L'Iran funesto
Nel nome di Neda
Non si sa più dove piangere Neda, la ragazza uccisa in via Amirabad. L'appuntamento per i “terroristi” – come il regime definisce i manifestanti – che hanno deciso di sfidare l'avvertimento del capo della polizia Moghaddam è ballerino per tutta la mattina. La famiglia vorrebbe celebrare il rito funebre nella Moschea di Nilufar, ma la richiesta viene bocciata dalle autorità.
Guarda il video Polvere e spazzatura, l'inno dei manifestanti a Teheran
Non si sa più dove piangere Neda, la ragazza uccisa in via Amirabad. L'appuntamento per i “terroristi” – come il regime definisce i manifestanti – che hanno deciso di sfidare l'avvertimento del capo della polizia Moghaddam è ballerino per tutta la mattina. La famiglia vorrebbe celebrare il rito funebre nella Moschea di Nilufar, ma la richiesta viene bocciata dalle autorità. Nel primo pomeriggio il tam tam conduce un migliaio di coraggiosi in piazza Haft-e-Tir. Ci sono candele accese e mani che si stringono.
Neda è più di un simbolo, ormai è una di famiglia e non importa che sabato fosse in quella maledetta via Amirabad per un caso o se avesse davvero scelto di rischiare insieme ai “terroristi”. Sui blog ci sono già decine di versioni e la testimonianza di una ragazza che dice di essere sua sorella. “Sono qui per dirvi che mia sorella era una persona per bene, che come me voleva sentire il vento tra i capelli, leggere Forough (Farrokhzad, la celebre poetessa), essere libera, tenera la testa alta e dire: Sono iraniana”. Queste frasi le hanno lette in molti e in piazza Haft-e-Tir c'è chi decide di ricordarla leggendo dei versi. Ma nelle piazze iraniane in questi giorni non c'è posto per la poesia. Forough viene interrotta dal fracasso degli elicotteri mentre partono idranti e lacrimogeni e nella confusione i proiettili volano in tutte le direzioni come in un videogioco. E' lo stato d'assedio vaticinato per tutta la giornata: a destra e a sinistra i reparti anti-sommossa non lasciano vie di fuga.
E' un dispiegamento colossale quello contro i “terroristi” e le loro candele, ma la polizia era stata chiara: vandali, hooligan non avrebbero avuto scampo. In piazza Haft-e-Tir non si sa più dove correre e la vertigine della sfida lascia presto spazio ad un panico che mozza il respiro. In questi giorni i “terroristi” hanno imparato tante cose. I lacrimogeni di nuova generazione causano dolori terribili e lasciano un senso di spossatezza che dura tre giorni, il curcuma è un portento per cicatrizzare le ferite e le ustioni chimiche, invece, sono un guaio serio e se investite da una sostanza sconosciuta bisogna cercare al più presto un medico e fare attenzione a strapparsi di dosso i vestiti. E però saperlo non rende le gambe più veloci quando i bassiji ti urlano dietro.
Corre voce che l'ambasciata più accogliente sia quella australiana, quella inglese invece pare sia stata appena evacuata, ma le notizie sono frammentarie e chi cerca la salvezza nel centro di Teheran spera di sgattaiolare in un vicolo buio e appiattirsi contro un muro.
Chi corre ha stampata in testa la cartina geografica della paura: il parco Laleh e lo stadio Shiroudi sono i luoghi dove si pianifica l'orrore. E' li' che si ammassano i reparti anti-sommossa, e' li che si coordinano le squadracce di bassiji e pasdaran. E' lì che testimoni hanno visto cadaveri e hizbollahi libanesi. A Vali-e-Asr invece è in corso un'altra manifestazione e forse anche a piazza Ferdowsi. Tra i “terroristi” gira voce che presto potrebbe essere braccato anche Mir Hossein Moussavi. I falchi premono perché venga punito prima che lo sciopero generale lo trasformi da leader riluttante in martire. Chi ha memoria del ‘78-79 spiega ai più giovani che probabilmente partirà tutto dal settore petrolchimico e che non c'è da perder tempo, bisogna organizzare le dispense, ritirare i contanti dalle banche, riempire le taniche di gasolio.
Tutti dicono che i tempi saranno molto duri prima di essere migliori e i terroristi si fanno coraggio. Khash-o-Khashak, polvere e spazzatura ha detto Ahmadinejad parlando dei manifestanti. E Khash-o-Khashak è diventato un inno per i rivoltosi. Viene gridato sui tetti quando scende la notte ed i bassiji bussano alle porte. Viene scaricato sui telefonini, perché ormai l'insulto è una parola d'ordine, una canzone corredata di video con le immagini più tragiche e commoventi di questo giugno di speranza e di sangue.
Nel frattempo la comunità internazionale grida ai brogli e Chatham House offre un resoconto della loro estensione. Il Consiglio dei Guardiani ammette che sì, ci sono state “irregolarità” quantificabili in 3 milioni di voti, ma non c'è da inquietarsi non sono cifre che avrebbero potuto cambiare il responso delle urne. A tutto, in fondo, c'è una spiegazione e Kamran Daneshjou, capo della commissione elettorale, ha attribuito la miracolosa percentuale di votanti della città di Taft alla dolcezza del clima nella provincia di Yazd.
All'ombra dei seminari, intanto, continua la lotta dei seyyed. Da Qom arrivano indiscrezioni sulle manovre di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani. Potrebbe sciogliere il silenzio alla preghiera del venerdì speculano alcuni consiglieri mentre la conta degli ayatollah pro e contro Khamenei viene aggiornata febbrilmente. Circola una lettera firmata da 40 membri del Consiglio (su 86) che chiede l'annullamento delle elezioni, una premessa al passo successivo e decisivo: l'azl, l'“impeachment”, il congedo di Khamenei.
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