Oggi l'anniversario di Tienanmen
Pechino censura ma il mondo ricorda
Sono passati ormai vent'anni dal massacro di piazza Tienanmen, avvenuto nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989. Ma i metodi sono gli stessi: Pechino è trincerata dietro un assordante silenzio, censura siti, fa portare via dissidenti, proibisce se ne parli in pubblico.
Sono passati vent'anni dal massacro di piazza Tienanmen, avvenuto nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989. Pechino si è trincerata dietro un assordante (e assurdo) silenzio. Ha censurato alcuni siti Web fra cui Twitter, ha bloccato la posta elettronica di Hotmail, il nuovo motore di ricerca Microsoft Bing e il server fotografico Flickr. Il partito comunista, che si appresta a festeggiare il suo sessantesimo anniversario, ha rafforzato i controlli sugli (pseudo) dissidenti, al punto che parlare in pubblico di cosa avvenne quella notte è diventato un tabù, che se infranto è persino pericoloso. Uno dei più famosi contestatori, Qi Zhiyong, che nel 1989 perse la gamba sinistra e ancora oggi è sotto sorveglianza della polizia, ha inviato un sms all'agenzia France Press per far sapere che è stato costretto a salire su un'auto per essere portato via da Pechino.
Per fortuna la censura non è riuscita a fermare i ricordi di alcuni ex dissidenti trasferitisi ormai da diversi anni all'estero. Alcuni dei protagonisti di quelle proteste che volevano essere pacifiche sono tornati a parlare negli ultimi giorni. Fra questi il più agguerrito è senza dubbio Wang Dan, uno dei leader studenteschi dell'Università di Pechino e uno dei 21 ex studenti “most wanted” dal regime cinese. Dopo la repressione restò in carcere quattro anni, fino a quando riuscì a scappare negli Stati Uniti, da dove ha rilasciato numerose interviste – soprattutto in questi giorni – su cosa fu realmente Tienanmen. Dan non è certo l'unico. C'è un ex studente, Yang Jianli, scappato anche lui dall'altra parte dell'Oceano e precisamente a Boston, a cui è stato negato il visto d'ingresso a Hong Kong, sua città natale. Il motivo? Yang voleva recarsi a Pechino per commemorare l'anniversario insieme agli altri “colleghi” universitari e non. Il regime è stato più forte di lui.
Ciò che manca in Cina è una reale conoscenza su quello che è accaduto vent'anni fa (probabilmente un problema che riguarda anche molti altri fatti). Alle censure previste per la ricorrenza dell'anniversario, si sommano le numerose restrizioni a cui già sono soggetti i giovani cinesi, i quali non possono collegarsi né a Youtube né a Blogspot, né tantomeno utilizzare Wordpress. In un comunicato, l'organizzazione Reporters without Borders ha ricordato che “il black out sull'informazione è stato così efficace per vent'anni che la gran parte dei giovani cinesi sono del tutto ignari di quel avvenne quella notte”. Tutto cominciò dall'Università di Pechino, ma oggi la maggior parte dei suoi studenti ignora cosa successe nella notte fra il 3 e il 4 giugno e preferisce concentrarsi più sugli esami di fine corso che sulle rivendicazioni politiche.
Soltanto alcuni familiari delle vittime e dei dissidenti si sono fatti sentire. Per Zhang Xianling, settantaduenne cofondatrice dell'associazione Madri di Tienanmen, “il dolore rimane vivo nel luogo più profondo del mio cuore”. La censura del partito comunista non è riuscita comunque a oltrepassare i confini cinesi. Il mondo ricorda quella notte, e se Yang Jianli non è potuto entrare a Hong Kong, al suo posto ci sono decine di studenti universitari, che sulla centrale Times Square hanno cominciato uno sciopero della fame per “tenere viva la memoria” di chi nel 1989 “si è sacrificato” in nome della libertà e del pluralismo politico.
Il Foglio sportivo - in corpore sano