Jackson Channel

Stefano Pistolini

In corso di celebrazioni per la morte di Michael Jackson, precipitosamente rinominato Re del Pop, dopo che era tracimato alla carica di Guardasigilli del Trash, c'è una vedova che più di altre, vanta i titoli per vestire il lutto: Mtv.

    In corso di celebrazioni per la morte di Michael Jackson, precipitosamente rinominato Re del Pop, dopo che era tracimato alla carica di Guardasigilli del Trash, c'è una vedova che più di altre, vanta i titoli per vestire il lutto: Mtv, la televisione musicale che dell'ascesa di Jackson sul tetto del mondo costituisce il pendant insostituibile, dal momento che esplode in coincidenza del passaggio dei consumi musicali dalla fase mentale-contemplativa di stampo woodstockiano, a quelli della fisicità edonista dell'imbocco anni Ottanta, sepolto John Lennon, con la Dolce Vita newyorkese a fungere da catalizzatore, la globalizzazione della Disco e un'epidemia: il culto dell'immagine. Mtv – che da tempo ha abbandonato la vocazione di video-jukebox, per normalizzarsi in tv della coolness giovanile – divenne il campo di gioco ideale di Michael e della sua visione artistica. Della quale fa parte, prima di tutto, la restaurazione del divismo, dopo gli intellettualismi del decennio precedente, e poi l'investimento di capitali eccezionali per la produzione di clip che dovevano emozionare e rendersi consumabili visualmente per un numero elevato di volte, eccitando la voglia di rivedere e non la noia del già visto. Per riuscirci servivano produzioni imponenti, accordabili solo ad artisti capaci di introiti monumentali – Jacko, appunto – e poi registi di fama, che riallineassero la loro poetica, concentrandola nel timing frenetico di un video. Soprattutto erano indispensabili le star, che per di più – dal momento che presto Mtv scopre la propria vocazione globale, essendo una tv senza lingua – fossero amate e vendute ai quattro angoli del pianeta. Per questo Michael, insieme alla corona di regnante del pop, ottenne quella di Signore del Clip. Della storia di questo breve ma perfetto matrimonio tra Jacko e Mtv fanno parte almeno altri due fattori: un essere umano, anzi, il più grande produttore del pop del tempo, Quincy Jones. Jones capisce che lo sbarco di Michael nelle tv di tutto il mondo deve avere canoni d'impareggiabilità: i suoi video devono essere i più stupefacenti, perché quando canta il Re, il pianeta deve fermarsi incantato a rimirarlo. Perciò i videoclip costituiranno il versante visuale della principale idea che il pigmalione Quincy sta ficcando in testa a MJ: non deve essere il più grande artista nero dopo James Brown. Deve essere il più grande tout court, senza connotati razziali. E Michael comincia a schiarirsi la pelle, con la fedele Mtv che, clip dopo clip, registra la metamorfosi. Poi, è chiaro, c'è “Thriller”, la somma opera di John Landis, che di recente la stessa Mtv ha sancito essere il miglior videoclip di tutti i tempi, ad opera del miglior ballerino del pianeta e dell'innovatore del beat. “Thriller” è un video radicale che riscrive le regole del genere e si annoda agli altri consumi giovanili del tempo, il cinema commerciale horror prima di tutto. Quello che però Mtv non poteva sapere era che Jackson non sarebbe stato sostituibile, che il vuoto lasciato sarebbe diventato una voragine di palinsesto, perché il rituale della ripetitività del clip viene accordato dal pubblico solo ai prescelti. Motivo per cui si può ipotizzare che l'autopsia che ha frugato in cerca di pasticche nella pancia di Jacko possa aver trovato anche gli avanzi di un'altra sottocultura appassita: quella della musica da vedere. Un cerimoniale d'innocenza e carico ormonale che appartiene al secolo scorso.