Caccia allo Strega - Ecco Cesarina Vighy

L'ultima estate fa venire voglia di girare pagina per la curiosità, alè

Mariarosa Mancuso

Tra i finalisti allo Strega sottoposti a carotaggio, oggi tocca a Cesarina Vighy. Di lei sappiamo che è veneziana, che da parecchio vive a Roma, che ha deciso di pubblicare “L'ultima estate” (Fazi) dopo essere stata colpita da una rara e invalidante malattia neurologica. Libera dall'obbligo di avere successo – così sta scritto sul risvolto di copertina – racconta i settant'anni di Zeta, malata senza speranza.

    Marshall McLuhan sostiene che pagina 69 sia un ottimo test per giudicare se un romanzo merita di essere letto: la pagina suddetta si trova infatti a ragionevole distanza dall'inizio. Da uomo sospettoso, è fermamente convinto che qualunque incipit sia costruito per impressionare il lettore. Ma prima o poi lo spettacolo pirotecnico finisce. Sopraggiunge la stanchezza, calano gli zuccheri letterari, lo scrittore smette di offrire il profilo migliore, la carrozza di Cenerentola ridiventa una zucca: il gioco si fa duro e solo i migliori reggono. Tra i finalisti allo Strega sottoposti a carotaggio, oggi tocca a Cesarina Vighy. Di lei sappiamo che è veneziana, che da parecchio vive a Roma, che ha deciso di pubblicare “L'ultima estate” (Fazi) dopo essere stata colpita da una rara e invalidante malattia neurologica. Libera dall'obbligo di avere successo – così sta scritto sul risvolto di copertina – racconta i settant'anni di Zeta, malata senza speranza.

    La distanza ravvicinata tra scrittrice e personaggio garantisce che Cesarina Vighy abbia molto da raccontare. Ottimo segno: i libri della nostra vita si possono infatti collocare in un grafico cartesiano – tranquilli, si impara alle medie, non è più difficile dei numeri primi – dove sull'asse orizzontale ci sono le cose da dire e su quello verticale c'è la bravura nel dirle. I grandissimi sono gli scrittori che hanno molte cose da dire, meglio se originali, e le dicono benissimo. Ma procurano grandi piaceri anche combinazioni: cose risapute ma egregiamente raccontate, o cose notevoli raccontate come capita. L'unico accrocco da cui stare in guardia – e l'impresa richiede molte energie, di questi tempi – è lo scrittore che non ha niente da dire e lo espone sciattamente. “Come tutte le adolescenti, mi trovavo brutta”, attacca Celestina Vighy a pagina 69, che coincide con l'inizio del capitolo mozartianamente intitolato: “Sua passion predominante / è la giovan principiante”. Si fa presto a dire brutta, siamo di fronte al lamento numero uno della ragazzina, ascoltato e letto tante volte. Ma i fuochi d'artificio non si fanno attendere, e subito cacciano via l'effetto Rossana Rossanda (così chiamato dopo la lettura di “La ragazza del secolo scorso”, educazione sentimentale e politica con frasi da dimenticare come: “Con l'adolescenza tutto muta perché si lacera il saputo”). Qui c'è il confronto tra i nasini delle irraggiungibili attrici americane e i “pomelli rossi da ubriacone” delle antiche dame ritratte al museo, con “nasi lunghi ben più del mio”. Poiché è compito del bravo scrittore rilanciare quando i dilettanti si fermano, ecco una di quelle descrizioni da non saltare: “Che sarebbe stato anche bello, così nobilmente sottile, appogiato da solo su di un comodino, ma che, in mezzo alla mia faccia, stonava”. Niente trucchi per migliorarsi, niente correttore scuro in punta per accorciarlo. Vietati a una ragazzina perbene? No, è che la ragazzina non aveva ancora deciso “se diventare un maschio, ammirato per la sua intelligenza, o una femmina, adatta a sbrigare i piccoli servizi” (di certo però aveva le idee chiare su come girava il mondo allora, e continua a girare adesso).

    Punto, a capo, riga bianca e si riparte. Al cinema si chiama montaggio, già Eisenstein ne aveva mostrato la potenza. Si riparte, vivaddio, da qualcos'altro (mica c'è bisogno di rispiegare la goffaggine dell'anatroccolo nasuto: quando non lo si addormenta a furia di parole scelte male, al lettore non sfugge nulla, come ai golosi che spazzolano ogni briciola dal piatto). Virginia Woolf, colta in un fuori onda – così diremmo oggi. Lontana dal suo diario zeppo di & commerciali, dove annota il giorno esatto in cui “la natura umana cambiò” e i suoi giudizi su James Joyce (“mediocre”), Marcel Proust (“uno studentello malaticcio che si schiaccia i brufoli”), Jane Austen (“25 vecchietti la considerano un genio”). “Pare che Virginia Woolf fosse in grave imbarazzo quando doveva rivolgersi a una commessa per comprare la cipria. Gli assorbenti, poi, se li faceva da sé. Ma quando scriveva un biglietto tipo ‘caro George'”…
    Su queste parole la pagina 69 di Cesarina Vighy finisce, mentre a noi resta la voglia di leggere il seguito. Questo è il compito unico dello scrittore: non cambiare il mondo, e neppure cambiare noi, e meno che mai cambiare il romanzo, ma farci girare le pagine. La curiosità non dipende dalla frase tronca, ma dal fatto che non riusciamo a immaginare come andrà a finire l'aneddoto. Aiuta, ma non è indispensabile, un po' di antipatia per Mrs Woolf.