Tutti nel Pd/2

Chi dice sì al super Pd

Claudio Cerasa

Le domande sono queste: si può fare qualcosa di nuovo per il Partito democratico? Si può studiare una strategia che permetta al Pd di fare un passetto in avanti? Si può salvare quel disegno politico che proiettava il partito ieri di Veltroni e oggi di Franceschini come unico grande contenitore del centrosinistra italiano?

    Le domande sono queste: si può fare qualcosa di nuovo per il Partito democratico? Si può studiare una strategia che permetta al Pd di fare un passetto in avanti? Si può salvare quel disegno politico che proiettava il partito ieri di Veltroni e oggi di Franceschini come unico grande contenitore del centrosinistra italiano? Lo abbiamo chiesto alle principali anime che compongono il Partito democratico e tra un distinguo, una precisazione, una premessa e una puntualizzazione la risposta sembra essere sì.

    Certo – dice il senatore Enrico Morando – l'idea è quella giusta. Ricordo che quando alcuni vecchi compagni di Ds e Margherita decisero di non far parte del Pd io dissi che la loro era una scelta sbagliata, perché il Pd è e dovrà essere formato da tante anime che possano lavorare insieme per costruire un'unica grande forza democratica. E' giusto discutere oggi di alleanze ma non dobbiamo mai dimenticarci che il Pd nasce sul modello dei democratici americani. Naturalmente, il progetto deve essere realizzato rendendo compatibile il pluralismo interno e l'efficacia dell'azione del partito. Ma la strategia per far evolvere il Pd non può che essere quella: tutti dentro”.

    Anche una delle pedine forti del Pd, Giuseppe Fioroni, sostiene l'idea. L'ex ministro dell'Istruzione è un po' pessimista ma non è affatto contrario a dar vita a un progetto simile. “La vedo complicata – dice Fioroni al Foglio – non impossibile ma complicata”. Lo stesso vale per il politologo Gianfranco Pasquino, fresco candidato sindaco al comune di Bologna, convinto che “se quella gente lì non vuole tornare a vincere in tempi biblici non ci resta che creare un'unica realtà del centrosinistra”. Un'idea simile a quella del sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. “Il problema è che se dai vita a un partito così grande devi anche stare attento di trovare molti punti in comune che possano tenere insieme le anime diverse. Ma detto questo, l'idea di un unico partito che faccia coesistere tutte le forze diverse del centrosinistra è giusta e forse è anche quella vincente”.

    Chi è contrario a questa idea di un grande Pd allargato è Enrico Letta, possibile candidato a ottobre alla segreteria del partito. “L'idea – dice Letta al Foglio – non mi piace. Creare i presupposti per un bipartitismo significa far indossare al paese una camicia di forza che renderà Berlusconi eternamente invincibile”. Come Letta, anche Fausto Raciti – segretario dei giovani democratici – crede che “la creazione di un bipartitismo di fatto sia molto rischiosa”. “Non è un modello che fa per noi – spiega Raciti – ma nel caso in cui il prossimo referendum dovesse essere approvato credo che avrebbe senso auspicare che il Pd, con quel sistema lì, lavori per creare un partito unico”.

    Ma il fatto che nel Pd esista una forte componente di democratici convinti che i successi futuri dipendano anche dall'esportazione del modello obamiano di partito democratico viene dimostrato anche da parole come quelle del senatore Giorgio Tonini. “Il Pd – dice al Foglio – è un cantiere ancora al lavoro e l'unica discriminante per chi vuole entrare è quella di accettare di far parte di un progetto riformista”. “Per il resto – continua il senatore – tutte le forze del centrosinistra sarebbero più che benvenute nel Pd: dall'Italia dei valori a Rifondazione comunista. Se il concetto del ‘tutti dentro' è un modo per richiamare il progetto di partito democratico americano da democratico la mia risposta è una: non vedo l'ora”. “Potrei mai essere in disaccordo – dice Arturo Parisi – con l'obiettivo che perseguo da sempre? Potremo tuttavia riprendere il cammino solo se riconosceremo che questo si è interrotto, anzi, meglio, è stato interrotto dalla scelta di discontinuità col quindicennio passato, promossa e condivisa dal gruppo che ancora dirige il partito. Certo il referendum sarà decisivo. Ma quando il dentifricio è uscito dal tubetto, rimetterlo dentro non è una impresa facile. Solo la riapertura di una competizione in uno schema nitidamente maggioritario può spingerci e incoraggiarci a rimetterci insieme”.

    Anche il senatore Stefano Ceccanti la pensa allo stesso modo. “Noi siamo qui per includere, siamo pronti a includere nel nostro partito anche sinistra radicale, socialisti e persino dipietristi. Ci deve essere un grado di omogeneità ragionevole, ma la voglia di condividere un'esperienza del genere il Pd ce l'ha oggi e ce l'avrà domani”. Mentre Franceschini sceglie di rimandare il suo commento su questo tema, il più giovane dirigente del Pd – nonché stretto collaboratore del segretario – la mette così. “Discutere il giorno dopo le Europee, in cui si vota con il proporzionale che alimenta la frammentazione, di creare un grande partito-contenitore rischia di essere fanta-politica. Ma in America e in Inghilterra – dice Gian Luca Lioni – è così. Nel partito laburista di Blair si andava dai trotzkisti ai liberali. Con i dovuti distinguo, sarebbe bellissimo se un giorno in Italia si arrivasse a un qualcosa di simile”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.