La morte di Michael Jackson - Foto/Video
Il signorino pop
All'età di 50 anni è scomparsa l'icona del pop americano anni '80 Michael Jackson. Coperto dalla gloria e dal successo come musicista quanto infelice nella sua vita privata funestata anche da inchieste giudiziarie per pedofilia da cui venne alla fine scagionato. I successi musicali. Cantante, ballerino, compositore,dopo aver iniziato la propria carriera a soli cinque anni, autentico bambino prodigio, nel gruppo di famiglia Jackson Five.
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All'eta' di 50 anni e' scomparsa l'icona del pop americano anni '80 Michael Jackson. Coperto dalla gloria e dal successo come musicista quanto infelice nella sua vita privata funestata anche da inchieste giudiziarie per pedofilia da cui venne alla fine scagionato. I successi musicali. Cantante, ballerino, compositore,dopo aver iniziato la propria carriera a soli cinque anni, autentico bambino prodigio, nel gruppo di famiglia Jackson Five. (Agi)
Dal Foglio del 22 novembre 2003
Dev'essere stata una scena da film. Una di quelle pellicole che raccontano l'ascesa e la caduta di una luminosissima star, fino al suo definitivo e fatale rotolarsi nella melma. Immaginatela vista da un elicottero virtuale: le colline di Santa Ynez, appena alle spalle dell'eremo di Santa Barbara, una specie di Sanremo californiana, permanentemente inondata di sole e luce dorata. L'indirizzo è 5225 Figueroa Mountain: la teoria di campagnole e vans s'arrampica su per la stradina curvosa e alla fine s'allinea davanti all'assurdo cancello in ferro battuto, nero e ornato, su cui campeggia la scritta rossa: “Neverland”, la terra che non c'è. Suonano educatamente, perché a un re del pop più di un riguardo va riservato. Ad aprire potrebbe essere, a seconda dei gusti, un culturista rasato a zero incaricato di tener lontano gli scocciatori, oppure un efebico ragazzino di colore, in livrea rossa, parrucchino bianco e maschera da Alice nel paese delle meraviglie. Dalla prima jeep scende un uomo in divisa, si presenta: “Sono lo sceriffo Jim Anderson e sono qui coi miei agenti per perquisire a fondo Neverland. Per rovesciarla come un calzino, per frugare nelle sue fessure oscure. Questo è il mio mandato firmato dal procuratore distrettuale Thomas W. Sneddon Jr. Un nome che qui dovreste aver già sentito”. Se alla porta c'è l'omaccione muscoloso, ci sembra di vederlo mentre studia il mandato con circospezione, grattandosi la pera. La volpe-paggetto, invece, più semplicemente sarebbe scappata via, lasciando cadere per terra il servizio da té fino a quel momento tenuto diligentemente tra le mani. In ogni caso è esattamente questo l'istante della fine del sogno. L'irruzione senza ritorno.
Le macchine della polizia entrano nel parco che non c'è, costeggiano i gazebi e i lampioncini decorati, traversano il villaggio indiano, intravedono le case sugli alberi (“E' un posto pazzesco”, ebbe a raccontare di Neverland uno dei pochissimi reporter che, con un sotterfugio, sia mai riuscito a entrarci. “E' perfetto, ha le tinte del technicolor. Sembra esattamente come Disneyland dopo un restyling e un minuto prima che s'aprano i cancelli: già, perché l'unica, sinistra stranezza è che non c'è assolutamente nessuno. E' un paradiso deserto”. Sempre a meno che Michael non dia uno dei suoi party per underteen). Ma torniamo alle auto della giustizia che si fermano educatamente per far passare il trenino dei sogni. Un poliziotto quando intravede lo scimpanzé più famoso del mondo non si trattiene e dà di gomito al collega più vicino: “Ehi, ma quello è Bubbles!”. Quello neppure gli risponde. Alla fine la carovana si ferma davanti all'edificio principale di Neverland, i 60 poliziotti 60 coinvolti nell'operazione scendono e dal momento che il padrone di casa – il signor Michael Jackson, soprannome prediletto: “Peter Pan”, soprannome suggerito dai detrattori “Wacko Jacko” – non è in casa bensì a Las Vegas per girare il suo ultimo videoclip, procedono a ispezionare la casa in cerca di prove del reato contestato: molestie sessuali ai danni di un giovane al di sotto dei 14 anni. (“Rispetto alla prima emissione di questa accusa contro Michael Jackson” spiegherà più tardi in conferenza stampa lo sceriffo, “ovvero rispetto al '93, le cose sono sostanzialmente cambiate sul piano legale. In pratica adesso un sospettato di molestie è perseguibile anche se la parte lesa non si fa avanti a sostenere le proprie ragioni”). Naturalmente servono prove – chessò foto, filmini, quei romantici souvenir a cui spesso i pedofili non sanno rinunciare. Ma in ogni caso sui risultati dell'ispezione il top secret è assoluto. Bisognerà attendere il processo per conoscerne gli esiti.
