Adesso si ricontano i voti

La meccanica rivoluzionaria in Iran

Carlo Panella

La più grande manifestazione dal 1979, forte di centinaia di migliaia di persone per le strade di Teheran, ha segnato ieri una svolta radicale sulla scena iraniana. La straordinaria mobilitazione popolare ha ridicolizzato la decisione del regime di proibire il corteo, durante il quale vi sono state varie sparatorie che avevano fatto nella prima serata un morto (durante l'assalto a una caserma dei bassiji). Leggi Quel che resta della rivoluzione - Guarda il video dei disordini nelle strade di Teheran - Guarda gli altri video

    La più grande manifestazione dal 1979, forte di centinaia di migliaia di persone per le strade di Teheran, ha segnato ieri una svolta radicale sulla scena iraniana. La straordinaria mobilitazione popolare ha ridicolizzato la decisione del regime di proibire il corteo, durante il quale vi sono state varie sparatorie che avevano fatto nella prima serata un morto (durante l'assalto a una caserma dei bassiji). Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha condannato con durezza le violenze contro i manifestanti. “Deve essere fatta piena luce sui risultati”.

    Per la prima volta da 30 anni il regime degli ayatollah si trova a fronteggiare non una radicale spaccatura del gruppo dirigente del regime (come è stato con la prima elezione di Ahamadinejad nel 2005), ma il trauma di una fronda di alcuni tra i suoi massimi dirigenti, sotto la leadership del trasformista ed ex oltranzista Rafsanjani, forte di una mobilitazione popolare imponente, anche se per ora limitata alla capitale. Non giungono infatti notizie di quella mobilitazione capillare estesa a tutte le città iraniane che aveva caratterizzato la sollevazione del 1979. Alla testa del corteo si sono sentiti ripetuti slogan “Morte al dittatore”, “Gli iraniani preferiscono la morte all'umiliazione”, mentre la coda del corteo (che occupava ancora la piazza Hossein mentre la testa era già arrivata a piazza Azadi, chilometri più a ovest) sfilava in un irreale silenzio. Mir Hussein Moussavi ha tenuto un comizio in cui ha chiesto non il solo riconteggio dei voti, ma anche immediate nuove elezioni presidenziali non truccate a cui si è di nuovo candidato.

    La prima reazione alla sfida della Guida della Rivoluzione – aperto sponsor di Ahmadinejad – è stata rigida e ambigua: l'ayatollah Khamenei ha infatti disposto un'indagine sui brogli da lui denunciati e ha intimato ai manifestanti di “rispettare la legalità islamica”; ma oltre a qualche aggiustamento parziale, sul terreno della verifica dei voti non sono prevedibili novità clamorose. Khamenei ha infatti affidato l'indagine al Consiglio dei Guardiani, la cui metà dei membri è nominata da Khamenei stesso e l'altra rispetta gli equilibri tra le varie fazioni, quindi Ahmadinejad non ha da temere verdetti infausti. Questo perché, se è indubitabile e straordinaria la mobilitazione popolare di ieri, altrettanto certa è la consistenza, più che probabilmente maggioritaria, del grande blocco sociale che ha appoggiato il regime e ha dato il suo voto ad Ahmadinejad. Così come è certo che tutte le principali istituzioni rivoluzionarie capillarmente presenti nel paese – pasdaran, bassiji, moschee e tribunali islamici – si sono mobilitati e hanno fatto muro per definire quel 62 per cento di voti per Ahmadinejad, raccolto capillarmente sin nel più piccolo paese.

    Un 62 per cento che è frutto di brogli, che però non potrebbero essere stati sufficienti a modificare i rapporti di forza del consenso per i due blocchi, con un Ahmadinejad forse non in grado di riscuotere la maggioranza assoluta, ma capace di arrivare nelle urne a una maggioranza relativa reale, dal peso doppio di quella dei riformisti. Il nucleo politico – preoccupante – della situazione iraniana è dunque nella capacità di Ahmadinejad di trovare un consenso popolare maggioritario, al di là delle cifre, al suo programma basato su antisemitismo, bomba nucleare, revanscismo, repressione dei diritti umani, negazione dell'Olocausto e sulla prospettiva apocalittica della distruzione di Israele. Si deve dunque prendere atto che con spregiudicato uso di una consultazione elettorale, la dittatura degli ayatollah ha finora saputo comunque confermare la sua legittimità rivoluzionaria.

    La novità di ieri è che contro questa grande base popolare di appoggio del regime si è sollevata una straordinaria forza di mobilitazione di chi chiede il cambiamento e la fine del regime. Un muro contro muro che non attraversa più solo il gruppo dirigente, ma che coinvolge due blocchi sociali l'un contro l'altro schierato. Un quadro che eccita sicuramente la tentazione di una risposta dura di un apparato militare rivoluzionario forte di milioni di guardie rivoluzionarie – tra pasdaran e bassiji – fortemente motivate ideologicamente.

    L'opposizione che ieri ha mobilitato per la prima volta una sua straordinaria massa d'urto – sia pure in settori urbani minoritari – è però impacciata da un suo vizio capitale: si schiera dietro una leadership poco credibile. Il programma di riforme di un islam pluralista che oggi Moussavi e Rafsanjani dicono di difendere era esattamente quello di Banisadr, dell'ayatollah Shariat Madari, di Ghotbzadeh Sadegh, di Yazdi – che diressero la rivoluzione nel paese mentre Khomeini era in esilio e formarono il primo governo rivoluzionario – ma che furono fatti fuori anche fisicamente da Khomeini nel 1981, che nominò proprio Moussavi premier e Rafsanjani presidente del Parlamento, per dirigere le purghe e far funzionare le forche. Il blocco sociale dell'opposizione, dunque, non è riuscito sinora (anche a causa di una repressione feroce) a esprimere una leadership autonoma, una o più forti personalità trainanti, ed è sempre costretto a schierarsi dietro a leader poco attendibili, decisi dallo stesso regime (attraverso il Consiglio dei Guardiani, che decima le candidature). Infatti in questi giorni è emerso un altro elemento di grande novità. A pochi giorni dal voto, Ahmadinejad ha detto forte in televisione, quel che tutti in Iran sanno: “Rafsanjani e suo figlio sono dei ladri”. Accusa vera, Rafsanjani ha accumulato un enorme impero economico e a livello popolare è il volto stesso della corruzione del regime.

    Lo sponsor dei “riformisti”, dunque, si è visto per la prima volta messo apertamente sul banco degli imputati e Ali Khamenei, da lui sollecitato, si è rifiutato di sconfessare Ahmadinejad. Evidenti segnali di una esplicita volontà da parte del blocco oltranzista del regime di occupare tutte le posizioni di potere e di emarginare – e forse “purgare” – il blocco antagonista che fa capo a Rafsanjani. A meno che l'incendio che per ora è circoscritto al centro di Teheran non si moltiplichi in altri focolai e che la repressione dura non prepari un nuovo bagno di sangue, come nel 1999, contro la rivolta degli studenti (complice Khatami).

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