da redattori ma da militanti, non da cronisti ma da combattenti, non da segugi della notizia ma da agenti al servizio di Sua Maestà il Bene in lotta sempiterna, va da sé, con le nefandezze di un Male che tutto inquina e tutto contamina, a cominciare dalle verginelle in fiore? Ciò che oggi conta, per Repubblica, è la conquista di una leadership editoriale e, dunque, l'affermazione di un primato che, oltre a portare soldi nelle casse del santo editore, possa anche rappresentare un motivo di orgoglio e di fidelizzazione per i tanti lettori e i tanti elettori che, travolti dal crudelissimo destino della sinistra, non avrebbero altro chiodo al quale aggrapparsi.

    Bisogna onestamente riconoscere che la squadra – una squadra mobile che sa bene organizzare i propri blitz e sa anche scovare e sfruttare i confidenti – ha già raggiunto risultati ragguardevoli. Intanto ha aumentato copie e introiti pubblicitari; e il denaro, si sa, non è mai nemico del Bene. Poi è riuscita comunque a “mascariare” Berlusconi non tanto sul fronte interno, dove chiunque rimanda alla prova elettorale di domenica, quanto sul piano internazionale: l'ultimo e pesantissimo editoriale del Times, per definizione sempre “autorevole”, è lì a dimostrare che nel prossimo G8 in programma a L'Aquila, non tutti i sorrisi e le occhiatine dei capi di stato saranno privi di sarcasmo o di ipocrisia. Ma il terzo e più importante obiettivo centrato da Ezio Mauro e dai suoi più stretti collaboratori sta nel fatto che la campagna di Casoria – chiamiamola così, tanto per non perdere mai di vista Noemi, né il fidanzato, né la mamma, né la zia di Noemi – ha segnato e continua ogni giorno a segnare una profonda distanza tra Repubblica e gli altri giornali.

    Prendete quelli della vecchia sinistra, da l'Unità al Manifesto: non fanno altro che rivestire di slogan e indignazione, di moralismo e giustizialismo travagliesco, le notizie che quotidianamente Repubblica piazza sulla giostra dei mass media. Oppure prendete i giornali, come dire, dell'establishment, dal Corriere della Sera alla Stampa al Sole 24 Ore: da un lato mostrano distacco e alterigia, con relativa puzzetta al naso, per tutta la robaccia gossippara e limacciosa che riempie le pagine di Repubblica; dall'altro lato però avvertono lo smarrimento professionale, prima ancora che editoriale, e cercano di correre ai ripari con rattoppi che a volte si rivelano peggiori del buco. Prendete l'intervista a Flavio Briatore, che si intesta il ruolo dell'amico e difensore del Cav. e intanto lancia i primi ammiccamenti su Veronica. O prendete l'intervista di domenica a Marcello Dell'Utri. Senatore, che succede a questi festoni? – chiede il giornalista, cercando di scavare, si fa per dire, tra i segreti di Villa Certosa. Il vecchio re di Publitalia risponde: “C'è la gelateria. Tu vai lì e ti servono tutto il gelato che vuoi. Gratis. Se ci si pensa è una trovata molto divertente”.

    Oppure rileggete l'intervista di ieri a Sandro Bondi, ministro della Cultura in pantaloncini e scarpette da ginnastica: “Alla villa ricordo famigliole”. Basta questo gioco a nascondino, questa strategia della rincorsa, questo borotalco sparso a cucchiaiate su ogni minestra per annacquare il peperoncino, l'arsenico e le piccanterie imbandite, sulla vasta tavola dell'informazione, da quegli scavezzacollo di Largo Fochetti? Ferruccio De Bortoli o Gianni Riotta o Mario Calabresi, neodirettori di tre importanti quotidiani costretti a fare ogni mattina i conti con Repubblica, lo sanno bene. Il giornale dell'ingegnere De Benedetti non solo procura alla concorrenza un affanno che ha riscontro immediato nelle edicole; ma sta anche mettendo a dura prova l'immagine di testate e giornalisti che, fino all'altro ieri, potevano attaccarsi sul petto qualsiasi medaglia: da quella dell'indipendenza a quella dell'obiettività dell'informazione, da quella della professionalità a quella dei fatti separati dall'opinione; e così via piripicchiando.

    L'articolo apparso ieri sulla prima pagina di Repubblica a firma di Giuseppe D'Avanzo – giornalista ormai famoso nel mondo e in altri siti, come amava scrivere di un suo amico compositore quella canaglia di Gaetano Donizzetti – è la marcatura definitiva di un confine: da questa parte ci siamo noi, belli bravi e coraggiosi; dall'altra parte ci siete tutti voi, un po' brocchi e un po' bolsi, un po' pavidi e un po' asserviti. Insomma, sulla rive gauche del fiume c'è Repubblica con il suo giornalismo d'inchiesta e con i suoi scoop, mentre sull'altra riva pascolano e ingrassano Rai, Mediaset e i giornali di corte, con le loro squadracce pronte al “pestaggio mediatico pur di oscurare le verità scomode” dell'imperatore. E' un'autoincoronazione quella di D'Avanzo. Legittimata dal fatto che i suoi dirimpettai, quelli degli altri giornali, per pigrizia o quieto vivere, hanno preferito rispondere agli scoop col calcio di  rimessa e mai con il contrattacco del fantasista o con il contropiede del  centrocampista. Certo, parlando di D'Avanzo e delle scorribande di Repubblica tra i vicoli e le pozzanghere di Casoria, chiunque tra le austere stanze di via Solferino è autorizzato a tirare dallo scaffale l'ammonimento di Karl Kraus, l'uomo che per quattordici anni si scrisse un giornale tutto da solo: “Il giornalista ha con la realtà lo stesso rapporto che la fattucchiera ha con la metafisica”. Ma ci sono fattucchiere che vivono felici e contente perché sanno come incantare le folle; e ci sono stregoni che guadagnano soldi a palate perché sanno sempre come e a chi vendere i propri sortilegi e i propri imbrogli.

    • Giuseppe Sottile
    • Giuseppe Sottile ha lavorato per 23 anni a Palermo. Prima a “L’Ora” di Vittorio Nisticò, per il quale ha condotto numerose inchieste sulle guerre di mafia, e poi al “Giornale di Sicilia”, del quale è stato capocronista e vicedirettore. Dopo undici anni vissuti intensamente a Milano, – è stato caporedattore del “Giorno” e di “Studio Aperto” – è approdato al “Foglio” di Giuliano Ferrara. E lì è rimasto per curare l’inserto culturale del sabato. Per Einaudi ha scritto anche un romanzo, “Nostra signora della Necessità”, pubblicato nel 2006, dove il racconto di Palermo e del suo respiro marcio diventa la rappresentazione teatrale di vite scellerate e morti ammazzati, di intrighi e tradimenti, di tragedie e sceneggiate. Un palcoscenico di evanescenze, sul quale si muovono indifferentemente boss di Cosa nostra e picciotti di malavita, nobili decaduti e borghesi lucidati a festa, cronisti di grandi fervori e teatranti di grandi illusioni. Tutti alle prese con i misteri e i piaceri di una città lussuriosa, senza certezze e senza misericordia.