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Un pedofilo è un pedofilo è un pedofilo. Se il sospettato è Michael Jackson è solo il peso della notizia a cambiare. Ma per chi si occupa di questi scenari il mandato d'arresto emesso dalla corte di Los Angeles ai danni della 45enne popstar non è una sorpresa, quanto l'ultimo capitolo di una lunga, torbida telenovela. Un'altra delle risapute storie in città, un succoso paragrafo ancora non scritto del prossimo Hollywood Babilonia. Ma torniamo a Neverland, dove tutta questa storia è cominciata, dove è andata fuori controllo, ha assunto i tratti dell'ossessione e dove forse, per destino, è destinata a concludersi. Un fatto: MJ da qualche anno non è più lui. Di certo, visto come s'è ridotto la faccia, praticamente non è più presentabile, non regge un primo piano televisivo e neanche un piano americano, la sua proverbiale ritrosia ha assunto tratti di cupa stravaganza, il suo cinico rapporto col denaro è deragliato (con quella boccuccia che pare un taglio nella carne, con quel nasino che deve reggersi su un'intelaiatura di platino, sembra suggerire: “Per accumularlo hanno fatto di me un freak spaventato. Ora che ho miliardi a profusione, non posso che comprare. Compro figli da donne che li fanno per me, compro innocenza dai bambini a cui permetto d'entrare nel mio paradiso perduto. Ho cercato di comprarmi una nuova faccia, bianco latte, il contrario di quella che ho visto nello specchio per anni – se solo quei deficienti di chirurghi avessero avuto la stessa tecnica che ho io, quando ancora una volta vi mostro il moonwalking…”). Eppure, in questo strano grumo d'eccentricità e contraddizioni, è stato proprio lui che pochi mesi or sono ha offerto al pubblico, ai milioni di fan che ancora l'amano (e oggi dev'essere difficile continuare ad amare uno come lui, avere come idolo un uomo ridotto a pupazzo – o forse è anche questa disgregazione, il senso di putrefazione a renderlo caro?), lui ha offerto uno spunto in più, un canto del cigno prima del disastro di questi giorni.
L'occasione è stato il documentario che Martin Bashir, un giornalista inglese, ha realizzato su di lui e poi ha venduto alle tv di tutto il mondo: “Svelati tutti i segreti di Michael Jackson!”. Peter Pan, chissà perché, s'è fidato di Bashir, come prima non s'era mai fidato di nessuno. E davanti alle sue telecamere ha provato a dire la sua, ha provato a presentarsi con un briciolo di credibilità, ha parlato con un filo di voce da cucciolo, ha raccontato del mondo di fantasia nel quale passa la maggior parte del tempo, ha spiegato come Liz Taylor sia l'unica che davvero lo capisce, perché non gli chiede nulla, gli carezza i capelli finti e nelle lunghe serate silenziose di Neverland, gli mostra i suoi gioielli, insieme li provano, li indossano, giocano, sono sereni. Ha provato a spiegare che in effetti un paio di ritocchini alla faccia se li è dati, roba minore, rifiniture, è quella maledetta malattia della pella ad avergliela sbiancata, ad averla depigmentata, altro che iniezioni di razza ariana. E poi ha confessato capricciosamente che il rapporto col successo è ancora meraviglioso, non puoi neppure immaginarti quanti e quanto mi amano, in tutto il mondo, che m'importa se sono mercati minori, basta con questo universo tutto centrato su Los Angeles. A Manila, a Singapore, a Osaka m'hanno fatto feste che neppure i Beatles se le sono mai sognate. Bashir, pazientemente, furbescamente, è stato dietro a Jacko per mesi, l'ha osservato, l'ha fatto parlare. Ha atteso. E alla fine, un pomeriggio qualsiasi di quelli di Neverland, dove c'è sempre bel tempo, gli scoiattoli rotolano nei prati e i fiori fioriscono 12 mesi l'anno, in quel regno impossibile dell'immobilità, Jacko ha parlato di più del solito e ha mostrato cose mai viste. La camera da letto, la camera dei giochi, quella zona-notte dove s'accompagna ai piccoli amici quando non è più l'ora di stare in giardino. Sweet 'n' creepy, direbbe un giornalino per ragazzi, dolcemente agghiacciante. Il suo segreto, il sogno che lui s'ostina a rendere reale. Tornare bambino. Restare bambino. Riprendersi quel che era suo.
