Yazdi, i contatti con Rafsanjani e l'arresto in una stanza d'ospedale a Teheran
“Un'altra rivoluzione in Iran è impossibile”, ha detto un anno fa Ebrahim Yazdi intervistato dal quotidiano Asharq al Awsat , convinto che la democrazia sia “un processo in divenire” e che “quello che serve all'Iran è un cambiamento graduale”. All'opposizione da vent'anni, Yazdi è abituato ad analizzare gli eventi da una distanza spassionata. Continuerà probabilmente a seguirli da una cella. L'ex collaboratore di Khomeini è l'ultima vittima illustre dell'ondata di arresti che sta colpendo in queste ore i nemici di Ahmadinejad.
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“Un'altra rivoluzione in Iran è impossibile”, ha detto un anno fa Ebrahim Yazdi intervistato dal quotidiano Asharq al Awsat , convinto che la democrazia sia “un processo in divenire” e che “quello che serve all'Iran è un cambiamento graduale”. All'opposizione da vent'anni, Yazdi è abituato ad analizzare gli eventi da una distanza spassionata. Continuerà probabilmente a seguirli da una cella. L'ex collaboratore di Khomeini, vice primo ministro per gli Affari rivoluzionari e ministro degli Esteri del governo Bazargan è l'ultima vittima illustre dell'ondata di arresti che sta colpendo in queste ore i nemici di Ahmadinejad.
“Lo hanno cercato a casa e non lo hanno trovato. Ci hanno chiesto dove fosse e abbiamo capito che le cose si sarebbero messe male”, racconta la nipote di Yazdi prelevato dalla sua stanza di ospedale “senza motivo” da un gruppo di bassiji. Ma in queste ore di passione per i potenti della Repubblica islamica, non servono motivi, bastano i sospetti. Capo del Nehzat-e-Azadi-e-Iran, un partito di ispirazione religioso-nazionalista, Yazdi da vent'anni è ai margini della vita pubblica iraniana. Critico nei confronti dell'ayatollah Ali Khamenei, Yazdi è stato accusato di essere filo americano, “liberale” e di essersi dedicato al traffico d'armi in mancanza di una vita politica di primo piano. Scettico sulla teoria del “velayat-e-faghih”, non ha mai rinnegato la Rivoluzione e il magistero di Khomeini che continua a definire “un leader illuminato e un vero democratico”.
Non ha mai pensato di dissociarsi dagli episodi più sanguinari della stagione post rivoluzionaria. Dice semplicemente “ci sono momenti e momenti”. Nonostante i contrasti con la leadership della Repubblica islamica, Yazdi non è mai stato annoverato come un sovversivo pure se questa non è la sua prima esperienza nelle celle iraniane. Nemico di qualsiasi ipotesi di “regime change”, Yazdi non pensa nemmeno che sia necessario cambiare la Costituzione. “La democrazia è come un bimbo nel grembo di sua madre, prima o poi uscirà”. Nell'attesa Yazdi si è riciclato come commentatore. Viene definito un “dissidente liberale” e offre compiaciuto opinioni pragmatiche sulla politica e l'economia.“Non esiste alcun concetto di amicizia o inimicizia nelle relazioni internazionali, perché questi rapporti sono in continuo divenire.
Quindi ogni stato deve identificare i suoi interessi nazionali in linea con i cambiamenti internazionali”, sostiene Yazdi che a proposito del discorso di Ahmadinejad a Ginevra sostiene “l'unica cosa importante è capire se abbia influenzato gli interessi iraniani positivamente o negativamente”. Parole che riecheggiano la diplomazia flessibile di Hashemi Rafsanjani. Freddo nei confronti dei riformisti e di Khatami, Yazdi negli ultimi anni ha rivalutato Rafsanjani. Voci non confermate attribuiscono il suo arresto a questa simpatia e a ipotetici contatti con Moussavi. Dipinto da Time trent'anni fa come il ponte tra l'élite occidentalizzata e il clero rivoluzionario, Yazdi mirava secondo alcuni a riprendersi il suo posto nella storia. Dovrà aspettare ancora. Per i pasdaran di Ahmadinejad desiderosi di creare fratture nel caleidoscopico fronte della piazza, il dubbio è stato un motivo sufficiente per toglierlo di mezzo.
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