Vittoria percepita
Dopo avere ammesso nei giorni scorsi una leggera flessione nella sua personale popolarità, che sarebbe scesa dal 75 al 73 per cento, Silvio Berlusconi dichiara senza esitazioni che il Pdl è al 43 per cento. Dario Franceschini ironizza sulle cifre del premier e si guarda bene dal darne a sua volta, ma soprattutto rifiuta caparbiamente di fissare alcuna “asticella” al Partito democratico.
Dopo avere ammesso nei giorni scorsi una leggera flessione nella sua personale popolarità, che sarebbe scesa dal 75 al 73 per cento, Silvio Berlusconi dichiara senza esitazioni che il Pdl è al 43 per cento. Dario Franceschini ironizza sulle cifre del premier e si guarda bene dal darne a sua volta, ma soprattutto rifiuta caparbiamente di fissare alcuna “asticella” al Partito democratico. E' una differenza che spiega più di mille analisi l'atteggiamento dell'uno e dell'altro: la principale preoccupazione di Berlusconi è infatti il risultato del 6 giugno, e lì si ferma, per ora, l'orizzonte dei suoi interessi, calcoli e strategie; la principale preoccupazione di Franceschini è invece quello che accadrà dopo. E' comprensibile che sia così. A queste elezioni, infatti, l'obiettivo minimo del Pdl è stravincere, superare quota 40 per cento; l'obiettivo massimo del Pd è sopravvivere, non precipitare sotto quota 28.
Ma è soprattutto Berlusconi che punta a spazzare via, con un risultato schiacciante per il suo partito e con milioni di preferenze per sé, ogni ombra e ogni manovra contro il suo governo, dopo tanti giorni di doloroso logoramento. “Berlusconi è sempre molto ottimista e fa bene – osserva a questo proposito Maurizio Gasparri – ma non vorrei che all'indomani del voto qualche giornale avesse il coraggio di titolare sul Pdl che fallisce miseramente l'obiettivo del 60 per cento, prendendo solo il 59, e magari sul Pd che sfonda trionfalmente il muro del 20”. Ironie a parte, il capogruppo del Pdl prevede un risultato “tra il 37 e il 41 per cento” per il suo partito e “sotto il 30” per il Pd.
Un successo che proprio non vorrebbe guastarsi con aspettative eccessive. Ma oltre all'abituale ottimismo – che ovviamente è anche un'accorta strategia di mobilitazione del proprio elettorato – si capisce che nell'audacia del premier pesa un elemento psicologico: il desiderio di spezzare una volta per tutte un assedio, mediatico e politico, che gli è divenuto ormai intollerabile. Un desiderio su cui cerca di fare leva l'opposizione. “La campagna elettorale è cambiata nel corso di questo mese – dichiara Massimo D'Alema nel corso di un'intervista radiofonica – forse anche per merito, o demerito, del presidente del Consiglio. Il voto si è caricato di tanti significati e molti che erano incerti o delusi, sono tornati a essere attivi e motivati, tendono a reagire”.
Anche il presidente di ItalianiEuropei ostenta dunque un relativo ottimismo, contando proprio sull'“aiuto” che a suo giudizio sarebbe venuto dal premier. “Perché si capisce che se non si mette un argine alla sua debordante arroganza il paese starà peggio”, dice D'Alema. Ma dopo la “campagna di Casoria” e le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, che hanno oscurato – ma certo non cancellato dalla memoria del premier – persino le recenti tensioni con tanti pezzi della sua maggioranza e del suo stesso partito, il presidente del Consiglio ha ora una gran voglia di “debordare”, almeno nelle urne.
“A volte – dice Ignazio La Russa – capita che alcuni uomini della Lega nord, se una cosa l'ha fatta un ministro della Lega, dicano che è della Lega; se invece l'ha fatta un ministro di un altro partito, che è di tutti”. Ma sono piccole cose. Per il ministro della Difesa comunque non ci sono dubbi: “Questo è un governo unito e coeso… il migliore degli ultimi dieci anni”. Un governo che dal successo del 6 giugno si aspetta naturalmente di uscire rafforzato. Il presidente del Consiglio, però, non si accontenta di vincere, non vuole un “buon successo”, ma un plebiscito che metta definitivamente a tacere avversari interni ed esterni.
Franceschini, invece, punta semplicemente a smentire le profezie di sventura che pendono sul suo partito e sulla sua leadership, e sa che per farlo non ha bisogno di compiere alcun miracolo. Anche per questo ha evitato di complicarsi le cose candidandosi contro Berlusconi. Stavolta al segretario del Partito democratico basta contenere le perdite: anche un modesto 28 per cento, e cioè cinque punti in meno rispetto alle politiche dell'anno scorso, per Franceschini e per tutto il Pd sarebbe quasi un successo. E in ogni caso un risultato tale da autorizzare per il “segretario pro tempore” molte ragionevoli speranze di rielezione al congresso di ottobre, anche a fronte di un avversario certamente ben piazzato come Pier Luigi Bersani.
“La verità, per paradossale che possa sembrare, è che noi soffriamo anche la debolezza del Pd”, confida Gasparri. Senza avversari in vista, sostiene il capogruppo del Pdl, è difficile chiamare a raccolta e motivare i propri sostenitori, mobilitare tutte le forze. E anche tenerle unite. “In Sicilia, per esempio, sono convinto che sia successo proprio questo. Dopo che la sinistra, prima con Rita Borsellino e poi con Anna Finocchiaro, è scesa sotto la soglia della decenza, è chiaro che al nostro interno ognuno ha pensato di poter fare un po' quello che gli pareva”. Anche per questo, probabilmente, Berlusconi sente il bisogno di sollevare la famosa asticella, puntando direttamente a tutta la posta.
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