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Alla fine, in una soleggiata giornata di fine novembre 2003 è andato in scena lo spettacolo triste e surreale – ce l'avessero anticipato vent'anni fa avremmo reagito con una risata di scherno: Michael Jackson, ormai maturo quarantenne del tutto in contraddizione con la propria esteriorità, trasfigurato nei lineamenti del viso al punto da ridurlo un pechinese color cipria, l'irripetibile genio di “Beat It”, l'uomo che ha cambiato il corso della musica popolare come solo Dylan, i Beatles e i Beach Boys hanno fatto con lui, entra in una stazione di polizia ammanettato coi polsi dietro la schiena. E' rientrato in California dopo che i suoi avvocati hanno concordato e patteggiato i termini dell'operazione. E' arrivato col jet personale, ha perfino concesso di sbirciare ai media famelici – un cenno di saluto, il segno della pace, poi quel fotogramma di Jacko in cattività destinato a passare alla storia – quindi ha pagato l'anticipo della cauzione (300 mila dei 3 milioni di dollari richiesti) ed è uscito, senza passare dalla gabbia. Il processo è previsto a partire dal 9 gennaio 2004. Nei canali televisivi già si fregano le mani e mandano in revisione le regie mobili: è in arrivo un'altra vampata d'immondizia all news.
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La storia incriminata ormai comunque si sta delineando e non è neppure nuova. Insomma di questo ambiguo rapporto tra Jackson e un bambino malato di cancro s'era già letto e sentito in passato. All'epoca del primo contatto il ragazzino avrebbe avuto circa dieci anni e pessime condizioni di salute. Un certo giorno esprime il desiderio: prima di morire vuole conoscere Michael, il suo idolo. L'incontro viene combinato e ha luogo a Neverland. Per la famiglia le cose vanno oltre ogni aspettativa: la popstar s'interessa seriamente al caso, paga cure costose, secondo Fox News addirittura arriva a regalare loro un auto. Col passare dei mesi il bambino reagisce bene alle terapie, l'happy end sembra dietro l'angolo. Per festeggiare, Jackson l'invita a Neverland. Qui sarebbe accaduto il fatto oscuro, avvolto in supposizioni che mormorano di vino, pillole, chissà quale messinscena. Per ora sono ipotesi vaghe, pettegolezzi, fughe di notizie. Il bambino però nei mesi successivi appare traumatizzato, fa qualche confessione in giro, la storia prende a circolare, lui stesso torna a esserne vittima allorché un gruppo di coetanei comincia a sfotterlo fino a provocargli reazioni isteriche. Per di più la sua salute riprende a peggiorare. Di nuovo Fox News assicura che già in passato ci sono stati contatti tra la famiglia e Jackson nel tentativo di mettere a tacere tutto con una congrua offerta di denaro e altre varie regalie. Com'era successo dieci anni fa. Ma il bubbone questa volta è più grosso e scoperto. C'è qualcuno che monta la guardia, ringhioso. Soffocare lo scandalo è impossibile. Bum. Un colpo secco nell'etere. E la giostra comincia a girare.
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Già, perché è ormai un pezzo che Jacko ha un nemico personale, un uomo che resta lì sulle sue tracce, non molla la presa e non a caso è soprannominato Snuffy. Lo abbiamo già citato, si chiama Tom Sneddon, è il procuratore distrettuale di Santa Barbara, lo stesso che dieci anni or sono intentò la causa per violenza sessuale contro Michael Jackson, a suo parere reo oltre ogni ragionevole dubbio d'aver molestato sessualmente un altro ragazzino di 13 anni. Alla fine tutto venne messo sotto silenzio grazie a una montagna di dollari pagati alla solita famiglia d'incauti (15 milioni di dollari per rinunciare a testimoniare). Ma, qualcuno lo ricorderà con un certo disgusto, al tempo il clamore fu enorme, soprattutto allorché il divo sublime della black music venne costretto da un'ordinanza a mostrare i propri organi genitali e a lasciare che venissero fotografati per un surreale “riconoscimento”. Jacko ne uscì per il rotto della cuffia, ma per il suo cervello e per la sua carriera fu il colpo decisivo (“In effetti poi ha avuto la seconda occasione. Ma ora la sta mandando in fumo. Di lui resterà solo l'immagine di un disturbato”, ha dichiarato a Cnn un dj radiofonico all'annuncio dell'arresto di giovedì). Del resto già dal '93 l'attenzione attorno a Michael ha cominciato a scemare. Tutto ha preso a impallidire, tranne i suoi orsacchiotti rosa di peluche. Solo le sue ossessioni si popolano e si moltiplicano, e quelle voci cristalline. Nel '95, comunque, MJ si prende una piccola rivincita. Nel doppio cd “HIStory Past, Present and Future, Book 1”, c'è in scaletta “D.S.” un brano nel quale il cantante ripete più volte con petulanza il versetto “Tom Sneddon is a cold man”, è un uomo spietato. Certo, risibile come contrattacco. Uno sberleffo da adolescente. Probabilmente Sneddon quel disco se l'è perfino comprato e poi s'è preparato alla paziente attesa. Ci sarebbe ricascato, il suo demone canterino. E adesso gongola: “Ciò che provo è tristezza, perché intuisco che là fuori c'è un'altra vittima. Sono costernato per la sua famiglia e per tutte le persone coinvolte in questa storia”. L'uomo che è già stato l'incubo di Michael, torna a bussare alla sua porta. Si può immaginare l'isteria della fragile popstar, in momentaneo esilio a Las Vegas, davanti al risorgere della nemesi. Jermaine, uno dei fratelli di Michael, intervistato da Cnn dopo l'arresto, ha scelto una strana strada per reclamare la sua innocenza: “Questo non è altro che un linciaggio” – parola delicata, risonante alle orecchie dei neri, “un linciaggio moderno”.
