Le veline di Obama sono maggiorenni
Come riferisce Christian Rocca da Washington, l'elemento che spicca nel discorso tenuto da Barack Hussein Obama al Cairo è quello non detto. Leggerete nei quotidiani standard parole gonfie di gioiosa noncuranza come dialogo, religioni del libro, apertura all'islam, disponibilità, equanimità, svolta storica: le veline di Obama sono ben agguerrite, e tutte maggiorenni. Leggi il discorso di Obama in italiano
Come riferisce Christian Rocca da Washington, l'elemento che spicca nel discorso tenuto da Barack Hussein Obama al Cairo è quello non detto. Leggerete nei quotidiani standard parole gonfie di gioiosa noncuranza come dialogo, religioni del libro, apertura all'islam, disponibilità, equanimità, svolta storica: le veline di Obama sono ben agguerrite, e tutte maggiorenni. Invece un discorso abile, come sempre, si può capire anche per i suoi vuoti e riferimenti indiretti, senza cedere alla tentazione del coro di corte.
Nel giro del presidente americano, come si evince dalle parole generiche dedicate al nucleare e all'Iran, si diffonde la persuasione che è possibile accettare il nucleare iraniano ed esercitare poi una sufficiente deterrenza contro quel modello di rivoluzione islamica dotato di arma atomica. L'establishment del pensiero strategico realista, che con Bob Gates al Pentagono ha fatto da sutura tra la presidenza Obama e il secondo mandato di George W. Bush (e le sue scelte volatili criticate da Dick Cheney), avrebbe ormai prevalso sul paradigma che afferma l'intollerabilità della corsa al nucleare nel medio oriente allargato, sostenuto da parte consistente dell'establishment washingtoniano, dalla diaspora ebraica e da Israele. Di qui, non dallo specchietto per le allodole della polemica sugli insediamenti, la forte tensione strategica che oggi oppone il governo di Gerusalemme alla Casa Bianca, specie dopo il fallimento diplomaticamente dissimulato dell'incontro bilaterale del 18 maggio. Con le elezioni di domenica in Libano e il presumibile rafforzamento di Hezbollah, e con la successiva vittoria dell'asse Ahmadinejad-Khamenei a Teheran il 12 di giugno, il dolce containment della speranza subirà nuovi colpi.
Ma Obama, lo abbiamo visto, è altrettanto maestro di retoriche quanto capo di un'amministrazione che non può limitarsi allo scappellamento multiculturale di fronte all'islam. Va bene citare ripetutamente il Corano (lo faceva anche Bush). Va bene, anzi va malissimo, dare l'impressione di una rottura con le politiche precedenti su questioni simboliche delicate come Guantanamo e la tortura (parlare dell'America come paese della tortura al Cairo, dove le prigioni rigurgitano di torturati e nessun tribunale militare inchioda i torturatori alle loro responsabilità, è addirittura grottesco). Ma finché regge la decisione di tenere decine di migliaia di soldati in Iraq e di sostenere militarmente, in un modo ancora più pesante che nel passato, l'offensiva antitalebana in Afghanistan e in Pakistan, il successo di Obama e delle sue retoriche sarà anche il nostro successo. Quanto al nucleare iraniano, saranno i fatti a convincere il Grande Persuasore.
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