Un partito di partiti
Per cinque anni la coalizione di centro sinistra (Ulivo 1996-2001) ha governato l'Italia. Ne seguirono crisi, instabilità, passaggi di mano della guida del governo, rancori, battaglia dei capi. Arrivò infine Berlusconi, vincitore dopo sette anni di un'opposizione che avrebbe stroncato un cavallo. Nel 2006 il Cav. perse per un'incollatura, anzi mezza. Per due anni la nuova coalizione di centro sinistra (Unione 2006-2008) ha governato l'Italia: stesso esito.
Per cinque anni la coalizione di centro sinistra (Ulivo 1996-2001) ha governato l'Italia. Ne seguirono crisi, instabilità, passaggi di mano della guida del governo, rancori, battaglia dei capi. Arrivò infine Berlusconi, vincitore dopo sette anni di un'opposizione che avrebbe stroncato un cavallo. Nel 2006 il Cav. perse per un'incollatura, anzi mezza. Per due anni la nuova coalizione di centro sinistra (Unione 2006-2008) ha governato l'Italia: stesso esito, ma stavolta, nonostante la nascita del Partito democratico e la definizione della sua vocazione maggioritaria, con un plebiscito per centrodestra e Lega, più il parto di un imponente rassemblement chiamato Pdl. Per impedire questo gran finale, e dare uno sbocco alla crisi delle vecchie nomenclature post-Pci e post-Dc, era nato appunto il Pd.
Ma non ce l'ha fatta. Non perché abbia preso il 34 per cento alle politiche 2008, percentuale rispettabilissima e nella media europea delle opposizioni “felici”, espressione di un voto utile che ha premiato il Pd di Veltroni; bensì per non aver saputo investire quel voto minoritario ma massiccio in una politica espansiva, con il risultato dell'afonia, della cacofonia e alla fine della crisi di leadership e del riflusso, fino alla delusione cocente delle europee e delle amministrative.
Che fare? Il sistema ha bisogno di competizione. Abbiamo lanciato la proposta: tutti nel Pd. Un partito di partiti, il soggetto unico in cui ci si batte per idee e interessi parziali attraverso le primarie, si seleziona una classe dirigente di parlamentari e di amministratori esercitando ciascuno la propria influenza sociale e politica, e si delega loro ad ogni livello la vita del partito, che esprime una leadership parlamentare, come i laburisti, e di governo quando vince le elezioni. Se la maggioranza è social-liberale, sarà l'ora di Tony Blair. Se è social-sindacale, sarà l'ora di Neil Kinnock. Il progetto è americano o, come si dice, di cultura anglosassone, e sgorga come idea dalla fonte battesimale del Pd come ce l'hanno spiegata loro. Una cosa nuova, in cui è assicurato a tutti il diritto di tribuna e lo strumento (le primarie) di una lotta politica non mortificante (nelle primarie non ci sono i quorum che ti sbattono fuori da tutto). Il senso è: fine della concorrenza interna alla coalizione di centro sinistra, inizio di una competizione bipartitica ed efficace con il Pdl. Personalità varie, da Bertinotti a un nucleo di autorevoli professori liberali e di sinistra, fino a vari leader di centro sinistra e democratici, dicono ciascuno a modo proprio che la faccenda così impostata forse può funzionare.
Altri (D'Alema, Bersani?) pensano che bisogna restaurare il potere e il prestigio dei partiti, creare una socialdemocrazia moderatamente innovata dalle peculiarità della storia italiana, praticare buoni programmi e buone alleanze al centro e a sinistra, e augurarsi che con il superamento eventuale del berlusconismo si torni in futuro al professionismo politico e alle sue proprie logiche competitive. Una strada probabilmente assai lunga, che non produce nulla di fantasioso, ma più rassicurante per il mestieraccio di tutti e di ciascuno. L'alternativa sembra dunque questa: la restaurazione dei partiti o un partito di partiti.
Questa è più o meno l'alternativa, a quanto pare.
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