Analisi di Sergio Soave

Non tutti i migranti sono cattivi, ma troppi cattivi sono migranti

Sergio Soave

Gli immigrati clandestini sono una realtà multiforme che dovrebbe essere indagata e compresa nei suoi caratteri concreti, invece che trasformata in una specie di categoria dello spirito, poi manipolata in modo da presentare uno specifico gruppo umano come un insieme indistinto di vittime tutte degne di aiuto o di delinquenti incalliti da combattere senza tregua.

    Gli immigrati clandestini sono una realtà multiforme che dovrebbe essere indagata e compresa nei suoi caratteri concreti, invece che trasformata in una specie di categoria dello spirito, poi manipolata in modo da presentare uno specifico gruppo umano come un insieme indistinto di vittime tutte degne di aiuto o di delinquenti incalliti da combattere senza tregua. Naturalmente si tratta di esseri umani, la cui dignità non deve essere offesa per nessuna ragione, ma ovviamente questo non significa che, come accade ai cittadini italiani che violano le leggi, i loro reati non debbano essere perseguiti. La maggior parte dell'immigrazione clandestina è gestita da reti di trafficanti che sono a tutti gli effetti assimilabili alla criminalità organizzata. I clandestini pagano questo racket per ottenere un passaggio sulle carrette del mare o per essere pigiati nei container o nei camion che violano le frontiere europee.

    Molti sono spinti dal bisogno, alcuni dall'esigenza di sfuggire a situazioni di discriminazione o di guerra, ma ci sono anche quelli che puntano a esercitare attività criminali più lucrose, dallo sfruttamento della prostituzione alla riduzione in schiavitù di minori costretti all'accattonaggio forzato. La spinta del bisogno e della miseria va tenuta in conto, anche se naturalmente non giustifica i crimini, come sostiene una sociologia permissiva che oramai è rifiutata da tutte le persone di buon senso. Accogliere, nella misura consentita dalla situazione economica e dalla capacità di fornire servizi indispensabili, lavoratori che intendono immigrare, sarebbe la soluzione più equilibrata, ma è proprio la pressione spropositata dell'immigrazione clandestina a stringere i canali di quella legale, secondo la logica che porta la moneta cattiva a scacciare quella buona. L'Italia, come tutti i paesi sviluppati, trae giovamento dall'immigrazione che riempie spazi di lavori, dall'assistenza agli anziani a quella ospedaliera, alla ristorazione, ai lavori agricoli stagionali e all'edilizia, che non vengono coperti a sufficienza in patria. Un po' più controverso è il caso dell'immigrazione impiegata nell'industria, che spesso rappresenta una sorta di dumping sociale, utilizzato per mantenere troppo bassi i livelli salariali, con l'effetto secondario ma preoccupante di alimentare anche una ostilità verso gli immigrati nei settori operai meno qualificati che ne subiscono la concorrenza.

    Ci sono poi i profughi veri e propri, la cui accoglienza rappresenta un impegno d'onore per le democrazie, ma anche un onere che va equamente suddiviso tra loro, e infine, c'è un'area di vera e propria delinquenza d'esportazione, che non può essere negata per malintese ragioni “umanitarie” e che peraltro è testimoniata dalla colossale percentuale di clandestini nella popolazione carceraria o tra i responsabili di violenze contro le donne e i minori consumate in luoghi pubblici. Una politica verso l'immigrazione deve partire dal riconoscimento dei diversi filoni che confluiscono in questo fenomeno, in modo da poter avviare un processo di selezione e affrontare in modo differenziato le varie situazioni. Come tutti i processi che hanno origini esterne e incontrollabili, anche l'immigrazione di massa postula l'obiettivo di governarle invece di subirle, il che richiede in primo luogo conoscenza e strumenti articolati di intervento. L'ideologia dei “clandestini brava gente”, speculare a quella dei “clandestini tutti delinquenti”, è quindi l'esatto contrario di quel che serve.