L'opera struggente di una formidabile Cenerentola/5

Oggi è lei l'unica che sa come far tintinnare gli orecchini di brillanti

Stefano Pistolini

C'è un cinema, una letteratura, c'è quell'inglese annodato che parla il Regno Unito della gente qualsiasi, c'è Mary Poppins, c'è Eleanor Rigby, c'è Dickens e Thackeray, c'è l'exurbia delle provincie, che fa accapponare la pelle.

    C'è un cinema, una letteratura, c'è quell'inglese annodato che parla il Regno Unito della gente qualsiasi, c'è Mary Poppins, c'è Eleanor Rigby, c'è Dickens e Thackeray, c'è l'exurbia delle provincie, che fa accapponare la pelle. C'è soprattutto la tv, nell'Inghilterra del Ventunesimo secolo, e i diktat dei suoi format, e c'è Simon Cowell, che di tutto questo è il faraone. C'è “Britain's Got Talent” show a metà tra “La Corrida” e “X Factor”, un gioco al massacro che predilige gli improvvidi mostri che, inframmezzati a qualche malinconico talento, fanno sganasciare il pubblico a casa e vengono rievocati la mattina dopo per sghignazzarne.

    E c'è Susan Boyle. Che a prima vista sembra una finzione. Uno scherzo di cattivo gusto della produzione. Un mostro in provetta. Susan è una megera con in testa un nido di rondini, addosso trenta chili di troppo e una tenda del salotto, la faccia del macellaio di “Grandi Speranze”. Pretende di cantare, e tutti si fregano le mani: ci facciamo quattro risate. E invece lei è l'usignolo sceso dall'uggioso cielo britannico, traversando il tempo, perché viene dai film sui rigori del Dopoguerra o dall'infanzia dei Beatles e delle loro bislacche zie, e ha traversato lo spazio, perché sotto i lustrini dello studio londinese è arrivata da Blackburn, una di quelle città che non pensa al riscatto, perché è nata nella durezza e non conosce altro. Susan canta come una dea, e ci vogliono pochi secondi perché la nazione televisiva, volubile, sonnecchiosa e improvvisamente elettrica com'è, non balzi in piedi gridando al miracolo. Susan canta la canzone che meglio la descrive, “I Dreamed A Dream” dal musical “I Miserabili”, una roba che si odia o si ama (noi la amiamo pazzamente).

    Susan sogna il suo sogno davanti a tutti, mentre il popolo impara: si può ancora essere sfortunati come lei eppur dotati, non aver mai avuto un uomo eppur ritrovarsi sulle prime pagine, vivere la solitudine in compagnia del gatto Pebbles, che sarebbe piaciuto ad Agatha Christie, eppure vedere il sole deflagrare nella sua casetta. Il sogno inglese decolla sulle spalle massicce di Susan, che diviene eroina di YouTube (200 milioni di click), concede il bis dell'ormai già venerata ugola con una “Cry Me A River” da brividi, si trasforma in Miss Opportunity, il santino da stringere sperando nella fortuna. I media la cavalcano, la vivisezionano. Susan, candidamente, lascia collassare il suo corpaccione, attestando la veridicità del personaggio e finisce in ospedale.

    La Britannia la vuole risarcire, vuole credere nella melassa, insomma vorrebbe avere la sua chance. Già, però Susan una cosa la fa magnificamente: cantare. Ha sfruttato le sue doti, ha saltato l'ostacolo dell'essere inguardabile nell'era della figaggine, immaginandosi come Elaine Page. Anche in Italia è andato in scena qualcosa di risonante e anche qui il pubblico ha risposto. Arisa, no? Certo, è una top model accanto a Susan e ai suoi gorgheggi. Che sono piaciuti talmente a Michelle Obama che il 4 luglio l'hanno invitata alla Casa Bianca. Sgancerà una versione di “Amazing Grace” da lacrime. Anzi, come diceva Lennon, capace di far “tintinnare gli orecchini di brillanti” dei ricconi convenuti.