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Non è difficile dimostrare inequivocabilmente che MJ ormai sia completamente pazzo, qualsiasi si riveli la verità dietro le accuse di molestie sessuali. Nessun pedofilo savio costruisce un parco dei divertimenti a tema incentrato sul personaggio di se stesso al solo scopo d'infilare le mani nella biancheria intima dei suoi piccoli amici – perché è confermato che le serate a Neverland, comunque, finiscono spesso in un tête-a-tête tra Michael e il ragazzino di turno. L'ha ammesso lui stesso nel documentario di Bashir, affannandosi a raccontare che l'unica cosa che gli piace è metterli a letto, rimboccare le coperte ai biondini che ha scelto come compagni di notte e poi magari mettersi a dormire lì per terra, ai piedi del letto. Tutto finisce sempre nella camera dove c'è il lettone dei sogni, che sia una questione di levità di spirito o qualcosa di peggio. Il resto, i giochi, le merende, il trenino, la banda e le pistole ad acqua (quelle che a Neverland piacevano tanto a Maculay Culkin, il ragazzino di “Mamma ho perso l'aereo”, per anni amichetto prediletto di Michael, prima di diventare grande, di diventare uomo come gli altri). Tutti quei balocchi sono solo il succoso preambolo. Ora, un pedofilo di norma agisce, si sazia, nell'anonimo silenzio del suo segreto, fatto di gesti essenziali, soddisfacenti. Jackson fa esattamente il contrario. Perché non ci sta più con la testa. E' lontano, arriva da una vita che gli ha richiesto mille prove e piroette e ha accumulato nel subconscio ogni genere di materiali di riporto – le violenze subite dal padre, gli anni da ragazzo-prodigio, quel videoclip (il più famoso della storia pop, firmato John Landis) in cui mica a caso è un lupo mannaro, un mutante che entra ed esce dalla sua innocenza.
In ogni caso, se Michael è un pedofilo proverà di nuovo a stabilirlo un giudice e, conoscendo gli andamenti procedurali americani, non c'è da scommetterci che ci riuscirà, di fronte al collegio d'avvocati schierati in difesa del divo. Quel che è certo è che lui ormai, nei suoi rituali quotidiani, non può più fare a meno del “drama”, dell'ambientazione nella favola, del risveglio nel cuore della notte per volare verso la seconda stella a destra.
Peter Pan prima di cedere al suo desiderio (o al simulacro di esso, se davvero non passa mai dai pensieri ai fatti), pretende la sua fiaba. Rivuole i lunghi, lunghi, interminabili pomeriggi estivi dell'infanzia, passati fuori a giocare fino a non poterne più, fino a convincersi che la vita sia infinita. Per lui a un certo punto le cose hanno preso seriamente a confondersi – reale, sogno, desiderio, incubo e il meraviglioso mondo della fantasia. Da qualche tempo le sue giornate le trascorre vagando tra questi quadri cangianti, in un tourbillon di giovani amici in visita al ranch, tutto un po' confuso, le facce, le date, i gesti, i ricordi, i viaggi fuori da Neverland, i suoi figli col volto protetto dal velo, il neonato quasi caduto giù da un balcone, i Jackson Five, il papà cattivo, il guantino bianco. La banda di ottoni in divisa, che suona dolcemente dentro al gazebo, vicino al banchetto delle limonate. E quel povero bambino, malato di cancro. Che andrebbe tanto aiutato.
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