Intervista al prefetto dell'archivio segreto vaticano

Galilei, staminali ed eugenetica, le precisazioni di monsignor Pagano

Nicoletta Tiliacos

La chiesa, per non ripetere gli errori fatti nei confronti di Galileo, deve accostarsi con prudenza e senza preconcetti alle grandi questioni poste dal progresso scientifico, come la ricerca sulle staminali, e i problemi dell'eugenetica: ha suscitato molta sorpresa l'auspicio pronunciato giovedì scorso dal prefetto dell'Archivio segreto vaticano, il barnabita monsignor Sergio Pagano, durante la presentazione nella sala stampa della Santa Sede della nuova edizione dei “Documenti vaticani del processo di Galileo Galilei”.

    La chiesa, per non ripetere gli errori fatti nei confronti di Galileo, deve accostarsi con prudenza e senza preconcetti alle grandi questioni poste dal progresso scientifico, come la ricerca sulle staminali, e i problemi dell'eugenetica: ha suscitato molta sorpresa l'auspicio pronunciato giovedì scorso dal prefetto dell'Archivio segreto vaticano, il barnabita monsignor Sergio Pagano, durante la presentazione nella sala stampa della Santa Sede della nuova, importante edizione dei “Documenti vaticani del processo di Galileo Galilei”.

    Le parole di monsignor Pagano sono state interpretate come un'apertura sconcertante su temi presidiati fino a oggi da ben diversi e chiari paletti da parte della chiesa cattolica. Tanto che il prefetto dell'Archivio segreto ha poi voluto precisare in una nota scritta l'interpretazione autentica delle sue dichiarazioni: “Il caso Galileo insegna alla scienza a non presumere di far da maestra in materia di fede e di Sacra scrittura e insegna contemporaneamente alla chiesa ad accostarsi ai problemi scientifici, fossero anche quelli legati alla più moderna ricerca sulle staminali, per esempio, con molta umiltà e circospezione”. E ha aggiunto che non intendeva auspicare cambiamenti nella valutazione da parte della chiesa dell'eugenetica, parola usata per segnalare le derive della genetica. Al Foglio, monsignor Sergio Pagano si dice stupito “dell'interpretazione sensazionalistica di una mia risposta al giornalista che mi chiedeva che cosa potesse insegnare il caso Galileo alla chiesa. Ho detto, in sostanza, che la scienza sembra andare a volte per una strada che vorrebbe escludere la fede e, dall'altra parte, che la chiesa di fronte ai problemi scientifici ha ancora qualche preconcetto. Questo è evidente, sotto gli occhi di tutti, e d'altra parte lo aveva già detto Giovanni Paolo II in modo molto chiaro. Io non ho la veste per entrare in queste questioni, ho risposto a una domanda”.

    Ma i temi della ricerca biomedica, e in particolare quello della ricerca sulle staminali, si portano appresso molte ambiguità. Soprattutto se non si distingue tra ricerca sulle staminali embrionali – condannata dalla chiesa e non solo, perché critiche e dubbi radicali arrivano da laici e da scienziati – e ricerca sulle staminali adulte, notoriamente incoraggiata dalla chiesa (lo dimostrano esperienze come quella del centro ternano diretto dal biologo Angelo Vescovi, finanziato da una fondazione della quale fa parte anche la diocesi di Terni Narni Amelia). Replica monsignor Pagano: “Io non sono entrato nel merito, ho parlato dell'atteggiamento di fronte alla nuova scienza. La ricerca sulle staminali o sulla ricerca biogenetica, come ho detto, può essere paragonata a una rivoluzione copernicana, se si pensa a quello a cui può approdare: praticamente a un uomo nuovo. E allora, di fronte agli orizzonti che ci si aprono, così imprevedibili, preoccupanti e nello stesso tempo affascinanti, bisogna che la chiesa affronti il problema con prudenza”.

    Monsignor Pagano ribadisce che “non è nelle mie intenzioni e nelle mie parole l'idea di creare dei gialli su questi argomenti. Ripeto: il caso Galileo insegna alla chiesa a essere prudente di fronte alla scienza e insegna alla scienza a non farsi padrona del campo della teologia e della fede”. Ma che cosa significa prudenza? Ci sono limiti che non vanno superati? “Di fronte a ricerche nuove, vanno distinte quelle che aprono scenari terribili da quelle che aprono scenari positivi. Non sono un medico, ma faccio l'esempio dell'uso di cellule che si possono prelevare da tessuti adulti, senza toccare embrioni umani. Intendevo questo. Ma penso che non vada nemmeno chiusa definitivamente la porta in faccia ad altre possibili ricerche sulla base di preconcetti. Perché, in fin dei conti, bisogna stare alla Sacra scrittura, alla verità di Dio: la verità dell'uomo sta lì. Quello che non è nella Sacra scrittura – prosegue monsignor Pagano – e che dipendesse da nostre tradizioni fossilizzate nel tempo, dovrebbe poter essere riconsiderato e rivisto. Come è successo per la teoria copernicana ai tempi di Galilei. E' necessaria umiltà e prudenza anche da parte nostra, da parte della chiesa”. Ma il limite dell'uso dell'umano come strumento in biomedicina, conclude il barnabita, “la chiesa fa benissimo a ricordarlo, a ribadirlo e a proporlo come non superabile”.