Da Silvia a Silvio

Stefano Di Michele

Adesso non cominciamo a fare i furbi, a metterci tutti a lutto stretto quando il presunto cadavere (politico, non scherziamo) è vispo e ganzo. Tutti là a dare sotto al Cav, tutti a gongolare davanti alle foto dei cessi di palazzo Grazioli (s'intravede un principio di stucchi e dorature da lasciare senza fiato: per lo sconforto), tutti a invocare democratiche difese. Mentre, sotto sotto, un sentimento si fa strada, una preoccupazione prende corpo.

    Adesso non cominciamo a fare i furbi, a metterci tutti a lutto stretto quando il presunto cadavere (politico, non scherziamo) è vispo e ganzo – appena un accenno di torcicollo e, umanamente, un principio di torcibudella. Tutti là a dare sotto al Cav, tutti a gongolare davanti alle foto dei cessi di palazzo Grazioli (s'intravede un principio di stucchi e dorature da lasciare senza fiato: per lo sconforto), tutti a invocare democratiche difese. Mentre, sotto sotto, un sentimento si fa strada, una preoccupazione prende corpo. Che con insolita chiarezza, l'altro giorno, è stata messa nero su bianco nientemeno che sull'Unità. La potremmo chiamare sindrome di Gioacchino Belli. Il poeta romanesco la enunciò all'indomani della dipartita (terrena, ma si capisce che lì c'era certezza altrove, di sicuro non a Bari) del detestato Papa Gregorio XVI: “A Papa Gregorio je volevo bene perché me dava er gusto de potenne dì male”.

    Così è per molti che ce l'hanno col Cav: se un giorno dovesse prendere cappello (ed eventualmente qualche altro capello) per tornarsene ai fatti suoi nel villone brianzolo, innanzi tutto mancherà a molti dei suoi antipatizzanti: perché, appunto, dava il gusto di poter dir male di lui. E non si tratta di fantasie – così che lunedì, sul giornale di Concita (che ieri in prima pagina aveva un titolo cubitale, a godimento di certe vittorie amministrative, “C'è un'altra Italia”, e a fianco la foto di una fanciulla che sta per piangere: poi dice che uno se le tira) c'era un ispirato commento della scrittrice Silvia Balestra. Titolo: “Il futuro grigio senza papi”. Argomentazioni impeccabili, “non sono sicura di volere vedere deragliare il trenino di Silvio fatto di trombette e botti e cotillons. Non adesso, almeno, non ancora. Ci ho preso gusto e non credo di essere pronta a rinunciare al miscuglio di sentimenti che provo…”. Tra la pena e la tristezza, l'ilarità e lo scoramento, la democratica scrittrice paventa sbadiglio e abisso del grigiore – fosse un governo Letta o Fini o Draghi – “oh, questi grigi, seri, compassati, noiosi che devono recuperare credibilità all'estero, mettere mano alla crisi…”, ecc. ecc, perciò il cuore si apre alla disponibilità dell'urlo liberatorio: “Aridatece er papi!”. Assicura Silvia B. parlando di Silvio B.: “Lo diremo per scherzo, ma lo diremo presto”. Pare quasi il titolo di un suo libro: “Piove sul nostro amore”. E' il paradosso del Belli che attanaglia ora tante coscienze democratiche e sgarzoline: oddio, sai che palle senza il Cav! Certo si troverà presto qualcuno di cui poter dire male, ma chi ci darà lo stesso, insuperabile gusto di questo qui?

    Uno che affida i suoi proponimenti a Chi invece che al WSJ è straordinario spettacolo di suo: come un vulcano finto in Sardegna, come l'approdo di un motoscafo carico di signorine sulla costa sotto casa (pareva lo sbarco di Normandia, ma che doveva fare, i respingimenti tipo a Lampedusa?), come Remolo e Romolo… Deve essere stata la saggezza gramsciana, rivendicata sotto la testata, a ispirare la presa di posizione dell'Unità – ironica, certo, ma intanto eccola lì, dove manco Mario Giordano a momenti approda (e non c'entrano certo i motoscafi di cui sopra). Che volete: il libro nuovo di Veltroni, il saggio di Prodi, i seminari di FareFuturo, le considerazioni finali del governatore? E come si tira fino a sera con gli occhi aperti, pure in assenza di una regata dalemiana? Senza papi (e già stavamo veltronianamente senza Patricio), toccherebbe rimettersi a vedere il Tg1: tutta remissione. Perciò l'urlo sale: forza Silvia&Silvio B.!