Oggi è il Papa, non Galileo, che è richiesto di abiura

Giuliano Ferrara

Monsignor Pagano non mi convince. Il curatore dell'archivio Galileo in Vaticano ha detto di recente che la chiesa deve esercitare la massima prudenza, se non voglia ripetere con la genetica moderna l'errore fatto quattro secoli fa nel giudicare gli sviluppi dell'astronomia moderna e di un metodo, quello galileiano, che oggi (faccio questa osservazione riferendomi al discorso di B-XVI a Verona) è rivendicato dal Papa come veicolo specialmente significativo di una lettura matematico-razionale della realtà.

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    Monsignor Pagano non mi convince. Il curatore dell'archivio Galileo in Vaticano ha detto di recente che la chiesa deve esercitare la massima prudenza, se non voglia ripetere con la genetica moderna l'errore fatto quattro secoli fa nel giudicare gli sviluppi dell'astronomia moderna e di un metodo, quello galileiano, che oggi (faccio questa osservazione riferendomi al discorso di B-XVI a Verona) è rivendicato dal Papa come veicolo specialmente significativo di una lettura matematico-razionale della realtà. Richiesto di delucidazioni sui confini e l'ambito di questa prudenza, Sergio Pagano ci ha risposto con cortesia, e ha spiegato a Nicoletta Tiliacos che non intendeva certo mettere in discussione le critiche di cristiani e laici alla deriva eugenetica dei nostri tempi, che quanto da lui detto era per così dire un ovvio richiamo alla cautela reciproca nei rapporti tra scienza e dottrina biblica già condiviso da Giovanni Paolo II; ma concludendo poi che il vero problema, su cui si misura questa prudenza, è la possibile capacità della scienza di rappresentarci un “uomo nuovo”, dunque un mondo nuovo, esattamente come avvenne con la rivoluzione copernicana e con le sue conseguenze.

    Qui la faccenda si fa problematica. Non da un punto di vista dottrinale, che non è il mio, il nostro di noi laici devoti al patrimonio culturale e cultuale custodito dalla chiesa, dalle chiese radicate nella grande avventura cristiana. E nemmeno sul piano della composizione della verità biblica sull'uomo con quella scientifica moderna. Non è un fatto di fede, di sfida alla fede. E' una questione di ragione, di etica, di uso e abuso della libertà nella direzione di un transumanesimo i cui contorni sono francamente sinistri. Monsignor Pagano sa molto meglio di me quanto sia forte, e balorda, la spinta ideologica a governare la scienza nel senso della manipolazione illimitata della vita umana, del materiale umano in ogni stadio del suo sviluppo; e sa meglio di me che per quanta prudenza si eserciti in relazione agli scopi umanistici della ricerca, come l'alleviamento senza illusioni della sofferenza umana, sarebbe incauto non vedere il risvolto faustiano, banalmente faustiano, della strategia di fitness morale e corporale perseguita da eserciti di ricercatori, di ginecologi, di grandi medici, di scienziati che il nostro tempo e il nostro business investono di una funzione sacerdotale, e incoronano guru e signori di una grande potenza e ricchezza, spirituale e materiale.

    E' pieno di brava gente e seria e rigorosa e matura e capace, nel mondo della scienza. Ho bisogno di loro e li ammiro, come tutti. Ma c'è un sostrato di cultura e di falsa coscienza del reale, nel pensiero dominante che guida la comunità scientifica militante, per ogni dove, che è il nemico diretto e irriducibile, non già della chiesa gerarchica e istituzionale, che fa benissimo a essere prudente se prudente voglia dire “scaltra” anziché “umile”, bensì del cristianesimo, inteso come religione o etica che indebolisce l'umanità e la umilia, secondo la lezione di Nietzsche. Se  il biologo promette l'immortalità, un cristiano non può dire “prudenza” senza liquidare non solo la croce, ma due millenni di teologia e di filosofia cristiane. Se il neodarwinista sfoggia baldanza nel prospettare il significato meramente neurologico dell'anima umana, parafrasi fantasiosa di un cervello semplicemente “evoluto”, tenere un tono fermo nella risposta, ricercare e mobilitare ogni possibile intelligenza, ecco il compito imprudente che tocca alla cultura cristiana, laica e cattolica e di ogni altra possibile denominazione riformata. Se la vita del nascituro è à la carte, se la soppressione selettiva la regola del giorno, dove andremo a raccogliere una qualche regola di prudenza, monsignor Pagano?

    Il cardinal Ruini ha fatto e sta facendo molto per chiarificare la faccenda, che duole e non è sanabile così facilmente, nell'ambito del progetto culturale della Cei. Altre iniziative sono in cottura a Bologna e altrove. Penso che monsignor Gianfranco Ravasi, preposto a un compito difficile di sfida e dialogo culturale, che sta svolgendo con il suo noto e puntiglioso talento, farebbe bene prima o poi a portare a sintesi questo problema, in senso culturale dico e non magisteriale. Per decidere quantomeno il livello di dialogo e sfida, e anche un certo livello di incomunicabilità, che è implicato dalle cose, oltre che all'insegnamento in fondo univoco dei papi della seconda metà del Novecento, compresi Pio e Giovanni, per non dire del Paolo VI dell'Humanae vitae e dei suoi successori fino a oggi. Infatti oggi il problema non è una qualche richiesta di abiura, inimmaginabile, rivolta da un prete a uno scienziato laico; oggi la questione è quella di una evidente richiesta di abiura del cristianesimo e delle sue premesse o conseguenze etiche e filosofiche da parte della scienza militante, non la scienza razionalista, dico, ma quella postmoderna e post o trans umanista. Oggi è il Papa, non Galileo, che è richiesto di abiura.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.